Disponibile l’edizione francese dal titolo “De la discorde à l’entente: Camille Barrère et l’Italie (1897-1924)” di Enrico Serra, dedicata all’attività d’un diplomatico d’eccezione, Ambasciatore a Roma per più di un quarto di secolo, che ha contribuito all’ingresso dell’Italia in guerra con la Triplice Intesa. Il libro è stato presentato il 21 marzo scorso a Parigi in presenza dell’Ambasciatrice d’Italia Emanuela D’Alessandro e della Secrétaire générale adjointe Caroline Ferrari al “Ministère de l’Europe et des Affaires Étrangères”, la cui “Direction des Archives” ne ha curato la pubblicazione nella sua collana “Diplomatie et histoire”. Ne scrive Lodovico Luciolli per Altritaliani.
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In Francia, al contributo nelle relazioni italo francesi dello storico Enrico Serra (1914-2007), non poteva mancare quello del suo volume “Camille Barrère et l’Italie, 1897-1924”, non solo per essere stato per 27 anni ambasciatore di Francia a Roma, lavorandovi (come nel titolo) “de la discorde à l’entente” (da predecessore indiretto di André François-Poncet che non aveva invece avuto la possibilità tra il 1938 e il 1940 di deviare la Storia dell’Italia dall’“Asse” del 1936 e dal “Patto d’acciaio” del 1940 con la Germania), ma soprattutto perché il volume originario “Camille Barrère e l’intesa italo-francese” edito da Giuffré nel 1950 mancava alla serie di lavori fatti insieme allo storico Jean-Baptiste Duroselle (1917-1994).
La traduzione del volume iniziata da Duroselle è stata allora completata dagli storici Maurice Vaïsse, Anthony Crézégut, Gilles Ferragu, Étienne Santiard, Alessandro Giacone, Caroline Bornet e dal figlio Maurizio Serra.
Il quale è intervenuto come storico in quanto, essendo la sua giornata di 72 ore (!), per 24 è Accademico di Francia dal 2020 (https://altritaliani.net/maurizio-serra-immortale-sotto-la-coupole-primo-italiano-allacademie-francaise/) dopo aver concluso brillantemente la carriera diplomatica da Ambasciatore all’UNESCO a Parigi e all’ONU a Ginevra; per 24 è romanziere (“Amours diplomatiques”, éd. Grasset, 2020 e Marsilio, 2021; “Visiteur”, éd. Grasset, 2023); e per 24 e più di 24 è lo storico autore (tra l’altro) di “Les Frères séparés: Drieu La Rochelle, Aragon, Malraux face à l’Histoire” (éd. La table ronde, 2008 e Settecolori, 2007); “Marinetti et la révolution futuriste” (Éd. De L’Herne, 2008); “Malaparte, vies et légendes” (éd. Grasset, 2011 e Marsilio, 2012, premi “Casanova” e “Goncourt”, 2011); ”Italo Svevo ou l’antivie” (éd. Grasset, 2013 e Aragno, 2017); “D’Annunzio le magnifique” (éd. Grasset, 2018 e Neri Pozza, 2019) e “Le mystère Mussolini” (éd. Perrin e Neri Pozza, 2021).
La sua parte di storico minuzioso e gradevole come il padre era già stata riscontrata nelle sue prefazione e note nella ripubblicazione del libro di François-Poncet “Au palais Farnèse, souvenirs d’une Ambassade à Rome” (éd. Perrin, 2019, https://altritaliani.net/i-ricordi-di-francois-poncet-nei-suoi-anni-da-ambasciatore-di-francia-a-roma/), che testimoniano (tra l’altro) che sotto gli affreschi dei Carracci gli inviti a cena di Ciano da parte dell’Ambasciatore si concludevano in una drammatica beffa come quelli, nello stesso posto, di Tosca da parte di Scarpia, contrariamente a quanto avveniva con gli ospiti di Barrère poiché questi già nel 1898 era riuscito ad averne come risultato il trattato commerciale di quell’anno tra la Francia e l’Italia, opponendo tra l’altro il liberismo di Luigi Luzzatti Ministro delle Finanze, con cui l’aveva negoziato, al protezionismo di Jules Méline, Presidente del Consiglio e Ministro dell’Agricoltura.
