Vivere e morire a Napoli

Le fredde telecamere a circuito chiuso di una stazione di Napoli riprendono la morte indiretta di un suonatore ambulante. Il tutto tra cittadini divisi tra il terrore e l’indifferenza. Cosa accade alla città di Napoli? L’anno scorso due bimbe rom morirono annegate, trascinate sulla spiaggia, rimasero ore tra bagnanti che continuavano la festa. Vivere e morire a Napoli, la città che si è arresa alla rassegnazione.

Arrivano su quattro moto, guidando in contro senso, nel cuore di Napoli, quartiere Montesanto, sparano all’impazzata, sono un gruppo di fuoco della camorra. Un suonatore ambulante che è con sua moglie e che sbarca il lunario, suonando nei treni della locale stazione ferroviaria della camorra è colpito, entra in stazione chiede aiuto, così come la moglie che grida terrorizzata, la folla presente in parte fugge, altri impassibili timbrano il biglietto per prendere il treno. Petru Birlandeanu, musicista da strada rumeno, muore così, tra l’indifferenza della gente di Napoli.

Non è un racconto di fantasia, non è un romanzo da favellas, non l’ha scritto Luis Alfredo Garcia-Roza, non è l’ultimo film di Walter Salles Jr., l’autore di “The city of god”, se non ci credete guardate il filmato preso da La Repubblica on line.

Ma del resto non era un romanzo, nemmeno la vicenda delle due bimbe rom, che l’estate scorsa, arrivate su una spiaggia del napoletano, avevano visto per la prima volta il mare e tuffatesi nelle acque erano morte annegate senza che nessuno intervenisse e che dopo, trasportate sulla spiaggia, rimasero ore in attesa che la mortuaria, le trasportasse via, tra una folla di bagnanti che impassibili continuavano a bere caffè, a magiare gelati, a rincorrersi e a ridere, continuando la festa.

Cosa accade a Napoli? Città medaglia d’oro della resistenza. Dove finanche gli scugnizzi erano celebrati con monumenti, come eroi, per aver sacrificato la propria vita contro i nazi-fascisti, per ridare dignità, onore e amore alla propria città. Cosa accade ad una città che in tutto il mondo era famosa per la sua cordialità, la sua generosa spontaneità, per il suo cuore tanto ricordato da Matilde Serao, nel suo “Il ventre di Napoli” dove raccontando della miseria (che sembra eterna) di Napoli, ne raccontava anche la capacità di aiutarsi, di essere solidali, di condividere quella miseria, perché si era tutti figli di dio.
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Dove è finita Napoli?

Non lo chiedo agli amici francesi, o degli altri paesi e che spesso la guardano con simpatia. A voi dico di non credere a quelle trasmissioni che mostrano Napoli pulita, felice e contenta tra i suoi tesori d’arte, le sue pizze i sorrisi e i mandolini. Chi mostra questo mente sapendo di mentire.

La realtà è che i napoletani sono sfiniti da secoli di degrado e tradimenti, da promesse mai mantenute. Rileggendo l’opera della Serao, si può ben percepire come nella città da oltre un secolo, sostanzialmente non sia cambiato nulla. C’è solo un dato che si percepisce in più, un silenzio tra le persone, una voglia di non vedere, una indifferenza rassegnata verso il proprio destino.

Indifferenti non solo verso l’iniquo destino delle due zingarelle, o verso l’orribile mattanza della criminalità organizzata. Ma anche da anni di “rifiuti” che la sommergono, verso una politica che alla distanza si misura dall’alternanza tra destra e sinistra in un turnover su chi deve corrompere e abusare della città per il proprio personale arricchimento. Per la cronaca siamo al passaggio di consegne dalla sinistra che ha amministrato per quasi venti anni e la destra che si prepara al suo turno di banchetto.

