Nella rubrica Missione Poesia vi presentiamo l’ultimo libro di Matteo Marchesini, Scherzi della natura (Valigie rosse, 2022), nel quale sono protagonista le relazioni con quel senso di impossibilità a comunicare che a volte prevale su tutto: in rilievo la fragilità dell’uomo che contempla e ricerca ma anche teme i rapporti, e teme sé stesso, tra autobiografia e senso critico sullo stare al mondo, sempre ricercando la verità delle parole.
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Matteo Marchesini è nato a Castelfranco Emilia nel 1979. Tra il 1999 e il 2003 ha gestito una piccola libreria e dal 1998 al 2010 ha collaborato a un annuario di poesia curato insieme a G. Manacorda e P. Febbraro. Già autore di libri per ragazzi, tra le sue pubblicazioni si ricordano: le raccolte di racconti Le donne spariscono in silenzio (Pendragon, 2005) e Miti personali (Voland, 2021), il ritratto-guida Perdersi a Bologna (Edizioni Interculturali Uno, 2006), le poesie di Marcia nuziale (Scheiwiller, 2009), le satire di Bologna in corsivo. Una città fatta a pezzi (Pendragon, 2010), i saggi letterari Soli e civili (Edizioni dell’asino, 2012), Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia (Quodlibet, 2014). Del 2013 è il suo primo romanzo Atti mancati (Voland), candidato al Premio Strega dello stesso anno, in cui emergono riflessioni sul romanzo come genere che può nascere solo da una scrittura in grado di affrontare la realtà, mentre è del 2017 la raccolta di tre romanzi brevi False coscienze. Tre parabole degli anni Zero (Bompiani). E ancora: Cronaca senza storia (Elliot, 2016), Case di carta (Il saggiatore, 2019), Scienza di Niente (Eliot, 2020), Scherzi della natura (Valigie rosse, 2022), Diario di una cavia. Saggi di letteratura e attualità (Castelvecchi, 2022). Attualmente collabora tra l’altro con Radio Radicale, Il Foglio e Il Sole 24 Ore.
Conosco Matteo Marchesini da una vita, da quando frequentavo il Comune e la Biblioteca comunale di Anzola dell’Emilia per eventi letterari e artistici. Matteo presentò allora, parliamo del 2006, la prima mostra di pittura di Maurizio Caruso, (oggi nel Direttivo dell’Associazione EstroVersi), realizzata in provincia di Bologna e proprio nelle sale espositive del Comune suddetto. Preparatissimo già all’epoca il giovanissimo Matteo mi colpì per la dialettica, l’impegno e la dovizia di particolari e citazioni che emersero dal suo intervento. Da quel momento in poi l’ho sempre seguito nel suo percorso di scrittore e critico in continua crescita. É una delle figure di rilievo del panorama culturale e giornalistico italiano. Lo presento davvero volentieri al primo incontro che apre la rassegna Un thè con la poesia del 2024 a Bologna evento che, tra le altre cose, segna un decennale di attività della nostra associazione, così come dieci anni sono ormai trascorsi dal primo articolo di questa rubrica.
Scherzi della natura
La raccolta di poesie Scherzi della natura viene pubblicata dopo sei anni dalla precedente, e segna il ritorno in poesia delle tematiche che stanno a cuore a Matteo Marchesini, in una dimensione emotiva rinnovata dal passare del tempo, e dalla nuova età dell’autore, quella di mezzo, titolo anche di una delle sette sezioni del libro (Padri e figli, Relazioni, Età di mezzo, Storiografia, Dal vero, Appendice. Sei traduzioni) nonché sottile filo conduttore di tutta l’opera. Incontreremo in questo percorso tra i versi dell’autore, principalmente le relazioni, il rapportarsi con gli altri e con i propri sentimenti, il senso di impossibilità a comunicare che a volte prevale su tutto, la fragilità dell’uomo che contempla e ricerca ma anche teme i rapporti, e teme sé stesso, il tutto raccontato attraverso una modalità che unisce l’autobiografia al senso critico sullo stare al mondo, sui risvolti che le relazioni hanno nel sociale, sempre ricercando la verità delle parole. Per fare questo Marchesini si arma di strumenti retorici, che sa maneggiare bene, e che si rivelano utili allo scopo: forme metriche dall’endecasillabo al settenario, dall’epigramma al poemetto, fino quasi alla prosa poetica; forme stilistiche quali rime, anche interne, assonanze, anafore; una poesia ragionata più che metaforica fondata sull’io poetico ma anche sul dialogo; l’utilizzo di parole che non sembrerebbero di primo acchito proprio poetiche… inoltre, non è impossibile reperire qua e là rimandi alla poesia di alcuni grandi del ‘900, e questo a dimostrazione che – come sempre diciamo – non siamo nati soli, e i grandi maestri accompagnano sempre il poeta sulla via che intraprende, qualunque essa sia.
