Convegno Italiques: Gli Ambasciatori italiani in Francia tra il 1945 e il 1991 

Se una nuvola, come quella sulle navi degli immigrati, ha coperto il primo anniversario del Trattato del Quirinale tra l’Italia e la Francia del 26 novembre 2021, la fondatezza di questo si è invece manifestata negli scambi di visite sempre più concreti tra le rispettive autorità politiche e diplomatiche. Scambi e accordi a tutti i livelli fino a quelli militari con comuni e importanti progetti d’interesse europeo quali il  –PIIEC- o bilaterali con ulteriori studi fra ricerca e cultura.

Un rapporto continuo, come dimostra il “Dialogo italo-francese per l’Europa” della LUISS e di Sciences Po del 23 novembre all’Ambasciata di Francia a Roma, che aveva proprio come tema “Il Trattato del Quirinale e il suo impegno nei confronti delle giovani generazioni”, alla presenza dei Presidenti delle associazioni italo-francesi e degli studenti delle rispettive Università.Il ruolo di Marc Lazar, Professore di Sciences Po e della LUISS, rimane essenziale nei rapporti accademici tra i due Paesi, anche grazie alle  sue interviste e ai suoi interventi giornalistici e televisivi.

Lo è stato pure il Convegno del 1° e 2 dicembre su “Gli Ambasciatori d’Italia in Francia dal 1945 al 1991”, organizzato dal Presidente Jean Musitelli dell’associazione “Italiques” e dal suo Vicepresidente, Professore di Storia all’Università di Bologna, Alessandro Giacone, i quali hanno così parimenti contribuito a dare la precedenza a quelle che lo storico Renouvin chiamava “les forces profondes” nei rapporti tra gli Stati piuttosto che alle “nuvole” tra la Francia e l’Italia, amplificate mediaticamente.

Jean Musitelli

A quelle “Forces profondes”, come quelle del popolo italiano descritte da De Gasperi, nonostante i danni politici prodotti dal fascismo, sono quelle di cui Giuseppe Saragat a Parigi nel 1945-46 era stato il primo Ambasciatore, anche come ex esule in Francia, e anche se (come ha ricordato Patrizia Dogliani dell’Università di Bologna) l’effetto di questi danni s’era manifestato negli scetticismi che egli, al di fuori dei suoi rapporti con gli ambienti socialisti, aveva incontrato negli interlocutori istituzionali. Scetticismi durati anche dopo la sua partenza e durante la Conferenza della Pace, seppure non si volesse chiamarla così in ricordo degli errori di quella di Versailles, di fronte ai quali De Gasperi aveva dichiarato il 10 agosto 1946 di parlare da “italiano”, “democratico antifascista”, “rappresentante della nuova Repubblica” per “riaffermare la fede della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo (a partire anche da quello delle frontiere a est del Friuli-Venezia-Giulia) operato con validi strumenti di pace”.

Il convegno

Tanto erano poi, a partire dalla seconda metà del 46, diminuiti questi scetticismi con Pietro Quaroni Ambasciatore a Parigi, quanto erano invece aumentati quelli suoi (come ha ricordato Antonio Varsori dell’Università di Padova) nel nuovo scenario mondiale. Giunto da Mosca, egli aveva cominciato a credere sempre meno nelle innocue autonomie statali in politica estera e perciò sempre più nella necessità di solidificare ancora di più il blocco occidentale di fronte a quello che si solidificava a est. Perciò nelle relazioni con gli USA non bastava il piano Marshall, ma era necessario essere coscienti della necessità dell’Alleanza Atlantica più di quanto De Gasperi temesse che l’opinione pubblica non lo fosse. Era iniziato allora per Quaroni a Parigi il lungo periodo di vicissitudini che tracciavano la Storia di quel dopoguerra: la costituzione della NATO nel 1949; la guerra di Corea (1950-53), riguardo alla quale egli aveva ritenuto che l’Italia dovesse avere una posizione ancora più discreta di quella indicata dal suo collega a Washington Tarchiani; la dichiarazione di Schuman del 1950 sull’Europa come unione economica e la creazione della CECA nel 1951; il rifiuto nel 1954 del Parlamento francese della Comunità Europea di Difesa, dopo le variazioni del suo progetto da quando Monnet e Pleven l’avevano proposto; il controllo del riarmo della Germania; la conferenza di Messina “embrione” della CEE e la nascita di questa nel 1957 con il trattato di Roma; la crisi di Suez del 1956 per cui Gronchi e Mattei erano più a favore di Nasser dei francesi e degli inglesi;  la sconfitta francese di Dien Bien Phu; il governo di Mendés-France tra questa e l’inizio della guerra d’Algeria; tutte vicissitudini che accompagnavano la crisi della 4a Repubblica (soprattutto tra l’Esecutivo e il Legislativo, come riferiva nei rapporti), fino alla sua nomina di Ambasciatore a Bonn nel 1957.

