Gigli e fiori in memoria dell’amato Andrea Camilleri.
Eppure questo non è, non puo’ essere, un coccodrillo perchè non si piange sul cantore della grandezza.
Di questo si tratta: di una narrativa epica che pure si camuffa sotto le vesti modeste della quotidianità, che trae dal dolore e dalla morte, l’imput per la vita, che indica come con un fascio di luce ciò che rende meritevole il vivere.
È questo è il compito della grande letteratura.
In un racconto di Corrado Alvaro il protagonista proclama alta la sua vocazione a divenire poeta. Ha visto nei banchetti chi recitava versi e vi ha colto la grandezza. La madre piange. Il poeta non è certo un mestiere redditizio.
Tutti hanno riconosciuto nella parola vivente, ricca di vibrazioni e di profondità, l’essenza della ricerca di Camilleri ma il senso, oserei dire meridionale, della grandezza sta qui, nell’ostinata ansia di giustizia e verità di Montalbano che lo apparenta ad Antonello, sempre di Corrado Alvaro, quando il protagonista di “Gente in Aspromonte” esclama:
-Ed incontrerò infine la giustizia-
Il senso della morte e del dolore si riscatta solo attraverso questa perenne ricerca.
Tra le parole nuove coniate da Camilleri ce n’è una che mi è cara: ‘nsemula. Essa tradotta vuol dire insieme. Ma c’è come un ritmo di danza dentro la sua vibrazione.
Il senso profondo poi è di una condivisione perenne, di una comunità che pur nell’errore, nella finzione, contiene come un incitamento a stare uniti.
Proprio come diceva Tiresia, tutte le parole di un cieco vedono.
Tiresia si opponeva a Edipo che era il potere.
Il potere è davvero cieco, la parola vede, quando è rivolta all’idea di giustizia.
Erede di una tradizione letteraria antica in cui la parola è spettacolo, ma con una vocazione ascetica al fondo, Camilleri ci invita a non dividerci.
Il decadentismo della morte nasconde la ricerca della grandezza e della giustizia.
Tiresia era caro a Camilleri perchè vedeva.
Carmelina Sicari