Spuntano dunque a tratti, nei versi di Marchesini: le scelte ritmiche di Caproni, la sintassi di Gozzano, le forme più riflessive del secondo Montale, le verità dissimulate di Sbarbaro, la poesia onesta di Saba. Tra il sobrio e il profondo, nell’equilibrio tra un desiderio intimo e una volontà di critica sociale, qui viene bandita ogni impronta banale, ogni schema già configurato, sebbene s’intuisce che la mitologia fatta di archetipi sia alle spalle della narrazione, e del desiderio di intraprendere questa via. Infanzia, confronto tra generazioni, desiderio di crescita e superamento della dimensione paterna, affronto storico nella direzione dell’autenticità ricercata, dello scatto che porta all’età adulta, tutto fa presumere il desiderio di confrontarsi comunque con la tradizione: Quando camminano per strada/la mano nella mano, a testa alta,/sempre pronti a occupare una piazza/per qualche buona causa/e curiosi di ogni faccia, ogni negozio/nuovo, passo dopo passo sembrano/ringiovanire i miei,/mentre io che li spio in ozio/alla finestra, fiacco, testa bassa,/distratto dal rancore/per il tempo che passa/sono il loro ritratto/di Dorian Gray.
Anche l’amore, affrontato nella seconda sezione del libro, serve per quel ricercato e già menzionato percorso di crescita, così come la messa in discussione delle relazioni familiari (terza sezione) che sembrano lottare con la ragione del poeta che, tuttavia, ormai si presume averle superate, battezzandole come accettabili e serene sconfitte.
Ma la cosa che più affascina, alla lettura di questi testi è, senz’altro, la sensazione che producono, una sensazione quasi tattile, da sentire a pelle, che porta la scoperta di un desiderare il rinnovamento, una rinascita da ottenere grazie al ripercorrere il passato sino ad arrivare alle origini dell’uomo, attraversando il pensiero di una possibile scelta di vita da parte del nascituro. Torniamo qui nel campo delle emozioni forti, della fragilità, delle esitazioni che hanno portato l’umanità al punto in cui è: l’esame passa attraverso la IV sezione, Storiografia, dove si oppone al primordiale dinosauro un animale più piccolo e impuro, l’uomo stesso, a cui spetta il disegno del futuro evolutivo, non sempre prodotto nella giusta direzione e dal quale, il poeta, tende a dissociarsi: Immaginatevi il dinosauro:/seduto nella foresta/che sarà un giorno Epidauro/progetta il teatro futuro/e sulla testa/vede già il lauro/che al suo posto raccoglierà/un animale più piccolo e impuro. […] Qui, in questa sezione, si raccolgono i pensieri intorno all’età contemporanea, ai disagi e alle menzogne, a ciò che conoscevamo e torna a turbarci, nella mancanza di consolazione di una pienezza di vita, rappresentata appunto dall’età di mezzo, blindata nelle sue paure, forse non più così infantili, ma ancora in piena attività, che non trovano riparo nemmeno nella penultima sezione, Dal vero, – l’ultima è un’appendice di traduzioni di testi di altri poeti – dove tra occhiali smarriti, tigli dal profumo senza nome, desiderio di scrivere si completa l’analisi amara di una sopravvivenza epocale nella terra desolata, che tutti accoglie e respinge nella medesima metafora dell’umano suo ventre: Il corpo insegna storia moderna/alla mente appena nata./La mente spiega l’idea eterna/del male al corpo che l’ha creata.
