“Tornavo a quel che avevo dimenticato di avere abbandonato”, Chiara Valerio scrive a pagina 142, e tutto il suo libro è un omaggio alla potenza dei ripensamenti. Cosa significa fare ritorno a qualcosa di sé di sopito, taciuto. Ricongiungersi a un vero desiderio, antico, il più forte e importante. Dopo di allora, con fedeltà e disciplina, giorno dopo giorno, forti di un nuovo patto stretto ancora una volta con se stessi, non più cambiare strada.
Prima che interessantissima silloge di biografie di matematici, prima che memoir dove qualcosa di molto personale e altro di assolutamente impersonale coabitano, Storia umana della matematica è un’ode alla non disappartenenza di sé a se stessi. Un monito a mantenere allineate, il più possibile, vocazione e inclinazione, compessità interna e sua strutturazione esteriore. Identità e mestiere. Anima, sensibilità, e impronta visibile data alla propria vita. Che tutto converga. Vinca quella forma per anni vagheggiata per la propria esistenza, magari senza rendersene conto, né bene saperlo.
L’autrice è stata una brillante e promettente matematica. In precedenza scartata dal concorso di ammissione alla Scuola Normale per le materie letterarie, aveva scelto di sublimare quello scacco dirottando la sua versatile, guizzante intelligenza verso un’altra branca dello scibile, quella pure al centro della sua vita di bambina (poi ragazza). I numeri.
Succede che la vita impieghi tempo a parlare, ma quando si dichiara, lo fa alto e chiaro. Nel lungo termine, la verità si impone. Chiara Valerio torna a quel che più amava. Leggere, scrivere, ragionare secondo prospettive di cui l’universo numerico, nella ricchezza sfaccettata della sua complessità, era anticamera: codificava e preannunciava il mondo, ma senza chiaroscuramente restituirlo, come possono invece magnificamente le parole. Dopo questo ritorno, di figlia prodiga e molto più ricca di chi non è mai partito, tutto prende a tenersi insieme più compatto, così come accade quando impegno e talento combaciano, e il destino fa il resto. Il lavoro editoriale (ora anche di promozione di cultura tout court, con un ruolo decisivo nell’ideazione e realizzazione di “Tempo di Libri”, la nuova Fiera che si inaugurerà a Milano il prossimo aprile). Grazie a un duplice salto mentale, diviene possibile all’autrice riconsiderare la matematica dal punto di vista della dimora raggiunta, quella delle parole. Per di lì comprendere quanto l’universo dei numeri corrisponda al tempo dell’attesa, o meglio ancora “della qualità dell’attesa”. E guardare alle nevrosi ossessive di noti e meno noti “calcolatori”, ai labirinti teorici delle loro prismatiche personalità, con occhio infallibile di biografa e romanziera…
Le vocazioni, per potere dirsi, conoscono talvolta genesi complesse. Stratificate. Prima celandosi dietro le vite altrui, creando intersezioni tra la propria biografia e quelle di grandi matematici (molto bene raccontate), via via Chiara Valerio ci disvela anche il suo mondo. Nel farlo, è come intendesse trasmetterci un apologo, il cui senso si potrebbe riassumere così: sii te stesso, ma sappi aspettare. Approdata al più sicuro porto della propria autentica ambizione (essere una scrittrice e una letterata il cui amore per i libri e le parole lascia trapelare in ogni sua declinazione quello, altrettanto forte, per i numeri) è divenuta vulnerabile forse, ma per quello più appagata, armoniosa. Con molte più domande nella testa di quante risposte la realtà possa fornirle. E felice di potere assecondare le sue prime passioni, la lettura e la scrittura, dopo avere spaziato tra algoritmi, equazioni, altri ardui calcoli.
Storia umana della matematica offre un racconto senza sbavature di un percorso tutt’altro che lineare. Una giovane vita vissuta con coerenza, obbedendo come a un credo a quel che si ama per davvero.
Familiari allegri, vitali, solidali, fanno da co-protagonisti a questo Bildungsroman incentrato intorno a quel particolare snodo che è solo di certe controverse (e fortunate) traiettorie umane. Per cui quanto più si abbandona il dover-essere per l’essere, quanto più diventare se stessi si fa imperativo ineludibile, davanti al quale molte altre sedicenti priorità scolorano, tanto meno forte è l’istinto ad addentrarsi in altri dominî che non siano quelli avvertiti come istintivamente propri, a sé conformi. Il mondo, così introiettato, sedotto (in senso etimologico, se-ductum) ora possiamo portarlo dentro. Che si legga e si traduca Virginia Woolf, che si riconsideri Euclide o la “scommessa” pascaliana, il punto è lo stesso. Leggere e scrivere hanno reso saggi e scaltri. Magari ipersensibili, però insubordinati. Liberi. Di creare un libro insolito (comprese le epigrafi in chiusura di capitoli), e che lascia in chi legge una vera traccia. Non c’è equazione o algortimo che arrivi a descrivere questo apogeo che è avere disegnato il proprio cammino, e senza ripensamenti ora percorrerlo, né leggeri né pesanti. Semplicemente, difficoltosamente, se stessi.