A Nord di Roma, il Parco dei Mostri di Bomarzo, dove aleggia ancora il fantasma del suo committente Vicino Orsini, non provoca più grandi brividi. I mostri sono ben altri nella nostra epoca e certamente più imprevedibili, sofisticati e cattivi delle grandi figure infernali scolpite nel Cinquecento nei massi erratici di peperino. Neppure i bambini, abituati a ben altre mostruosità quotidianamente propinate da cinema e televisione, si spaventano più di tanto davanti alla bocca spalancata dell’Orco che nasconde una sala da pranzo e non hanno paura di perdere il senso dell’equilibrio camminando nella casetta pendente né rabbrividiscono entrando nel ninfeo popolato di divinità marine e draghi alati.
Il Parco, detto anche Sacro Bosco, si trova in provincia di Viterbo, a valle del borgo medievale di Bomarzo, il romano Polimartium, sul versante destro del Tevere. Al di là del fosso della Concia, su una serie di terrazzi naturali, si sbizzarrì l’estro irridente di Pirro Ligorio che progettò anche le Fontane di Villa D’Este a Tivoli. L’architetto del Papa venne chiamato da Vicino Orsini per ideare un giardino dove l’assenza di senso delle proporzioni e della scala antropomorfica avrebbero dovuto inquietare e stupire.
Strano personaggio il condottiere Orsini: esiliato da Roma verso la metà del ‘500, si fece costruire un palazzo sulle fondamenta del vecchio castello e il giardino sacro ispirato, sembra, al fantastico bestiario dell’Orlando Furioso. Manca però nel Parco la levità e la gioia del modello letterario: mal si accordava infatti uno spirito malinconico come l’Orsini con le olimpiche, siderali invenzioni ariostesche. Parla il misterioso Bosco il linguaggio di archetipi che suscitano sentimenti di sgomento, paura, meraviglia, di dei, demoni, eroi e semi-dei, ma anche di miti divenuti nel tempo impenetrabili, legati ai primordi della cultura occidentale come il culto del sole e dei morti.
Cosa fare allora? Abbandonarsi all’ingenua meraviglia e recuperare stati d’animo legati all’infanzia, oppure tentare di leggere in queste figure qualcosa di più inquietante e misterioso che inerisce al cammino umano e ultraterreno? Potrebbe anche essere un viaggio all’interno di noi stessi questa strana passeggiata: si può cogliere in quel parco, un’oscura, misteriosa presenza del divino, del sacro, di ciò che si ritiene dia origine e senso all’esistenza di noi uomini. Non per niente, varcato il limite del Sacro Bosco, una Sfinge ci pone il quesito: “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte.”
Gli arcani, Dei involuti tra simboli e semidei
Entriamo dunque nell’area popolata di mostri, di divinità infernali, nel mezzo di una foresta di castagni, faggi, noccioli. Accanto al Pantheon ellenico esistevano in questa zona, che faceva parte della misteriosa Etruria, gli arcani. Dei involuti, dalle funzioni oscure e complesse. Gli antichi Romani agli Aruspici etruschi si rivolgevano per interrogare gli Dei in momenti particolarmente delicati o in caso di prodigi, attratti, specie dopo la crisi del VI secolo, da una realtà ultraterrena popolata di demoni inquietanti.
Le gigantesche figure scolpite nei massi di peperino incarnano gli Dei più arcani e sono Saturno, Fauno, Giano, Evandro, la triplice Ecate, Glauco il pescatore che diventa un dio marino dopo aver mangiato un’erba magica. Ci si addentra nel Bosco presi da uno strano incantamento: ecco Ercole che squarcia Caco, lotta di giganti quasi in gara con Rodi, la città dei Colossi, come recita una delle numerose epigrafi “Se Rodi altier fu già del suo Colosso pur di questo il mio bosco anco si gloria…” La grande tartaruga porta sul dorso una donna ammantata simbolo della vittoria alata, sul fondo del burrone è scolpita una Balena, il ninfeo ad emiciclo rovinato dal tempo accoglie le tre Grazie, ai piedi tritoni, delfini, leoni, la Venere dei Cimini non ha i tratti delicati della Venere di Milo, ma fattezze gravi, quasi maschili.
Uno degli angoli più pittoreschi di questo singolare Giardino è la platea dei vasi. Nettuno simbolo del Tevere che scorre in fondo alla valle ha vicino un delfino, c’è la Ninfa addormentata, Cerere, l’elefante con la torre simbolo di eternità, il drago alato simbolo del tempo.
Come in ogni giardino nobile che si rispetti non manca il teatro, subito dopo la Casa pendente, costruita su un masso inclinato, dà una sensazione di capogiro. Eccoci infine giunti davanti all’enorme bocca spalancata del re degli Inferi Orcus, all’entrata del mondo sotterraneo; e il vaso gigante non sarà poi quello con cui Bacco, Dio del vino, compì l’ultimo viaggio? Riposiamoci sulla panca etrusca e leggiamo: “Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua, son facce orrende, elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi.”
Infine gli Dei sotterranei, gli Inferi, là dove si stende l’orizzonte ultimo delle possibilità umane. Ormai ci attende Cerbero, il terribile guardiano dell’Ade, prima di incontrare la regina Proserpina, Echidna e Furia.
In cima, salita una scala di pietra, l’elegante tempietto tetrastilo venne dedicato da Vicino Orsini alla seconda moglie Giulia Farnese. Su tutto incombe, attorniata da case medioevali, la malinconica, tetra dimora dell’Orsini, enigmatico personaggio a misura delle strane meraviglie che ordinò di scolpire nella pietra.
Francesca Graziano