Di questo libro vorrei sottolineare un paio di testi, anche se tutti contengono un loro peculiare interesse, una loro intrinseca bellezza da cui è difficile non lasciarsi coinvolgere, come dimostra la selezione di questi, riportata al termine dell’articolo.
Tuttavia voglio segnalare dalla prima sezione Padri e figli, Weibliche, che tradotto significa Femminino, in quanto mi rimanda a due immagini forse speculari e imprescindibili: la prima è quella di una donna che, come spesso succede, si prende cura di un uomo, può essere un compagno, un figlio, un padre – non ha importanza il ruolo che riveste la figura maschile in questo testo -, che non può fare a meno di esercitare i suoi compiti di “crocerossina”, che si prodiga in quest’impegno estendendolo anche ai piccoli gesti, spesso senza accorgersi che generano più fastidio che approvazione, laddove l’amore è quasi scambiato per pietà male accolta; la seconda è quella di una donna che, pur sapendo i rischi che corre per le violenze subite, continua a essere servizievole nei confronti del suo carnefice, convinto di essere a sua volta vittima di quelle attenzioni… non saprei dire quale di queste due interpretazioni possa essere quella giusta, magari nessuna lo è… resta però la drammaticità di un testo che trasmette in pochi e chiari versi sentimenti contrastanti, palpabili, visivi, immaginabili e condivisibili, nella ferocia e nella dolcezza di una descrizione di gesti e pensieri che appartengono a entrambi i personaggi, e di conseguenza a tutti noi. Nel finale del testo si riscontra, quasi espresso sottovoce, il concetto di quella banalità del male che spesso passa così in sordina nelle nostre vite: Come distinguere le sue carezze/dai gesti con cui gli ravvia i capelli,/gli alza il bavero o tira giù il maglione/che anche oggi ha spiegazzato? Sono i tocchi/sotto i quali si torce dal prurito/sognando di picchiarla, ma che soli/per un po’ gli assicurano di esistere. […]/Dopo un minuto, o un mese, o un anno torna/alla mano che umilia e che consola/e invecchiando s’illude sia un riscatto/metterlo in versi o in prosa. Ma la pagina/prende le stesse pieghe dei vestiti, /le allergie della pelle: è un crudo abbozzo, /una promessa che soltanto altri/col loro tocco possono finire./Meglio: un’altra. Una al suo posto pronta/a nascere del tutto, cioè a morire.
Dalla terza sezione, Età di mezzo, voglio invece segnalare Più luce, quasi una canzone di rimembranze leopardiane, se non fosse per quella forma dialogica che si concentra nella prima metà del testo, tra consapevolezza del dolore umano, compassione e condivisione di questo, in una dimensione Europea di spazio e di tempo, in un consumarsi d’amore che prova ad ammettere infrazioni, ma non riscontra consensi né cambiamenti alla sua condizione. Un testo di una profondità e amarezza abissali, che porta a galla tutte le infrazioni commesse, tutta l’amarezza per il lascito alle nuove generazioni, tutto il vociare che fa da sfondo alle illusioni disattese. Tremendo e vero come un coltello che apre una ferita, sapendo di non poterla suturare: È un tempo senza rime né metafore./Le cose ridiventano le cose,/canzoni d’estate le utopie,/blockbuster le speranze […]/Eppure ancora il mondo non ha perso/la sua aura, ancora non fa resistenza:/neanche adesso la vita/prende una forma chiara, una durata./Calde le pietre, tiepide le pelli,/le frasi ironiche, angosciati i baci,/e dunque loro/non possono più essere che loro:/innamorati/di miraggi diversi ogni stagione […]/Ma se è così, lo stesso/pensate a lei e a lui con indulgenza/voi che verrete un giorno:/troppo presto /li illusero che non avrà scadenza /l’ultima luce nelle città d’Europa. /Se un giorno leggerete i loro smartphone/senza disprezzo voi/fissatene le rughe di bambini/che di colpo hanno avuto/l’ombra del mondo intero con un tasto,/il tremito di figli /a cui tutte le cose /sono state di colpo note e inutili/e che al mattino per sognarsi eroi/strisciano i trolley nelle città vuote.
Alcuni testi da: Scherzi della natura
Biografia
Sono cresciuto in mezzo ai libri e ai vecchi.
