Si è appena conclusa la Mostra del Cinema di Venezia edizione 2010 e la giuria, guidata dal Presidente Quentin Tarantino, ha assegnato il prestigioso Leone d’Oro come miglior film a ‘Somewhere’ della regista americana Sofia Coppola.
Altritaliani tornerà prossimamente sulla Mostra del Cinema e sulle altre iniziative in corso a Venezia con una serie di servizi curati dalla nostra Marie Sorel.
E’ una donna a vincere il Leone d’oro, Sofia Coppola, come in passato Agnes Varda, la Von Trotta e Mira Nair. Quest’anno pure una donna ha vinto l’Oscar per la prima volta: Kathryn Bigelow. Evviva.
Ma l’esultanza cede un po’ il passo alla non eccellenza del film, che si impone all’attenzione più per la sua delicatezza nel trattare il tema, che per la sua forza intrinseca, cinematograficamente parlando. La Coppola si era esaltata con “Marie Antoinette” quattro anni fa, si era superata in originalità espressiva e modernità, ma in questo film non riconosciamo tali novità, se non nel rapporto padre-figlia adolescente, ambientato nella deprimente ed edulcorata cornice dei divi hollywoodiani, ai limiti del degrado umano e dell’indolenza etilica.
C’era probabilmente di meglio da premiare in questa Mostra veneziana: nell’ordine “Miral” di Julian Schnabel sulle ferite non rimarginate del conflitto palestinese-israeliano; “Post mortem” dell’argentino Pablo Larrain con tanto di autopsia al presidente Allende, ucciso (con la sua democrazia) nel golpe dell’11 settembre del ’73, e ancora il russo Aleksei Fedorchenko con “Silent Souls”, un connubio fra antropologia, filosofia e poesia, dai toni tarkovskiani. Ci sarebbe da citare ancora “Venere nera” (Venus noire) di Abdellatif Kechiche (che già colpì a Venezia con “Couscous” due anni fa), una sorta di rivisitazione della “Donna scimmia” di Ferreri, ma ben più crudele.
Conviene fermarsi a questi titoli, ce ne sarebbero altri. Tuttavia, quelli che maggiormente hanno registrato applausi estremi fanno parte delle rassegne parallele come Settimana della critica e Giornate degli autori: è qui che si annidano opere fresche, lungi da convenzioni e sovrastrutture.
Vanno segnalati “Beyond” della svedese Pernilla August che già lo scorso anno colpì per la freschezza con la quale trattava i tradimenti e le “soluzioni”. In molti si chiedevano “perché non è in concorso un film così’, forse per la “paura” di doverlo premiare? Ed ancora il film bosniaco “Cirkus Columbia” del già Oscar Danis Tanovic, purtroppo già presentato al Festival di Sarajevo e quindi non da concorso a Venezia. L’augurio è che tutte queste opere possano trovare spazio nelle sale italiane, anche se non si nutre troppa speranza viste le mancate uscite di film della scorsa edizione di autori di fama come Michael Moore e Oliver Stone.
Per i film italiani andrebbe fatto un discorso a parte: la competizione con opere straniere spesso ci penalizza, specie quando si tratta di autori non troppo “autorevoli”. Ebbene i Celestini, i Martone, i Costanzo e i Mazzacurati hanno espresso opere di un certo valore, con soggetti degni e interpretazioni pure. Eppure mancano di qualcosa, di forza onnicomprensiva, al cospetto di altri cineasti con storie meno “nostrane”. Persino il monumentale “Noi credevamo” (tre ore e mezzo incollati alla poltrona) lascia perplessi, non tanto per la trattazione storica (gli avevamo confutato in conferenza stampa la mancata trattazione del brigantaggio postunitario e delle casse di Napoli dilapidate dai piemontesi), quanto all’“autocontrollo” che Mario Martone dimostra nella sceneggiatura (scritta con De Cataldo). Perché noi apparteniamo al cinema italiano, ed è sempre bene ricordare quel passaggio di Orson Welles: “… quando penso alla Svizzera mi ricordo degli orologi a cu-cù; quando penso all’Italia mi ricordo di Caravaggio.”
E così vince la Coppola (che pure ha geni italiani) mentre porta in scena persino sequenze dai Telegatti di Mediaset, con tanto di Simona Ventura (si, proprio lei) a campeggiare anche in una Mostra autorevole, ricca di arte e non già di monotonie gratuite.
Armando Lostaglio
N.d.r. : Il Leone d’Argento è andato allo spagnolo Alex de la Iglesia e alla sua commedia grottesca “Balada triste de trompeta”. La Coppa Volpi come migliore attore e attrice sono state assegnate a Vincent Gallo (“Essential Killing” di Jerzy Skolimowsky, vincitore anche del Premio Speciale della Giuria) e Ariane Labed (“Attenberg”).