Incontriamo il regista italiano all’indomani della partecipazione al Festival del Cinema Italiano di Tremblay-en-France, dove ha presentato il suo «Focaccia Blues», salutato dall’entusiasmo e dalla curiosità del pubblico francese.
Nico Cirasola è un cineasta assolutamente originale nel panorama cinematografico nazionale. Forse uno dei pochi casi di autori viventi ai quali venga dedicato un documentario («Il mio nome è Nico Cirasola» di Giovanni Piperno, 1998).
Il suo percorso professionale ha inizio con la folgorazione per lo strumento di ripresa – che
nei primi anni Settanta era una piccola macchina da presa 8 millimetri – e si fa sempre più
consapevole grazie all’incontro con Lorenzo Fiore, direttore della fotografia del primo
lungometraggio, «Odore di pioggia».
I paesaggi ritratti in questo primo film – girato nel 1989 in una Puglia rurale allora inconsueta per il cinema italiano – saranno fonte di ispirazione per un’intera generazione di nuovi cineasti a partire dal decennio successivo.
Il colloquio con Nico Cirasola parte naturalmente dal film presentato al Festival Terra di Cinema di Tremblay.
Un’apologia della focaccia, alimento a base di farina, olio d’oliva, pomodori, olive e origano,
che si consuma per le strade di Bari e provincia a tutte le ore del giorno. Un cibo semplice, sano e «local» che sfida, in questa storia ambientata ad Altamura – altro luogo simbolico nella tradizione culinaria italiana : il pane casereccio salato si chiama in tutta Italia «pane di Altamura» – il colosso degli hamburgers, MacDonald’s.
Ascoltiamo il regista appassionarsi, mentre ci racconta del modo in cui questa idea ha preso
forma. Un viaggio a New York è stata l’occasione per testare la reazione «degli americani»
al gusto della focaccia, e per scoprire al tempo stesso che l’hamburger è laggiù una cosa
seria, che non solo si mangia ovunque e a tutte le ore – come la focaccia? – ma che si
insegna anche nelle università.
Per Cirasola, raccontare della focaccia è soprattutto difendere la semplicità delle cose
autentiche, «per dare alla gente la possibilità di scegliere».
È per questo, d’altronde, che la serata di Terra di Cinema si è conclusa con una cena all’insegna del cibo di qualità, in collaborazione con la sede locale dell’associazione Slow Food, fondata da Carlo Petrini nell’ormai lontano 1989 e il cui «manifesto» vide la luce nello stesso anno all’Opéra-Comique di Parigi.
Un Cirasola nuovo paladino della difesa delle tradizioni e delle culture locali? Un sostenitore
del consumo sano e responsabile contro le logiche imperialistiche e i modelli consumistici
imposti dalle multinazionali ?
Crediamo che questo film costituisca un capitolo a parte nella filmografia dell’Ed Wood
pugliese, che è irrimediabilmente contraddistinta da una irrinunciabile, se non febbrile,
necessità di comunicare l’amore per il cinema e la passione per la sua terra.
E questa passione viene fuori, lentamente, nel corso della nostra chiacchierata, tra un piatto di spaghetti alle vongole e un bicchiere di vino bianco di Sardegna.
La otto millimetri, poi la superotto, poi la prima cinepresa Arriflex – prima la 16 poi,
finalmente, la 35mm. E in mezzo a questo le «telecamere», «le prime in Italia», primi
“flirts” col video che lo condurranno ad alcune esperienze di regia televisiva negli anni ’90.
Nico Cirasola parla, e intanto guarda, anzi “mira” lo spazio attorno a sé, questo paesaggio
urbano di boulevards parigini del 14esimo arrondissement, cosi’ lontani dalla sua Puglia.
I francesi, dice, mi hanno tributato I primi successi. E’ infatti ad Annecy, per la settima
edizione del Festival del Cinema Italiano, che «Odore di pioggia» si aggiudica, a pari merito, il Prix spécial du jury.
Questo sarà pero’ solo il primo dei premi ricevuti. Gli altri Cirasola li «insegue» nei festival
cinematografici di mezzo mondo : Egitto, India, Cina, Cuba, tra gli altri. Il ritorno è però sempre nella sua amata Puglia, la terra dal paesaggio terso che fa da sfondo a tutti i suoi film, ora concreta, ora solo evocata.
Com’era la Romagna di Federico Fellini, suo indiscusso riferimento. Un regista che, come
dice Cirasola, «vedeva la vita separata in due dimensioni, quella quotidiana, reale, e quella
immaginata nei sogni. Ed era la seconda che lo interessava, e che metteva nei suoi film».
Il film più «felliniano» di Nico Cirasola è forse «DaDoDa» (“Da una sponda all’altra”) che
pero’, come lo stesso regista ammette, «In pochi hanno capito. Forse perché è ancora
troppo avanti, e ci vorrà del tempo. Perché nel cinema ogni giudizio è relativo».
Cirasola è un fiume tranquillo, non si ferma nemmeno dopo l’ammazza-caffé.
Si passa a parlare della crisi del cinema italiano, dei finanziamenti e delle sale che chiudono. Il suo giudizio anche in quest’ultimo caso è competente, dato che, oltre che scrittore, regista e, in certi casi, produttore dei suoi film – ricordiamo che nel caso di Focaccia Blues, il produttore è Alessandro Contessa – Cirasola è anche un esercente.
Gestisce, infatti, il simpatico cinema Elia – due schermi a Corato, a quaranta chilometri da Bari – e un’arena estiva nella periferia del capoluogo pugliese, tra campi coltivati, sfasciacarrozze e i binari della ferrovia.
Secondo Cirasola non si deve cedere allo sconforto, in questo momento di tagli allo
spettacolo e di calo di spettatori. Si deve credere nelle idee, seguire il proprio istinto, avere
passione in quello che si fa. E non possiamo che credergli, mentre ci dice, con un sorriso quasi impercettibile sul volto «Se la mattina mi sveglio dopo un incubo, passero’ una brutta giornata, anche se dovesse arrivarmi un assegno inaspettato. Se invece ho fatto un bel sogno, la mia giornata sarà radiosa anche se fuori piove».
E quando usciamo dal ristorante scopriamo che fuori c’è il sole, e siamo a Parigi. E la fine
della giornata si preannuncia eccellente, anche se la Puglia è cosi’ lontana.
© Raffaello Scolamacchia
(Si ringrazia Chiara Palermo per la collaborazione).