I 10 mesi a Parigi nel 1958 del suo successore Alberto Rossi Longhi gli erano (secondo Fédéric Attal dell’”Université de Valenciennes”) stati sufficienti per ammirare De Gaulle, ultimo Presidente del Consiglio della Quarta Repubblica e primo Presidente della Quinta Repubblica in quell’anno, per il sistema di stabilità costituzionale instaurato con il semipresidenzialismo (anche se il referendum per l’elezione al suffragio universale diretta del Capo dello Stato avrà luogo nel 1962 e in Italia sedurrà Randolfo Pacciardi nel 1964), ma anche per vedere nel Generale quegli elementi contrari alla riduzione della sovranità nazionale, tali per cui nel 1966 la Francia uscirà dal Comando Militare della NATO.

Manlio Brosio, Ambasciatore a Parigi dal 1961 al 1964, lavorava sugli elementi di disturbo della NATO, come ricordato da Bruna Bagnato dell’Università di Firenze, ricordando come Brosio già allora aspirasse ad essere Segretario Generale (come lo è poi stato fino al 1971). Già come Ambasciatore a Washington egli aveva visto con scetticismo i rapporti di Enrico Mattei con gli indipendentisti e ritenuto tiepido l’atteggiamento di Roma di fronte a loro. Il trattato franco tedesco dell’Elysée del 1963 poteva forse ridurgli i timori riguardo alla Germania Federale e forse tenere un po’ più a distanza l’Inghilterra (sulla quale rimaneva scettico) dalla CEE, ma se fosse stato un elemento di consolidamento all’interno del sistema occidentale non avrebbe impedito poi a de Gaulle di far uscire la Francia nel 1966 dal comando militare della NATO. Se Brosio, allora, si definiva “guerrafreddista” per mantenere così l’equilibrio tra est e ovest, ancora più “freddo” egli diveniva riguardo alla politica interna italiana tendente sempre di più a sinistra, anche se non lo manifestava ligio nell’esercizio del suo dovere di sviluppare ancora gli incontri italofrancesi.

Rapporti che si intensificavano, quando nel 1964 arrivava Giovanni Fornari come Ambasciatore a Parigi (fino al 1969). Nel 1965, come ha ricordato il già citato Giacone nel suo intervento, l’inaugurazione dei Presidenti De Gaulle e Saragat del traforo del Monte Bianco avveniva contemporaneamente alla “sedia vuota” del membro francese al Consiglio dei ministri della CEE, per l’opposizione al progetto di sostituire la maggioranza, con l’unanimità nelle decisioni di questo finché a fine anno, il “compromesso di Lussemburgo non lasciò l’unanimità per i casi d’interesse vitale di uno Stato. Tra il 1965 e il 1967 le opposizioni di de Gaulle a qualsivoglia limitazione alla sovranità francese, non gli suscitarono il favore della stampa italiana, ma la sua presenza al Campidoglio nel 1967 per l’anniversario del decennale dei Trattati di Roma bastò a far credere che le divergenze fossero solo contingenti. Infatti, i rapporti tra de Gaulle e Fornari restarono costanti pure sul piano personale, tenendo anche conto dei loro incontri informali all’Elysée.

Il trattato del Quirinale

Finché con l’arrivo di Francesco Malfatti di Montetretto come Ambasciatore e di Pompidou come Presidente della Repubblica nel 1969 appariva una nuova generazione, la cui solidità era comunque garantita dalle rispettive azioni di resistenza durante la guerra e dalla visione d’un futuro più moderno, rispettando i principî del passato.

Cambiavano dunque anche le personalità: Malfatti (nei ricordi del figlio Giorgio nella sessione presieduta dal giornalista Paolo Romani all’Ambasciata) aveva a che fare con un Presidente più aperto anche letterariamente, mentre dopo le divisioni dei partiti di sinistra all’elezione presidenziale del 1969 Mitterrand si preparava a diventare nel ‘71 il segretario del PSF allora costituito. Malfatti fu testimone del referendum sull’allargamento della CEE, all’Union de la gauche, alla creazione del “Front National” nel 1972 e, dopo l’elezione di un Presidente della Repubblica ancora più giovane: Giscard d’Estaing, alla “Loi Veil” di depenalizzazione dell’aborto nel 1974 e alla “rupture de la gauche” nel 1977, che apriva un nuovo corso della Storia francese.

