Lo stato di eccezione, lo dice l’espressione medesima, indica una condizione fuori dal normale, e ciò giustifica, per la durata di tale stato, la sospensione di molte norme abituali e l’imposizione di altre il cui stabilirsi prescinde dalle consuete pratiche legislative. Ma è possibile che uno stato di eccezione si procrastini senza termine? E in tal caso, è lecito continuare a parlare di eccezione, o si dovrebbe piuttosto riconoscere che l’eccezionale è diventato nel frattempo normale?
Da marzo del 2020, l’Italia è stata governata con quello strumento legislativo particolare che è il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, una forma di legislazione straordinaria che invece di passare per l’iter parlamentare, prevede che il capo del Governo (organo esecutivo e non legislativo) produca un provvedimento che ha immediata validità di legge. Senza discussione, senza confronto democratico, senza votazioni. Senza opposizione.
Sarà pure vero che troppi italiani amano i commissari straordinari, gli stati di emergenza, i salvatori della nazione e simili trame romanzesche e melodrammatiche, dalle quali emerge sempre qualche figuro carismatico che ammalia con chiacchiere e promesse un popolo sempre troppo credulone. Ma adesso, dopo un anno di sacrifici, con l’economia a pezzi; con milioni di lavoratori precari senza difesa, senza prospettive; con milioni di studenti che hanno perso il filo e il senso del loro percorso di istruzione; con milioni di persone che accusano crescenti disagi fisici e mentali a causa della forzata inattività fisica e della reclusione in casa; davvero è possibile, dopo tutto questo, continuare a lungo a sopportare la sequela delle restrizioni imposte per decreto? O basta il solito grido d’orrore “salgono i contagi” diffuso dalla TV per farci correre a chiuderci in casa?
In altri paesi la campagna di vaccinazione è a buon punto, a milioni di cittadini è già stato inoculato il vaccino. Da noi si rifà l’intero piano vaccinazioni, perché quello precedente evidentemente era ridicolo. Si discute in Inghilterra e in Germania sulle precauzioni da adottare per garantire lo svolgimento di ogni attività pubblica e privata, e così continuare a vivere. Qui in Italia, invece, le palestre e le piscine restano chiuse senza prospettive di riapertura, e il danno non è solo economico bensì sanitario, perché l’attività fisica è parte integrante del benessere dell’individuo. I cinema e i teatri restano chiusi, perché la cultura non è importante. Le biblioteche e i centri di ricerca sono fittiziamente aperti, perché le condizioni imposte per l’utilizzo delle loro risorse è così restrittivo da impedirne ogni uso appena utile. La scuola è al naufragio, ogni preside fa da sé quel che può, cercando di salvare il salvabile, e gli insegnanti lavorano in condizioni di disagio, con strumenti rabberciati, tentando di salvare più ragazzi possibile dalla deriva dell’abbandono scolastico. Migliaia di imprese falliscono, e milioni di lavoratori aspettano da molti mesi arretrati di cassa integrazione per la quale non ci sono risorse. I viaggi fra regioni sono vietati, anche fra regioni “gialle”, benché sui treni e sugli aerei solo la metà dei posti siano disponibili e ci siano molte possibilità per viaggiare sicuri. Al contrario, nelle regioni dove si può circolare, i treni regionali sono stracarichi di pendolari, e i bus e i tram sono pieni di passeggeri che viaggiano in piedi.
Per citare un esempio, la mia famiglia è sparpagliata su tre regioni, perciò non vedo mio padre da sei mesi e mio fratello da otto. Se risiedessimo nella medesima regione “gialla” non subiremmo questa crudele discriminazione. Non è forse evidente, in tutto ciò, la violazione dei diritti costituzionali del cittadino? Tutto questo, ovviamente, colpisce molti altri come me, giovani e meno giovani, che vivono lontani dai propri cari e non hanno possibilità di opporsi a queste leggi ingiuste.
Possibile che nessuno veda le contraddizioni e ne tragga conseguenze logiche? A chi fa comodo tenere una nazione in stato di paralisi, sotto il giogo del terrore, come se uscire di casa implicasse gravissimi pericoli? Eppure, quando scendiamo in strada, non vediamo città deserte e pile di bare, là fuori non c’è la peste: la vita continua e la maggioranza delle persone si sforza di svolgere le proprie attività, di dare un senso al proprio tempo. Questa è la nazione che dovrebbe affrontare la crisi del covid vivendo, lavorando, viaggiando, continuando a esistere. Invece ci spegniamo nel silenzio e nella rassegnazione, sperando in un salvatore che forse verrà, forse il prossimo Presidente del Consiglio che, a suo buon cuore, ci elargirà Decreti Legge meno severi; o forse il vaccino, che come una pozione magica distruggerà il virus-satanasso.