Barrère dall’ufficio accanto al Salone d’Ercole riusciva dunque fin dall’inizio a imporsi con la stessa forza di questo sugli scetticismi di Parigi (e più di François-Poncet più tardi, in particolare su quelli del Segretario Generale del Quai d’Orsay Alexis Leger, che confluivano nelle ambiguità), favorito d’altronde da Delcassé, Ministro degli Esteri dal 1898 al 1905 (e nel 1914-1915, anno a partire dal quale Barrère aveva come principale interlocutore lì Jules Cambon, Segretario Generale fino al 1920).
Il ricevimento del 1° gennaio 1901 a Palazzo Farnese faceva seguito allo scambio di note del mese precedente tra Barrère e il Ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta che confermava il disinteresse italiano per le mire francesi in Marocco in cambio di quello francese per le mire italiane in Tripolitania e Cirenaica. Quell’anno, con la morte di Crispi, erano seppelliti anche e seppure momentaneamente i precedenti dissidî con la Francia che questi aveva istigato non solo per l’Africa (1881: occupazione francese della Tunisia, 1894-96: Italia in guerra in Eritrea e Abissinia), ma anche sostenendo nel 1882 il seicentesimo anniversario a Palermo dei Vespri siciliani contro questa, che nel 1887 aveva tra l’altro aumentato la propria flotta a Tolone nell’eventualità d’un conflitto con la Triplice Alleanza (dal 1882 tra Germania, Austria-Ungheria e Italia) per le rivendicazioni (es.: Alsazia-Lorena) dalla guerra del 1870-71.
Anzi, a Tolone nel 1901 c’era stata la visita d’una flotta italiana, in presenza del Presidente Loubet, ricambiata da quella a Napoli d’una flotta francese nello stesso anno.
Lo scambio di note del 1° novembre 1902 tra Barrère e il nuovo Ministro degli Esteri Giulio Prinetti era ancora più consistente: “Au cas où la France serait l’objet d’une agression directe ou indirecte de la part d’une ou de plusieurs puissances, l’Italie gardera une stricte neutralité. Il en sera de même au cas où la France… se trouverait réduite à prendre l’initiative d’une déclaration de guerre”. Rappresentava implicitamente anche le convinzioni di Zanardelli, Presidente del Consiglio, Giolitti, Ministro dell’Interno, e faceva seguito all’impossibilità di variare la Triplice Alleanza (come Prinetti aveva invano sperato nell’incontro con il Cancelliere von Bülow a Venezia) se non con l’aggiunta, in occasione del rinnovo in giugno a Berlino, d’una dichiarazione di disinteresse per l’azione dell’Italia in Tripolitania e Cirenaica. Questo scambio di note, segreto finché Barrère e Sforza Ministro degli Esteri nel 1920-21 decidevano di renderlo pubblico, aveva tuttavia fatto decidere nel 1909 al Capo di Stato Maggiore Brun il trasferimento di alcuni corpi d’armata dalla frontiera delle Alpi a quella della Lorena, e rendeva Barrère inamovibile da Roma pure per Clemenceau Presidente del Consiglio nel 1906-09, quando ne era stato messo al corrente: “évidemment, on ne peut pas toucher à lui”.