E dal quale il suo successore, Gian Franco Pompei, assisteva a sua volta agli alterni rapporti tra il PSF e il PCF, scrivendone con scetticismo nelle sue relazioni, come ha ricordato Matteo Gerlini dell’Università di Siena. Solo nel 1981 i socialisti arrivarono al potere (dopo la partenza di Pompei) con la vittoria di Mitterrand alle presidenziali.

Nonostante gli scetticismi verso la situazione politica in Italia, Pompei era riuscito a mantenere ad alto livello i rapporti poiché Giscard d’Estaing gli aveva personalmente espresso le condoglianze per la morte di Moro e, oltreché con la sua visita a Roma, si era dichiarato favorevole nel 1978 all’ingresso nello SME dell’Italia, e prima della sua altra visita nel 1981 erano rimasti frequenti gli incontri intergovernativi (tra l’altro con i viaggi rispettivi di  Andreotti, Cossiga Presidente del Consiglio e François-Poncet).

Foto del Convegno – Ambasciata d’Italia in Francia

A Walter Gardini, Ambasciatore dal 1981 al 1988, spettava dunque l’accreditamento presso il nuovo corso di sinistra della Francia, una nuova esperienza di fronte alla quale le sue capacità si adattavano senza problemi tenendo conto, come ha ricordato l’Ambasciatore Giancarlo Leo, del suo lungo passato di negoziatore al Ministero degli Esteri a Roma e come negoziatore nel 1969-70 a Parigi del ristabilimento dei rapporti con la Cina. Anch’egli riuscì ad aumentare significativamente gli incontri intergovernativi tra i due Paesi, indipendentemente dai cambiamenti dei governi non solo in Italia ma pure in Francia. Questi incontri servivano anche a chiarire la posizione della Francia sui rifugiati terroristi italiani (tema anche degli incontri di Andreotti con Dumas e di Mitterrand con Craxi nel 1985) e a difendere la parte dell’Italia quando non era abbastanza valutata nei vertici internazionali.

Emanuela D’Alessandro nuova ambasciatrice d’Italia in Francia

Gli ex Ambasciatori a Parigi Luigi Guidobono Cavalchini (dal 1991 al 1995) e Giovanni Caracciolo di Vietri (dal 2009 al 2013) hanno infine concluso il convegno, rievocando alcune delle loro esperienze come per Cavalchini: il suo rapporto con Jacques de Larosière, Governatore della Banca di Francia, che gli confidava l’impazienza di fronte all’attesa delle decisioni sulla politica monetaria della Germania dopo la caduta del “muro”; quello con Philippe Séguin, Presidente della Camera, invitato da Giorgio Napolitano nel 1995 alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia: così si mantenevano anche i rapporti tra i partiti diversi; il colloquio del 1992 tra i Capi di Governo Bérégovoy e Amato sulle privatizzazioni;  il vertice italofrancese a Aix en Provence del 1994, che riuniva personalità ben diverse tra di loro (Mitterrand, Balladur e Berlusconi). Anche Caracciolo ha assistito al passaggio dei poteri dalla destra alla sinistra, con l’elezione nel 2012 di Hollande Presidente della Repubblica e la maggioranza di sinistra alle Camere. Ha ricordato tuttavia lo scarso valore delle etichettature politiche, a destra perché era impossibile assimilare Sarkozy a Berlusconi (Presidente del Consiglio fino al 2011) o Monti (suo successore fino al 2013); o assimilare ai Le Pen (padre e figlia) Fini (Presidente della Camera fino al 2013), non essendoci stata in Francia una “svolta di Fiuggi”, ricordando il suo attivo impegno per mantenere il migliore dialogo con tutti i suoi interlocutori francesi nell’interesse del Paese e dell’Europa.

Mantenere quel “dialogo” che fino al 2021 è stato l’arma con cui Teresa Castaldo ha completato la sua missione di Ambasciatrice a Parigi con il Trattato del Quirinale, con la collaborazione di Emanuela D’Alessandro che, come suo successore da ottobre, ha ospitato l’ultima parte del convegno.

Alla nuova ambasciatrice giungano i migliori auguri di Altritaliani.

Lodovico Luciolli

LINK AL SITO DI ITALIQUES, con numerose belle foto dei protagonisti del Convegno “Les ambassadeurs d’Italie” / “Gli ambasciatori italiani”. + Video QUI

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Lodovico Luciolli
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1 COMMENTAIRE

  1. Grazie, caro Lodovico, di avermi inviato l’interessante resoconto sul Convegno
    di Italiques al quale purtroppo non ho potuto partecipare a causa di un impegno
    familiare a Roma. Approfitto dell’occasione per inviarti molti affettuosi auguri!
    A presto, Ludovico ( Ortona )

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