In Italia esiste ancora un regime democratico fondato sul confronto dialettico parlamentare fra maggioranza di governo e minoranza di opposizione? Il popolo italiano è rappresentato in Parlamento da individui che ne garantiscano il rispetto dei diritti costituzionali? Abbiamo forse scelto con un voto popolare l’attuale governo e la sua maggioranza? Sarebbe bello leggere domande simili, con le rispettive risposte, nei luoghi deputati ad accogliere il dibattito civile e democratico, cioè sui giornali. Ma la paura del covid, alimentata dal terrorismo mediatico di sedicenti “esperti” che invocano divieti e prescrizioni come se fossero ministri e governatori, ha sopraffatto ogni intelligenza dialettica. La stampa nazionale è complice di questa baraonda mediatica, e invece di far risuonare voci di dissenso e alimentare il dibattito pubblico attorno alla strategia di contenimento dell’epidemia, non fa che ripetere e propagandare il pensiero unico del potere politico.
Sarà dunque il caso di ricordarci che la barbarie inizia quando le regole imposte soffocano la libertà e sottomettono l’individuo alla violenza dell’autoritarismo e al pensiero unico.
Gianluca Cinelli
Benvenuti come sempre i vostri commenti in fondo alla pagina
Caro Giuseppe, mi scuso per il ritardo con cui rispondo. Le dirò subito che la categoria degli intellettuali è un po’ astratta nella sua comprensività generale. In fondo anche un dirigente ministeriale, nel suo ruolo di funzionario, svolge un lavoro intellettuale. Se parliamo di scrittori, accademici, giuristi e simili, sorgono due problemi: il primo è l’idea diffusa tra molti intellettuali che non sia serio varcare i confini della propria specialità, oltre la quale non si possiedono più conoscenze specifiche. Questa idea può diventare un comodo alibi per non prendere posizione su problemi generali e d’interesse pubblico. Il secondo problema concerne una riflessione che già faceva Sartre, sostenendo che l’intellettuale è molto sensibile alla tentazione (e al ricatto) del potere. In Italia, secondo me, c’è un ulteriore problema in cui si radica la questione di che cosa significhi svolgere attività intellettuale. Ci aiuta a capirlo Machiavelli con i « Discorsi sulla prima deca di Tito Livio », con la sua breve ma incisiva teoria sulla circolarità degli ordinamenti repubblicani, principato, oligarchia e governo popolare. Se guardiamo alla storia repubblicana vediamo il passaggio dalla tirannia fascista a un governo popolare-oligarchico, il quale nel tempo è diventato sempre più oligarchico (il potere della casta politica a scapito della comunità), finché siamo tornati all’idea che sia opportuno un governo popolare, cavalcata dai movimenti populisti all’inizio del nuovo secolo. Se è vera la teoria di Machiavelli, presto torneremo alla tirannia. In ogni caso, la vicenda degli intellettuali si lega a questi corsi e ricorsi, perché se la cultura antifascista ha generato un effettivo progresso intellettuale e culturale in Italia tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento, si è poi passati al conformismo negli anni Settanta e al riflusso negli anni Ottanta, finché con gli anni Novanta la cultura italiana è largamente degenerata in modo provinciale e volgare. Mi fermo qui perché l’argomento richiederebbe in realtà lunghe riflessioni. La saluto calorosamente.
Sì, lei è proprio una voce nel deserto, un deserto di proteste soffocate dalla paura. La Francia non è meglio messa dell’Italia, le assicuro. Intorno a me, ogni giorno vedo amici sprofondare nella depressione, nella disperazione, e NON si sono ammalati di Covid, ma forse soccomberanno lo stesso per una malattia più lunga e perniciosa. Ha ragione, subiamo una dittatura da repubblica bananiera con regole scombinate, pensate, e male, all’ultimo minuto da un pugno di incompetenti. E la cosa peggiore è che sono proprio i cittadini, quelli come noi, che sono i primi censori, accusatori. Grazie comunque di avermi fatto sapere che c’è qualcuno che la pensa come me.
Buongiorno, grazie per il suo commento. La disperazione è una delle più pericolose insidie di questo periodo, e si sta giocando una partita pericolosa sulla pelle delle persone, non solo in Italia o in Francia. Le disparità sociali ed economiche stanno aggravandosi e ci si abitua lentamente all’idea che con l’alibi del virus sia possibile imporre regole arbitrarie e restrizioni, che avvantaggiano alcuni mentre penalizzano altri. L’esistenza di uno spazio di discussione come questo diventa importantissimo in questi frangenti, perché è necessario non chiudersi nell’isolamento. Grazie ancora.