Già, i rifiuti, con il solito colpo di teatro di Berlusconi, all’indomani dell’elezioni fece sparire i rifiuti, con l’aiuto delle regioni leghiste che erano indisponibili a ricevere i rifiuti, fin quando il governo era di Prodi, gran senso dello Stato (si sono fatti gli italiani, evviva!), ma già ora il termovalorizzatore di Acerra è sotto inchiesta, sembra vi siano diverse irregolarità. La montagna di rifiuti monta. E’ finita la festa, l’immagine è stata data, prosit! Per inciso sta accadendo lo stesso con i terremotati de L’Aquila, ormai stanchi di promesse e di kermesse teatrali del nostro leader e sono ormai, desiderosi d’interventi concreti.

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Ma fermiamoci a Napoli.

Una città senza opportunità, senza lavoro, con un precariato che non dà futuro, che non ha mai avuto un suo sviluppo, nemmeno conservativo, i vicoli malsani, i palazzi diroccati del centro oggi abbandonati per fare posto ad uffici ed imprese, o semplicemente tenuti chiusi. Una città che ha perso la sua anima, la sua eterogenea e composita società ormai snaturata, depressa e impoverita, che si spinge ed è sospinta fuori dal centro storico, fuori dalla sua storia, come un serpente in un entroterra privo di tutto, allargandosi a macchia d’olio, verso altre province, prive d’infrastrutture e spesso dei più elementari servizi. In quartieri come Ponticelli (una volta bandiera dei comunisti), dove si svolge, ormai da tempo, una guerra tra vecchi e nuovi poveri, dove si arriva alla sommossa contro il campo rom che viene messo a ferro e fuoco nella notte, nell’indifferenza questa volta delle forze dell’ordine.

Di fronte a tutto questo i provvedimenti presi dall’attuale governo farebbero ridere se non fosse così tragica la situazione.
Fate le ronde! Dice il ministro degli interni, il leghista Maroni, e chi dovrebbe farle, quelli che scappavano o erano indifferenti mentre Petru moriva? Sono utili le ronde contro la camorra? O servono solo per punire il Petru di turno, per emarginarlo ancora di più, per assommare così odio a odio? Abbiamo messo a disposizione della città l’esercito, dice il ministro della difesa Ignazio La Russa, celebre per le sue esibizioni canore alla TV, quale esercito, in un sito “sensibile” come una stazione ferroviaria nel centro della città, teatro del fatto di sangue, non c’erano né soldati, né poliziotti e se c’erano forse guardavano altrove. E poi, a cosa serve l’esercito se non può avere, come è naturale che sia, compiti di polizia, e perché invece di fare le ronde e mandare i soldati che non sanno che fare, non date più fondi alla polizia? Invece di tagliarli come nelle ultime “finanziarie”?

Come si fa a non essere indifferenti in un paese dove nel silenzio e senza che nessun politico mobiliti la gente in difesa della democrazia, il capo del governo, che da dell’eroe al mafioso Mangano, da degli “eversori” ai magistrati che osano indagare su di lui, dopo che per anni si è fatto solo “leggi ad personam”, per risolvere le sue magagne processuali, che fa votare una legge che limita finanche la libertà d’informazione solo per non essere disturbato dalla pubblicazione dei suoi colloqui telefonici o dalle foto dei suoi “festini” nella villa Certosa in Sardegna. Quasi che il reato fosse rivelare la corruzione e non la corruzione stessa.

Il drammatico vuoto politico che si è creato nel centrosinistra che ancora oggi a nella Regione e nella città di Napoli equivoci personaggi che l’amministrano, con la stessa cultura politica dei vice re spagnoli di un tempo; che confondono la “cosa pubblica” con una “cosa nostra” e malgrado il grido di dolore dei tanti democratici, convinti, onesti e sinceri, alle primarie si sono ripresentati gli stessi uomini, la stessa eterna nomenclatura, che ha tradito ogni ideale, ogni speranza tra i propri iscritti e nella popolazione tutta.

