Con la cerimonia di chiusura condotta con garbo ed emozione dalla madrina di quest’anno, la spagnola Rocío Muñoz Morales, si è conclusa il sabato sera del 10 settembre l’edizione numero 79 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, qui al suo novantesimo compleanno (1922-2022). Ecco a voi il palmares del Concorso e alcune considerazioni del nostro Andrea Curcione, da Venezia.
È stata una Mostra che ha offerto un programma molto ricco sia di contenuti che di quantità (erano ben 22 i film in concorso quest’anno) ma non si può dire di notevole qualità. E come ogni anno anche in questo la Giuria di Venezia 79 presieduta dall’attrice inglese Julianne Moore ha spiazzato i critici in merito alle scelte dei film premiati.
Ad iniziare dal Leone d’Oro, che è andato al documentario “All the Beauty and the Bloodshed” della regista e produttrice statunitense Laura Poitras. Il Leone alato vola ancora una volta negli Usa (che insieme alla Francia quest’anno faceva, scusando il gioco di parole, la parte del leone con la sua notevole presenza in Concorso) ed è la terza volta che va a una pellicola diretta da una donna, dopo e la statunitense Chloé Zhao (“Nomadland”, 2020), la francese Audrey Diwan (l’”Evénément”, 2021). La Poitras, già vincitrice nel 2015 dell’Oscar per il documentario “Citizenfour” a Venezia ha presentato il suo ultimo lavoro dedicato alla vita dell’artista e attivista di fama internazionale Nan Goldin e della sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della casa farmaceutica appartenente alla famiglia Sackler produttrice dell’oppiaceo Ossicodone che solo negli Usa ha fatto migliaia di vittime. Il documentario, seppur toccante e ben fatto, resta però un prodotto modesto, scelto probabilmente solo per l’argomento, e non lascerà molto spazio alla memoria.
Il film italiano “Bones and All” di Luca Guadagnino, diventato ormai un importante regista a livello internazionale, premiato con il Leone d’Argento per la migliore regia, è l’unico lavoro italiano (ma realizzato negli Usa con una produzione e un cast internazionale) che ha spiccato tra i cinque film italiani presenti alla Mostra. In Concorso c’era anche l’interessante e dignitoso film di Gianni Amelio “Il signore delle Formiche” ma purtroppo non è stato nemmeno preso in considerazione, mentre sono stati da dimenticare i lavori di Crialese, Pallaoro e Nicchiarelli. Inoltre, al lavoro di Guadagnino con una storia di amore e cannibalismo è andato anche il premio Mastroianni all’attrice esordiente Taylor Russell, co-protagonista insieme a Thimotée Chalamet.
Una rivelazione è stato invece il film di Alice Diop “Saint Omer”, Gran Premio della Giuria, premiato sia con il Leone d’Argento ed anche con il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima Luigi de Laurentiis. Francese di origini senegalesi, la Diop nasce come documentarista, ma questa volta ha realizzato un film tutto ambientato in un’aula di tribunale mentre si svolge un processo a una giovane ragazza senegalese, studentessa universitaria, che dopo una storia d’amore andata male con un uomo sposato, più anziano di lei, rimasta da sola e incinta, ha ucciso il proprio bambino. La storia ispirata alla tragedia greca di Medea è basata sul racconto al processo della ragazza che risponde alle domande del giudice – una donna – per comprendere il sostrato culturale nel quale è avvenuto l’infanticidio. Il riconoscimento ha voluto premiare un’opera semplice nella sua struttura, ma intensa e soprattutto di una nuova regista.
L’inglese Martin McDonagh che a Venezia aveva vinto nel 2017 l’Osella d’Oro per la migliore sceneggiatura per “Tre manifesti a Ebbing – Missouri” ha ricevuto la soddisfazione di vedere il suo ultimo lavoro “Banshees of Inisherin – Gli spiriti dell’Isola” premiato per la seconda volta per la sceneggiatura originale, e il suo bravissimo protagonista Colin Farrell vincitore della Coppa Volpi come migliore attore. La storia di un’amicizia che si conclude improvvisamente tra due amici (da premio anche l’attore Brendan Gleeson), ambientata in una remota isola irlandese negli anni Venti in piena guerra civile è stata molto apprezzata da pubblico e critica che si aspettava qualche importante riconoscimento; invece è rimasta un po’ di delusione per un film che meritava qualcosa di più.
All’australiana Cate Blanchett, protagonista assoluta del film “Tár” del regista Todd Field, nelle vesti di un arrogante e presuntuoso direttore d’orchestra di una importante filarmonica è andata la Coppa Volpi come miglior attrice. La Blanchett è ormai un’attrice dalla carriera consolidata e di successo e questo premio non fa che confermarlo ancora una volta. Forse la Giuria poteva pensare a qualche altra figura inedita o innovativa presente in altri film; ad esempio a Trace Lysette, la trans protagonista del film “Monica” di Pallaoro.
Il premio più meritato è stato invece quello Speciale della Giuria assegnato al film “Gli orsi non esistono” del regista iraniano Jafar Panahi, recluso da luglio in un carcere del suo paese; a ritirare il premio sono stati due protagonisti del film. Il regista de “Il palloncino bianco” e “Il cerchio” che da molti anni si batte per una cultura libera e per la democrazia nel suo paese, ha realizzato il suo ultimo lavoro in clandestinità, prima del suo arresto, con una storia che lo vede coinvolto in prima persona in un remoto villaggio di pastori, frutto ancora di ignoranza e antichi riti superstiziosi e tradizioni mentre sta dirigendo via computer una sua troupe che sta girando un film a Teheran su una coppia di oppositori al regime che tenta di lasciare il paese. Il film di Panahi è a sua volta un film con una denuncia poco velata sulla condizione degli iraniani sotto il regime repressivo. Per questo la voce libera del regista è stata ascoltata dalla Giuria e il premio al film è un segno per tenere alta la protesta per la sua liberazione e per tutti gli altri registi e intellettuali reclusi nelle carceri iraniane.
Da ultimo segnaliamo due film che hanno colpito l’attenzione della critica e del pubblico e che meritavano davvero un premio. Il primo è “Argentina 1985” dell’argentino Santiago Mitre (distribuzione Amazon Studios), un film intenso e importante, ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985, in una patria da pochi anni in democrazia, indagarono e perseguirono i responsabili della sanguinosa dittatura militare argentina. Il secondo è “The Whale” di Darren Aronofsky, tratto da una pièce teatrale di Simon D. Hunter, la storia di un solitario insegnante di inglese affetto da una grave forma di obesità (il bravissimo attore Brendan Fraser) e depresso, che cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente con la quale ha perso i contatti, per un’ultima possibilità di redenzione. Probabilmente due film che sentiremo ancora parlare per la notte degli Oscar.
Appuntamento al prossimo anno al Lido per l’edizione di Venezia 80 !
Andrea Curcione
SUL SITO DELLA BIENNALE: tutti i premi ufficiale della 79. Mostra