Grazie, finalmente una voce italiana fuori dal coro, che conforta. Leggevo l’altro giorno su Repubblica in prima pagina sui nostri primi 100.000 martiri, con sotto sfilza di decine di foto di persone (un po’ come per le torri gemelle a NY) perché « questi nostri eroi anonimi avevano volti » etc. Sulla Stampa gli faceva eco un giornalista che proponeva, sempre in prima pagina, di fare di non so quale giorno di marzo « ricorrente giorno di lutto nazionale ». Dolore sempre per chi soffre e muore, ovviamente, e per i loro cari. Ma cosa hanno di più meritevole, di più eroico,di più degno di essere ricordate queste persone delle centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno di cancro, di problemi cardiaci e altre malattie, per non parlare di quelli che muoiono affogando in mare in cerca semplicemente di una propria vita? Tra Francia, dove vivo, Spagna, Canada Stati Uniti, non conosco nessun paese i cui giornali potrebbero escogitare simili titoli, e in cui questo maledetto virus abbia sequestrato completamente la democrazia, con il martellamento quotidiano di morti e contagi (e silenzio su tutto il resto) a tenere insieme l’opinione pubblica, e il sostanziale assenso, salvo alcune eccezioni, di chi soprattutto a sinistra dovrebbe esercitare il diritto di critica (ed ecco che succede che quelli che protestano sono, insieme alla gente esasperata, i fascisti che rimestano nel fango…). Il discorso è ovviamente complesso e dovrebbe andare al di là di questo sfogo (prima o poi cercherò di articolarlo), ma sono sbigottito da come la retorica e il panico e la criminalizzazione « dei giovani che non rispettano le regole ed è tutta colpa loro » (è certo più semplice accusare e infantilizzare gli altri, piuttosto che mettere in movimento provvedimenti efficaci) abbiano come paralizzato un paese. Ovviamente molti di questi meccanismi, in particolare lo stato di eccezione che irreversibilmente passa nel diritto comune, sono propri di molti altri paesi, Francia compresa. Ma la retorica dei giornali e l’onnipresenza del covid in Italia hanno assunto contorni grotteschi: gli effetti sociali, psichiatrici etc.di tutto questo avranno, a medio termine, effetti più devastanti dello stesso virus. E soprattutto, è impossibile parlarne: molta gente sembra impazzita, e la parola « negazionismo » è indecentemente usata per mettere a tacere qualunque dubbio, questione… Per questo, grazie delle Sue parole.
Gentile Giuseppe, grazie per il suo commento molto articolato e ricco di spunti. Qui non si tratta, infatti, di negare la reale esistenza di un virus che circola e mette in pericolo la salute e la vita di molte persone, ma di interrogarsi sul modo in cui questa situazione difficile è affrontata dal mondo della politica, delle istituzioni, della società civile. Di colpo, sembra che tutto si sia sbandato, come se la democratica capacità di gestire la cosa pubblica fosse solo una leggera patina formale che al primo impatto s’è lacerata, facendo uscire fantasmi vecchi e nuovi, propaganda, autoritarismo, impreparazione. Da ammiratore della cultura di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione, vorrei vedere una classe politica più attenta al compito morale che un dirigente assume nei confronti di quelli che dirige. Non comandanti, ma piloti; e non perché hanno i gradi sulla manica o amici potenti e famiglie celebri, ma perché hanno capacità. Vorrei vedere i nostri politici dare l’esempio, sacrificarsi, rischiare in prima persona. Invece mai, i sacrifici sono sempre riservati al cittadino comune. Vorrei tanto vedere rispettata la nozione di « responsabilità ». Se può interessarle, ho scritto oggi un pezzo che prosegue sul tema:
https://discorsivamente.wordpress.com/2021/03/13/lockdown-e-la-storia-si-ripete/.
Cordiali saluti,
Gianluca
Caro (dopo due « gentile » si passa al caro), solo per dirle che ho letto l’altro articolo e sono d’accordo su tutto: Giustizia e Libertà e Partito d’Azione sono del resto per me un punto di riferimento costante, sicuramente quel che di meglio l’Italia ha saputo esprimere nella sua storia. È vero, come dice l’altra risposta al suo articolo che la Francia non sta meglio — ma qui, almeno, diversi intellettuali tentano di discutere, di porre domande, di criticare: fra altri, si vada a vedere se non la conosce già Barbara Stiegler (De la démocratie en pandémie, Gallimard 2020). L’Italia intellettuale, a parte rare eccezioni (Wu Ming, Agamben, che tuttavia in parte delira…) sembra adattarsi beatamente al discorso ufficiale. Sociologicamente, culturalmente mi chiedo: come mai?