Con l’espressione “questione meridionale” si indica l’ormai secolare dilemma di politica interna, tra il nord e il sud della nazione determinato dallo squilibrio economico, civile, sociale, culturale. Un viaggio nella letteratura post Unità d’Italia passando per l’analisi socio culturale di scrittori del calibro di Ignazio Silone e Giovanni Verga passando attraverso la penna di Francesco Jovine e Carlo Levi.
Con l’espressione “questione meridionale” si indica l’ormai secolare dilemma di politica interna, tra il nord e il sud della nazione, determinato dallo squilibrio economico, civile, sociale, culturale. La definizione venne usata per la prima volta nel 1873 dal deputato lombardo Antonio Billia, recependo la dolorosa situazione economica vigente nel Mezzogiorno, in confronto alle altre regioni dell’Italia unificata. Le origini di tale squilibrio sono lontane, da attribuire, secondo la storiografia ufficiale, a quella mancanza di un periodo “comunale” mai ascritto al sud; ed ancora alla presenza qui di monarchie straniere come la Spagna, di certo non evolute come lo era invece la Francia, occupante il nord dell’Italia.
Ma lo squilibrio diviene più evidente dopo l’Unità d’Italia, allorquando verranno a condividere il destino di una stessa nazione regioni industrialmente sviluppate, compresa l’agricoltura, con un ridotto tenore di analfabetismo. Nel Mezzogiorno, troviamo regioni nelle quali l’analfabetismo toccava addirittura il 90%, con un ceto borghese di là da venire e, soprattutto, troviamo una economia agraria basata sul latifondo.
In un territorio che il meridionalista Giustino Fortunato definiva “sfasciume pendulo”, le infrastrutture come strade, ponti, ferrovie, servizi pubblici, acquedotti, scuole, stentavano in uno stato lungamente embrionale, tale da determinare quel conseguente ritardo storico. “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, – sottolineava dai banchi del Parlamento il Fortunato – nessuno più mette in dubbio.”
C’è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gli intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale.” Dalle parole del Fortunato emerge una rilettura in chiave etica oltre che politica e culturale.
Molti sono gli studiosi che si sono appassionati alla “Questione meridionale”, con tagli diversi, dall’antropologico al socio-economico. In una dimensione piuttosto letteraria si vuole approdare in questa sede, con l’intento, ancorché minimale, di rileggere la “Questione” dagli scritti di autori che, con le loro pubblicazioni, hanno divulgato al mondo quel “ritardo” peraltro rintracciabile fino ai giorni nostri.
Una letteratura, quella sul Mezzogiorno, che arriva alla metà del secolo scorso ed oltre, e che conduce a personalità apprezzate e gratificate ovunque: da Giovanni Verga a Tomasi di Lampedusa, da Carlo Levi a Rocco Scotellaro e Francesco Jovine, fino a Carlo Bernari, al marsicano Ignazio Silone e Federico De Roberto; fino a lambire scrittori come il calabrese Corrado Alvaro e il lucano Vincenzo Buccino.
Opere di sensibile fattura le loro, ricche di immagini e di progetti umani; attese, del resto, che rimarranno molto spesso inevase, come lo sarà la stessa “Questione meridionale”, congruamente analizzata dall’ingegno di questi autori.
Su Ignazio Silone prevale l’intreccio fra cultura e politica, a partire dalla rappresentazione dei cafoni, i contadini senza speranza di Fontamara (da cui una versione cinematografica di Lizzani del 1977); l’autore rimarrà segnato dal tragico sisma di Avezzano del 1915, nel quale perse la madre. Sarà un flagello, il terremoto, che condizionerà anche altrove lo sviluppo del Mezzogiorno.
Rappresenta da sempre un affresco contro l’ingiustizia e lo sfruttamento quel mondo contadino raccontato da Francesco Jovine. Il suo romanzo Le terre del Sacramento, pubblicato postumo nel 1950, anno della sua scomparsa, rimarrà un emblema di volontà di riscatto, malgrado quei contadini, come dirà il suo protagonista Luca Marano, “si lasciavano intossicare l’anima senza speranza”. E rimarca un sottofondo di pessimismo, specie quando sottolinea che “domani avrebbero vissuto sfruttando, derubando subdolamente i contadini dei loro villaggi che erano legati alla loro stessa sorte dalla stessa ingiustizia”.