Successivamente, la premura di Barrère nel volere uno scambio di visite tra il Re Vittorio Emanuele III e il Presidente della Repubblica Émile Loubet incontrava l’opposizione di questi: “je ne veux pas que Victor-Emmanuel vienne à Paris car je ne veux pas lui rendre visite à Rome. La politique antireligieuse de Combes” (Émile, Presidente del Consiglio nel 1902-05, Senatore a favore delle leggi anticlericali nell’insegnamento nel 1901 e 1904) “me fait horreur”! Sembrando allora la “questione romana” non meno risolta a Parigi che a Roma (d’altronde dal Concordato del 1801 di Napoleone era passato più di un secolo, e la legge di separazione Stato e Chiesa del 1905 interrompeva poi le relazioni diplomatiche tra la Francia e il Vaticano fino al 1920), Barrère aveva anche ipotizzato con il Cardinale Agliardi come rimedio uno scambio di visite con il Segretario di Stato del Vaticano, finché i primi tempi della successione di Pio X a Leone XIII e il suo zelo a Parigi (tale da non tener conto di quello dell’Ambasciatore Tornielli) avevano infine avuto come risultati la visita nell’ottobre 1903 nella capitale francese di Vittorio Emanuele III e nell’aprile 1904 quella di Loubet nella capitale italiana (e a Napoli, al cui largo navigava per dispetto l’Imperatore tedesco Guglielmo II durante le manifestazioni della Marina per il Presidente francese!).
Nel 1904 inoltre gli accordi della nuova ”Entente cordiale” tra la Francia e l’Inghilterra, comprendendo l’astensione della Francia dagli interessi inglesi in Egitto e quella dell’Inghilterra da quelli francesi in Marocco, erano un’ulteriore occasione per Barrère per ravvicinare l’Italia alla Francia, proponendo a Visconti-Venosta di partecipare alla Conferenza di Algesiras del 1906 sulla spartizione delle influenze in Marocco, ov’egli sosteneva quindi che i tedeschi non potevano non far valere la Triplice Alleanza anche nel Mediterraneo mentre chiedevano all’Italia di sostenerli lì. Per la Francia (e parzialmente la Spagna) ne è risultata la maggior influenza accordata in quel Paese: controllo delle dogane, dunque controllo economico e, dopo il vano “colpo d’Agadir” del 1911 da parte delle navi tedesche, il protettorato sotto il generale Lyautey dal 1912; e per l’Italia il maggior riconoscimento delle sue aspirazioni coloniali.
Le quali, proprio dopo il “colpo di Agadir” e l’ulteriore presenza della Francia in Marocco avevano accelerato la decisione nel 1911 di Giolitti Presidente del Consiglio e Paternò di San Giuliano Ministro degli Esteri della guerra alla Turchia per la Tripolitania e la Cirenaica, durante la quale Barrère riusciva a mantenere la Francia favorevole all’Italia nonostante i timori di destabilizzazione in Europa con la Germania più favorevole alla Turchia, la Russia perciò più preoccupata, e i Balcani ancora a maggior rischio. Ma ci riusciva non senza difficoltà con Poincaré, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri nel 1912, poiché questi aveva giudicato l’azione italiana (anche nel Dodecaneso) come conseguente alla politica estera erratica della Francia fino a prima e, dopo i suoi atteggiamenti che per reazione avevano anche favorito quell’anno in Italia il rinnovo della Triplice Alleanza, s’era infine rassegnato alla richiesta di Barrère d’accettare e far accettare alla Turchia nello stesso anno il trattato di Losanna (poi di Ouchy) con l’Italia: “l’action de Barrère plus intense vers le Quai d’Orsay que vers la Consulta” (dov’era allora il Ministero degli Esteri) “était parvenue à faire bouger Poincaré”!
Ma anche “à faire bouger” le preoccupazioni successive dei francesi e degli inglesi per l’espansionismo italiano nel Mediterraneo (occupazione di Rodi e delle altre isole vicine). Allora, dai rapporti di Barrère (“si la diplomatie anglaise possédait le don de diagnostiquer parfaitement les situations, elle avait le défaut de ne pas les prévoir”) emergeva l’ulteriore necessità, anche di fronte a Churchill Primo Lord dell’Ammiragliato, di presentare quest’espansionismo come un’opportunità integrativa della presenza navale inglese e francese nel Mediterraneo, anziché conflittuale.