La questione morale diviene l’inevitabile crocevia da cui passare per una radicale riforma del modo di fare politica dei suoi contenuti e dei suoi personaggi. Il PD a Napoli e in Campania è rassegnato alla sconfitta, nelle ultime amministrative ha perso anche la provincia di Napoli, Salerno e Avellino, eppure è talmente debole, da non poter imporre un cambio della guardia tra i suoi ampiamente compromessi responsabili locali.

A chi dovrebbero rivolgersi i napoletani, a quelli che li hanno derubati ieri, o a quelli che li deruberanno domani?

O c’è una riforma dei partiti, o cambia la politica oppure questa indifferenza diventera sempre più cruda e cinica.

Se Matilde Serao (nella foto) fosse ancora viva, chiederebbe oggi quello che chiedeva ieri: “Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnare loro come si vive – essi sanno morire, come avrete visto – per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla” (Il Ventre di Napoli, Matilde Serao, 1904).

Era il 1904 oggi è il 2009.

Può sembrare paradossale, ma quando la politica è quella vera; fatta di passioni sociali e civili, di partecipazioni anche contrapposte negli ideali tra i cittadini, si crea un humus che rende fertile la società, che viene considerata finalmente come una vera « res publica », da tutelare ed amare a prescindere dal modello organizzativo che si desidera sostenere.
Quando, viceversa, la politica è assente, i cittadini esclusi, emarginati dai processi di trasformazione storica della società, ecco che subentra il degrado, la sfiducia, poi l’indifferenza. Ne sono certamente colpevoli i cittadini, che avrebbero l’obbligo di essere consapevoli del loro ruolo, ed, in ogni caso, essere vivi e vigili, su quanto avviene, ma ne sono responsabili ancor più i partiti che, a quei cittadini, dovrebbero dare idee, speranze, progetti, azioni e, soprattutto, esempi.
Credo che proprio un illustre democratico, Walter Veltroni, disse con ironia e senso della realtà, non so se citando, a sua volta, qualcun’altro: « Se non ti occupi della politica, la politica si occuperà di te ».
Non so quanto questo possa essere vantaggioso.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Vivere e morire a Napoli
    Nicola,

    Leggere tuo articolo mi fa vivere un misto di choc, orrore e paradossalmente, l’ inquietante sensazione dejà vu.
    Cos’è diventata Napoli? ti domandi…
    Cos’è diventato il mondo? mi chiedo. Hai citato Walter Sales, e il suo City of God, dove la legge sfugge a quasiasi logica, dove non si capisce da quale parte siamo( da quella degli umani? Ma sei sicuro?????)
    Quando dico choc, parlo della triste costatazione che la vita poco o nulla vale…che la morte così… pubblica, davanti agli occhi di tutti è diventata uno spettacolo della miseria umana quotidiana…
    Lo assistiamo, lì impassibili, meri spettatori non interferiamo, neanche piangiamo…Saremmo diventati troppo induriti e insensibili, al punto di al massimo voler subito allontanarci dalla scena dell’orrore, non guardare niente, dimenticare per sempre?
    Può darsi…
    Può essere pure che, d’accordo con quello che mi ha fatto capire il circo della miseria quotidiana in Brasile, dove lo Stato non interviene, non compare…si creano i detti ‘poteri paralleli’… i qualli cercano, a loro modo la sistemazione sociale, lo stabilimento di nuove leggi per lo più perverse.
    E guarda che sull’omissione dei governi, noi brasiliani se ne intendiamo…eh…
    Non voglio giustificare, teorizzare nemmeno capire…
    Vorrei soltanto manifestare la mia solidarietà nei confronti delle persone a cui immagini e avvenimenti come questi accaduti a Napoli e sparsi per il mondo, ancora colpiscono…ancora fanno affiorare una lacrima di dolore, di incomprensione, di stupore…
    Segni di umanità…uffffaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!

    Regina Coimbra

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