Negli asili emiliani madri ansiose
riflettevano come degli specchi
convessi ogni mio atto, mentre io
traducevo la loro angoscia in asma.
Vicino il padre mite era un fantasma
con le pupille acquose, e i miei compagni
un’altra specie su cui fare astratti
esperimenti, come gatti o ragni.
Tra la villetta a schiera e i casolari
dei nonni o zii ex mezzadri la domenica
compivo un viaggio tutto letterario
e una meta rendeva l’altra esotica.
Quel mondo a lungo l’ho creduto eterno.
Solo per questo avevo del coraggio:
scambiavo il tempo per un alfabeto,
le invettive composte sul quaderno
per un duello, e l’arrendevolezza
degli adulti con ciò che erano stati.
Ma è bastato sbagliare la carezza
del primo amore, dividere un segreto
senza specchiarlo, imbattersi nel caso
maligno perché come Bazarov
scoprissi di non essere cresciuto.
Da allora tutti i libri sono chiusi.
Ma i vecchi che avevano azzeccato
quella prima carezza, che sapevano
ogni cosa di me senza parlare
e non si erano illusi sulla sorte
mi stanno ancora intorno e sono giovani,
sempre più giovani: con una calma nuova
guardano maturare la mia morte.
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Case
Tu sei come la figlia
di un re in esilio: in qualunque città
traslochi con la scia
delle tue insegne, fai dei bilocali
d’affitto una reggia colorata
e in pochi giorni
i negozianti ti chiamano per nome
sperando nella tua benevolenza,
hai nel rione il libraio di fiducia,
la bici, la piscina,
e spalanchi con gesto naturale
le porte di una festa
per uscire seguita da un corteo.
Solo me che hai sedotto
non sai convincere a calcare il mondo
con il tuo passo:
dopo più di un anno
i posti mi rimangono stranieri,
come unici amici ho due o tre vecchi
che al bar mi graziano
soffiandomi un grugnito sempre uguale
e lascio i muri spogli
perché io che li scrivo neanche i libri
sopporto intorno
se non in casi estremi per difendermi.
Come spiegarti? Era già così
dove sono cresciuto.
È che vengo da gente
(chissà se lo sapevi quando ti ho
sedotta col mio unico talento:
essere un altro)
abituata ad alzare a malapena
lo sguardo sui palazzi
di portici e cortili in cui sei nata.
Talmente fonda era la soggezione
che nemmeno ci entrava
con la livrea dei servi.
Scrosta col dito la mia letteratura
fino ai nervi
e trovi questo:
un’antichissima paura
che solo il Novecento ha trasformato
in un amore – o quando mi ricordo
che ormai non possiedo né il passato
né il presente
e constato con quale leggerezza
tu te li porti addosso,
in puro odio.
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Poesia d’amore
Vuoi davvero sapere chi sono?
Ricòrdati allora: se ridi
e mi tendi le mani
penso subito a un plagio, a una trama
oscura, italiana;
se facciamo l’amore e rimani
a girare per casa
sento entrarmi nel corpo il contagio
e comincio a imitarti finché
diventiamo due uguali – due estranei.
A quel punto, che cosa ci resta?
Sì, i progetti: ma se parli del nostro domani
tutto intorno mi sembra un presagio.
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Un paziente
So descrivere tutto
fuorché ciò che accade al mio corpo.
Davanti ai dottori balbetto
e mi tocco come si avanza
a tentoni, fiutando
l’odore di un mostro
dentro a una camera buia.
È che il mio corpo è vostro:
di voi tutti che lo sfiorate
per amore, o mestiere, o per caso.
Mia è solamente la paura.
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Oggi
Stai sempre per dire qualcosa
poi inghiotti l’aria e taci.
Tutto è già detto. Tutti hanno ragione.
Una rosa è e non è una rosa.
La bocca serve per i cori e i baci
o a nominare bestie, oggetti, persone.
Al massimo, fai una dedica.
Ma no ai predicati: sono una predica
inutile. Una gaffe dell’umore.
Chi si lamenta ha torto.
Ascolti il silenzio del vincitore
per distinguerlo da quello del morto.
Bologna, gennaio 2023
Cinzia Demi
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/