Già prima della fine del conflitto italo turco il Ministro degli Esteri Grey aveva accennato all’Ambasciatore Imperiali a Londra la possibilità d’un accordo tra l’Inghilterra, la Francia e l’Italia di riconoscimento delle rispettive posizioni nel Mediterraneo, che Barrère aveva poi abbozzato con il collega inglese e i suoi interlocutori italiani a Roma, ma lo scoppio della guerra balcanica alla fine del 1912 (“Lega balcanica”: Montenegro, Bulgaria, Serbia e Grecia contro la Turchia), con il trattato di Londra del 1913 che non ne aveva stabilito soddisfacentemente i confini (e che aveva creato il “principato di Albania” a causa dei timori dell’Italia e dell’Austria sull’espansionismo serbo lì), e perciò il nuovo scoppio causato dalle rivendicazioni della Bulgaria e terminato nello stesso anno con i trattati di Bucarest e Costantinopoli, faceva apparire questi come inefficaci di fronte ai revanscismi che l’anno successivo da Sarajevo con l’attentato a Francesco Ferdinando infiammavano tutta l’Europa.
Vanificatosi dunque anche il lavoro di Barrère per l’intesa sul Mediterraneo, a lui non rimaneva che evitare che l’Italia entrasse in conflitto dal lato della Triplice Alleanza. Eccolo allora al lavoro presso Paternò di San Giuliano Ministro degli Esteri, Ferdinando Martini Ministro delle Colonie e Salandra Presidente del Consiglio che, dichiarando l’Italia neutrale il 2 agosto 1914, eseguivano il patto del 1902 e consentivano alla Francia di spostare altri corpi d’armata dalle Alpi all’est.
Succeduto il 5 novembre (dopo il breve interim di Salandra) a di San Giuliano (deceduto) Sonnino, questi affidava a Imperiali Ambasciatore a Londra il passaggio dell’Italia dalla Triplice Alleanza alla Triplice Intesa (derivante questa dagli accordi francorussi dal 1891, anglofrancesi dall’”Entente Cordiale” del 1904, e anglorussi dal 1907 sulle spartizioni geografiche delle rispettive influenze). Così il patto di Londra firmato il 26 aprile 1915 da Imperiali, i suoi colleghi francese Paul Cambon e russo Aleksandr Benkendorf, ed Edward Grey Ministro degli Esteri, con i consistenti compensi territoriali o d’influenze promessi all’Italia (Trentino, Friuli, Istria, Dalmazia e Isole, Dodecaneso, Albania, Libia, Eritrea, Somalia tra gli altri compensi coloniali), pur rimanendo segreto, consentiva all’Italia di dichiarare il mese successivo la guerra all’Austria-Ungheria.
Era vanificato così anche il ritorno al fine del neutralismo a Roma di von Bülow (favorito dall’esservi stato Ambasciatore dal 1893 al 1897 e dall’essere sposato con la figliastra di Minghetti, oltreché dalla posizione di ex Ministro degli Esteri dal 1897 al 1900 e poi da quella di ex Cancelliere dell’Impero germanico fino al 1909, nonché dal suo amore per la capitale dove moriva nel 1929).
Barrère aveva tra l’altro intuito che a Roma non gli conveniva sostenere gli interventisti, perché il loro successo era comunque prevalente sui neutralisti fino alla concessione della Camera dei pieni poteri al governo per la dichiarazione di guerra. Conveniva piuttosto calmare le preoccupazioni del Vaticano, dov’era perciò inviato Charles Benoist (poi Ambasciatore a L’Aja), che, dopo che Benedetto XV gli aveva detto “il faut qu’en Europe soit maintenu au moins un grand État catholique, cela ne peut pas être la France républicaine ni l’Italie avec l’usurpation romaine, l’Autriche donc”, rispondeva al Papa: “mais avec l’Autriche triompherait l’Empire prussien et luthérien, péril plus sérieux” (il Papa gli aveva allora chiesto: “pourquoi me laisssez-vous seul avec vos ennemis”?).
