Mentre migliaia di disperati profughi cercano un futuro, due miliardi di spettatori guardano il matrimonio della casa reale inglese, mentre tra Liberazione, Venerdì Santo, beatificazione del Papa Giovanni Paolo II, le contraddizioni del primo maggio….in scena alla TV un racconto d’ipocrisie, amarezze e realtà di una settimana davvero convulsa tra cinema di qualità, fiction, storia, celebrazione e attualità.
La settimana appena trascorsa ha offerto diversi spunti per una osservazione meno superficiale di quanto sopravviene e ci sovrasta.
Il matrimonio dei giovani reali britannici in mondovisione sembra creato ad arte per irridere della povertà di chi attraversa quasi a nuoto il mare per cercare nuove fortune; e, a ridosso, la miseria di due miliardi di persone sincronizzate all’unisono per guardare sfilare i rampolli di un sistema che si autoalimenta da secoli, solo per tenere viva la fantasia dei sudditi che la pagano a caro prezzo. Sudditanze manipolate e accettate, e tutti i media (persino i più seri, a reti unificate) accodati al corteo nuziale.
Quasi in concomitanza, il Primo maggio, un milione di pellegrini affolla Piazza San Pietro per la canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II, Santo subito (o quasi) per il suo incommensurabile ruolo svolto negli ultimi decenni del secolo, per la sua visione globale e unificante dell’umanità, non senza incrinature verso talune situazioni (come la Teologia della Liberazione, lo IOR) nel suo lungo papato che non offuscano certo il suo immenso valore comunicativo, la statura di un uomo che ha davvero cambiato il corso della storia.
Due eventi in sequenze ravvicinate, tra il sacro ed il profano, che vedono la tv predominante nella divulgazione (diretta) degli eventi, ai limiti della spettacolarizzazione ad effetto. Anche Pasqua e il 25 Aprile cadono in sequenze ravvicinate, la Pasqua sacra e quella laica, resurrezione dopo la morte. Eventi in sequenze ravvicinate: E sul fronte manipolatorio, ha contribuito non poco la programmazione di un Venerdì Santo diverso (o presunto tale): quello realizzato (in veste di santone) da Bruno Vespa, che esce dalla sua divisa di studio e va a verificare di persona i barconi fatiscenti che trasportano disperati sulle nostre coste. E abbraccia una madre in lacrime che non sa nulla del figlio, e altri migranti che lo invocano come un asceta.
Queste immagini potranno fare da repertorio per futuri programmi
esilaranti, del tipo “chisseneinfischia!, basta che faccia ascolti, basta che il suo opulentissimo contratto (da un milione e mezzo l’anno) continui a salire: di giornalisti come lui – si dirà – non ce ne sono poi tanti. Ha saputo cavalcare tutte le onde da quasi 40 anni, se li merita tutti quei soldi, no? Nessuna pietà per chi soffre, gli basta fare ascolti, persino sulle lacrime di una madre disperata, con le barchette in mezzo al mare, sui plastici del dolore, oltre ogni misura di umanità svenduta a spicchi.
Per fortuna RaiTre di buon mattino sa cogliere gli eventi, mediante la programmazione di film della nostra storia che hanno saputo raccontarla. Nel precedente fine settimana ha proposto il capolavoro di Francesco Rosi “Le mani sulla città” esemplare ancora oggi nella denuncia di scempi e disastri urbanistici. Il 25 aprile RaiTre ha quindi mandato in onda “La lunga notte del 43” assoluto gioiello diretto da Florestano Vancini, che racconta con amarezza quell’anno forse il più terribile del secolo scorso, in una Ferrara nebbiosa e disperata, ancor più in quel finale che lascia impuniti gli autori delle stragi.
Infine un Primo maggio da incorniciare, non solo per il concertone (ormai
una consuetudine solo rinvigorita dal 150° dell’Unità), quanto per la visione che RaiTre fa della storia: ha rispolverato un film eccellente di Giuseppe De Santis (soggetto di Zavattini ed aiuto regista Elio Petri), datato 1952, sulla disoccupazione femminile nel dopoguerra: “Roma ore 11”, capolavoro di interpretazioni e di coralità, di montaggio e di storie comuni tratto da una vicenda vera che vide coinvolte, a Roma, decine di ragazze in cerca di lavoro, rimaste vittime del crollo di una palazzina fatiscente. Un cinema nazional-popolare (nell’accezione gramsciana del termine) il cui linguaggio richiama quel taglio di scuola sovietica con una esplicita socializzazione dei problemi quotidiani.
La tv che si fa cinema, un po’ meno inchiesta, specie se a farla sono dei comici involontari. A cui dedichiamo quell’aforisma di Karl Kraus: il comico è solo il tragico visto di spalle.
Armando Lostaglio
Nota della redazione: “Va aggiunta a completare le contraddizioni massmediologiche l’evento per ora mediatico non mediatico della fine di Bin Laden”.