Jovine (nato vicino a Campobasso nel 1902) affonda la sua critica nelle promesse non mantenute, in una perpetuata sconfitta di classe, di coloro, gli ultimi, relegati ad un ruolo sempre e comunque subalterno. Nell’altro suo romanzo Signora Ava il critico Goffredo Fofi intravedrà una sorta di “Gattopardo dei poveri”. L’antecedente di questo romanzo si fa risalire alla novella Libertà di Giovanni Verga, un classico da cui la letteratura incentrata sulla Questione meridionale ha attinto ispirazione. C’è verismo di fondo nelle pagine di Jovine, sulle orme di una tradizione che parte dalla metà dell’800.
“Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante.”
Così descrive quella vita di sacrificio Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte, “un mondo severamente giudicato, in un continuo oscillare tra il moralismo e il lirismo e in un altrettanto continuo contrastare tra l’uomo moderno e l’antico » come annoterà lo scrittore Mario Pomilio.
“I racconti del lucano Vincenzo Buccino (1920-2005), come La mala sorte, Il Sanamalati, Lembi di vita, fanno della sua scrittura una elevata testimonianza letteraria. E’ una letteratura meridionale – annota lo scrittore giornalista Pasquale Tucciariello – dalla quale si possono attingere i più alti valori della vita, un sistema linguistico originale che danno alla letteratura italiana, alla storia e all’antropologia una possibilità di informazione in più, forte di una singolare organizzazione del linguaggio ove sono presenti efficaci parlate popolari, per cui alcune informazioni sul passato vengono rese e vissute dal lettore come fossero sorprendentemente vergini”.
In questo viaggio nella letteratura legata alla “Questione meridionale”, non si può fare a meno di rivedere il capolavoro di Carlo Levi Cristo si è fermato ad Eboli, romanzo autobiografico che il confinato dal fascismo in Lucania scriverà nel 1943. A Gagliano (o Aliano) lo scrittore e pittore torinese ebbe modo di conoscere la tetra realtà di quelle lontane terre e della sua gente. Scriverà nella sua prefazione “Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore”.
“Levi ha capito con grande chiarezza – scriverà lo storico Nicola Tranfaglia – il valore emblematico della Questione meridionale e anche negli ultimi anni della sua vita la vedrà sempre di più come il simbolo di una questione destinata a rimanere tale nell’era della globalizzazione economica e culturale.” Rocco Scotellaro, poeta di Tricarico (vicino a Matera), morto nel 1953 a soli trent’anni, autore di Contadini del Sud, sosterrà che il romanzo di Levi “è il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi.”
Ma in una visione di auspicio unificante ed evoluto, ci piace chiudere proprio con i versi di Scotellaro: La mia patria. Io sono un filo d’erba / un filo d’erba che trema./ E la mia Patria è dove / l’erba trema./ Un alito può trapiantare / il mio seme lontano.
Armando Lostaglio
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Unità d’Italia e letteratura: la “secessione” degli scrittori siciliani, di Giovanni Capecchi
La poetica di Rocco Scotellaro tradotta in lingua inglese
“Le terre del Sacramento”, i contadini di Francesco Jovine , di Armando Lostaglio.
Viaggio nella letteratura legata alla “Questione meridionale”
peccazto che questa visione « ufficiale » del Sud non tenga in alcun conto le ricerche puntigliose e documentatissime degli ultimi vent’anni, che sfatano totalmente questa storia scritta da malati di giacobinismo. Nel Sud NON c’erano più poveri, né più analfabeti. quel 90% si riferisce alla SArdegna che faceva parte del Piemonte e da esso trattata come una colonia. I Borbone NON erano spagnoli ma Napoletani. e Napoli vantava primati non solo italiani ma anche europei. Purtroppo sono i vincitori a scrfivere la storia e le citazioni sono sempre le stesse quelle di chi era dalla parte dei colonizzatori
Viaggio nella letteratura legata alla “Questione meridionale”
Sarebbe interessante avere i riferimenti, le fonti di queste richerche degli ultimi vent’anni alle quali fa riferimento.
Grazie.