La permanenza a Palazzo Farnese di Barrère durante la guerra calmava pure gli scetticismi tra i rispettivi governi sulle rivendicazioni successive (tra cui quelle dell’Italia nell’Adriatico balcanico di fronte ai Serbi), per cui al rifiuto alla fine del 1915 di Salandra e di Sonnino d’una conferenza a Parigi egli faceva seguire nel febbraio 1916 una visita a Roma del Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Briand che attenuava questi scetticismi fino agli accordi di Saint-Jean-de-Maurienne del 1917 (con Ribot successore di Briand e con gli inglesi) di spartizione della Turchia costiera: Adana alla Francia e il resto a sud con Smirne all’Italia.
Barrère si opponeva anche all’idea d’una pace separata con l‘Austria, e anzi nel corso della disfatta di Caporetto, alla Conferenza di Rapallo nel novembre 1917 egli (in rappresentanza del nuovo Ministro degli Esteri Barthou e insieme al nuovo Presidente del Consiglio Painlevé e ai Generali Foch e Weygand) sosteneva più dei militari britannici che accompagnavano lì il Primo Ministro Lloyd George la necessità dei rinforzi all’Italia.
La quale, terminata la guerra, se aveva avuto il torto di terminare così il Risorgimento volendo altre guerre di conquiste, aveva almeno evitato di continuarle implicandosi nella guerra civile in Russia (anzi: più tardi Nitti, Presidente del Consiglio dal giugno 1919 al giugno 1920, faceva le prime aperture ai sovietici, rif.: E. Serra: “Nitti e la Russia”, ed. 1975) dopo che Clemenceau (di nuovo Presidente del Consiglio dall’aprile 1918 al gennaio 1920) continuava a concentrarsi invece sulle azioni punitive alla Germania. Ecco allora e ancora Barrère difendere alla Conferenza della Pace a Versailles l’Italia proponendone l’appoggio alla Francia nella questione renana in cambio della difesa dei suoi interessi nelle questioni adriatiche (innanzitutto le frontiere) e mediterranee, ma stavolta inutilmente di fronte all’opposizione del Presidente USA Wilson con i suoi “14 punti” e alla tiepidezza del Primo Ministro britannico Lloyd George. E di fronte allo stesso Clemenceau, il quale gli aveva ordinato di non riaccompagnare la delegazione italiana da Roma a Versailles dopo che Orlando (Presidente del Consiglio dall’ottobre 1917 al giugno 1919) e Sonnino (Ministro degli Esteri) se n’erano andati per protestare contro l’appello diretto di Wilson agli italiani.
Nel 1924, dunque, a 73 anni d’età, di fronte al nuovo scenario a Roma (dov’era arrivato a 46 anni d’età), era normale che Barrère fosse pensionato da Édouard Herriot, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri dopo aver vinto le elezioni con il suo “Cartel des gauches”, in opposizione al “Bloc national” di Clemenceau al governo fino ad allora.
A Parigi, dove ha vissuto fino al 1940, era dal 1926 membro dell’“Académie des Sciences Morales et Politiques”, di cui Enrico Serra è stato anche corrispondente.
Come non dovergli allora quest’edizione di “scuola diplomatica”, che anticipa di circa 100 anni l’esempio di lavoro compiuto dall’attuale successore di Barrère a Roma, Christian Masset, con le colleghe Teresa Castaldo ed Emanuela D’Alessandro a Parigi e prima al Quirinale, che ha dato luogo lì al quel Trattato del 26 novembre 2021 che unisce (ricordando Renouvin, maestro di Serra) les “forces profondes” dei due Paesi piuttosto che le polemiche di livello simile o inferiore a quelle, fondate o infondate, che accomunavano Barrère, Delcassé, Zanardelli, Bissolati o Barzilai alla massoneria?
Lodovico Luciolli