Il risorgimento e la liberazione dal nazi-fascismo, sono caratterizzato da un comune denominatore: La Libertà. In uno dei momenti più difficili della storia nazionale, il bisogno di recuperare fierezza e dignità. Il tutto in questa autorevole riflessione.
La circostanza del doppio anniversario che ricorre in questo 2011 – i 150 anni dell’Unità e i 66 dalla Liberazione – induce a più riflessioni, alcune parallele e altre ‘incrociate’. Cominciamo dal Risorgimento: se ne è parlato e se ne sta parlando tanto; libri su libri ne ragionano, raccontano, giudicano. L’opinione pubblica, all’inizio disorientata e svogliata, si è appassionata via, via alla cosa e persino è stato detto che grazie all’ostilità e all’ostracismo leghisti, è scoppiato l’amore, tra gli italiani, per l’Italia! Provando in ogni caso a stare ai fatti, credo che si possa e si debba dire, oggi, che il Risorgimento e il processo di unificazione sono stati la nostra “rivoluzione nazionale”, se è vero, come è vero, che per rivoluzione debba intendersi il cambiamento radicale della situazione esistente ed il consolidarsi di un assetto nuovo e diverso, presumibilmente irreversibile.
Nessun dubbio peraltro che ciò sia appunto intervenuto quanto all’unità territoriale e all’indipendenza politica dallo straniero. Come, parimenti, nessun dubbio circa il carattere borghese della costruzione posta in essere, la vincente egemonia liberalmoderata, il primato piemontese, l’intreccio tra politica, diplomazia e uso della forza militare, nonché l’utilizzazione disinvolta di strumenti quali i plebisciti annessionistici. Nondimeno è con tale iniziativa che ha principio la storia contemporanea d’Italia, la faticosa marcia verso modernità e democrazia.
Quanto alla Liberazione, esito finale e vittorioso della Resistenza e della lotta armata contro fascismo e nazismo, ritengo altrettanto evidente ed egualmente non revocabile in dubbio, il diverso carattere sociale, ‘classista’ e/o interclassista, popolare e nazionale; il coinvolgimento pervasivo e “dal basso” tra gli italiani, di qualsiasi provenienza territoriale, condizione e status. Soprattutto, l’essere state, Resistenza e Liberazione, presupposto necessario e indispensabile rispetto alla nascita della Repubblica, nonché della Costituzione repubblicana, aperta tra l’altro non a caso a istanze di autonomie locali, ma tutti, presupposti ed esiti, saldamente connessi nell’antifascismo, come pensiero e azione, come valore condiviso e persino, a tratti, come “senso comune” albergato nella mente e nel cuore dei più. Insomma, …
Sicché un doppio anniversario davvero importante, da vivere con dignità
e con fierezza, ricordando come gli stessi uomini e le stesse donne della Resistenza antifascista a loro volta abbiano pensato, raccontato e rivissuto la nascita dell’Italia unita. Per alcuni, con la fiera convinzione di essere in grado di completare la “rivoluzione incompiuta” del Risorgimento; per altri, ravvivando l’entusiasmo giovanile, lo spirito garibaldino, la voglia di libertà che ritenevano di scorgervi; per altri ancora, con il tenace desiderio di andare oltre, o addirittura cancellare una pagina di storia rimasta al di sotto delle aspettative, sequestrata dalla mitologia liberale e borghese, a cui si sarebbe opposta e contrapposta una nuova visione della società, dei rapporti umani, delle stesse istituzioni, innescata dall’autentica rivoluzione politica e sociale in cui risiedeva il significato e la missione dell’antifascismo militante.
Per dire, in buona sostanza, che la storia non è mai stata, né è, né sarà, una passeggiata pacifica e rasserenante; è intrisa di e nel conflitto tra parti antagoniste, e così la memoria che dalle vicende umane si deposita e si struttura nella storiografia, produce più corti circuiti di quanta condivisione e tranquillità si vorrebbe che desse. E però oggi ricordiamo due fasi alte della nostra storia nazionale, quella i cui risultati hanno costituito sicuri e incontrovertibili avanzamenti e progressi, materiali e morali.
Ciò vale anche, se non più, per i meridionali e per il Mezzogiorno, che nell’una e nell’altra hanno di certo pagato i costi più alti e ricevuto forse minori opportunità e vantaggi. Eppure, se oggi possiamo dire, come si è detto, che gli italiani migliori sono i meridionali, e tra i meridionali i giovani, c’è evidentemente da trarne speranza e conforto. I tempi che viviamo ci appaiono, e sono, assai grami e angustianti: ma forse l’esortazione foscoliana alla storia e alle storie resta ancora, e più che mai, valida e può rappresentare l’antidoto ai mali che ci affliggono.
Provare a tornare a ragionare insieme, a riportare in superficie il senso profondo, le ragioni stesse dello stare insieme, come Paese e come Comunità nazionale, non può che farci bene e fare bene all’Italia migliore. Lasciamo ad altri la responsabilità di sostenere e volere che vinca l’Italia peggiore, quella che sempre più ci restituisce l’immagine di una realtà più e prima che “duale”, assolutamente incompatibile, costituita da parti che non riconoscono più l’una all’altra alcuna radice, né alcun futuro, comuni. È assai peggio, e molto più pericoloso, che essere o via, via divenire distanti e anche contrari: segna l’avvento dell’irrimediabile frattura ed inassimilabilità intervenuta tra noi italiani, come se fossimo due popoli ‘altri’.
Verrebbe da dire, in chiusura, che non ci aspettavamo e non credevamo che sarebbe andata a finire così, e che, a ben vedere, neppure ce lo meritavamo.
Guido D’Agostino
Presidente dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza,
dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea “Vera Lombardi