La straordinaria esperienza di RIACE, la piccola cittadina calabrese che ha fatto la scelta di ospitare migranti e rifugiati. Il borgo in via d’abbandono sta ormai risorgendo. In questo angolo di Locride, gli stranieri sono diventati una risorsa.
E’ un caso esemplare, mentre la destra italiana si schiera contro una società multietnica.
Viaggio in un comune calabrese, Riace. Qui lo straniero è di casa. L’antico borgo, con un passato di emigranti, rischiava di scomparire, ma si è rivitalizzato proprio grazie ai rifugiati.
Dal mare nel 1972 sono venuti fuori due gioielli d’arte portati nell’antichità da altri migranti, i greci. E quelle due statue di bronzo, conosciute ormai come i « Bronzi di Riace » hanno trasformato un paesino semisconosciuto della Locride (parte orientale della provincia di Reggio Calabria) nella Riace conosciuta in tutto il mondo.
Sempre dal mare sbarcarono su questa spiaggia, nel 1998, trecento kurdi arrivati fin qui a bordo di un veliero sgangherato. Ancora oggi dal mare arrivano altri stranieri in cerca d’un posto in cui vivere senza timore d’essere uccisi.
L’accoglienza è nel Dna di questa cittadina nel cuore della Calabria, sul mare Ionio. Qui la speranza e la richezza sono condivise, per gli emigrati e per gli autoctoni. È forse un segno che questo paese abbandonato dagli emigranti calabresi ricominci a vivere grazie ad altri emigranti !
È questa la filosofia dell’Amministrazione di Riace che sta facendo rinascere un borgo che era in agonia. Ce lo racconta Domenico Lucano, detto Mimmo, sindaco di Riace.
Ad ascoltarlo sorridente accanto a noi c’è il piccolo Ramadullà, nove anni, figlio di un ingegnere afghano. Col fratello Imran, fuggì dal suo paese assieme con due zii e te cuginetti, dopo che i talebani avevano fatto esplodere la sua casa. Seguì un’odissea attraverso Iran, Turchia e Bulgaria, stivato nei vani bui dei Tir, senza cibo ne aria. Sono tutti arrivati qui sei mesi fa. Ora sono ospitati in una delle tante case svuotate dall’emigrazione, nell’antico borgo di Riace. Con loro è giunta un’altra sessantina di rifugiati afghani, ghanesi, somali, eritrei, iracheni, serbi e libanesi.
Era l’estate scorsa ed era appena scoppiata la polemica innescata dal sindaco di Lampedusa che minacciava denunce qualora fossero stati ricoverati altri naufraghi nello straripante centro d’accoglienza locale. E il sindaco di Riace, assieme con quelli dei Comuni calabri limitrofi di Caulonia e Stignano offrirono la disponibilità ad accoglierne subito 170. Un gesto che colpì l’Italia. « 170 richiedenti asilo, a fronte dei 15 del Comune di Milano », osserva Mimmo.
Colpisce anche la storia di Issa, un afghano di 40 anni, che sbarcò in un posto della costa ionica calabrese che lui nemmeno conosceva quasi otto anni fa. Vicino Kabul ha lasciato moglie e quattro figli.
Dopo lo sbarco è stato portato in un centro di accoglienza a Crotone e dopo alcuni mesi ha saputo di Riace e qui è cominciata la sua nuova vita. Lavora argilla e ceramica, fa anfore e altri prodotti tipici che poi vengono venduti in una bottega del commercio equosolidale. Non è più tornato in patria, parla qualche volta al telefono con la moglie e i suoi bambini che non possono però raggiungerlo in Italia. A Riace ha imparato l’italiano ed anche a nuotare, forse per vincere la paura di questo elemento : il mare, infatti, l’aveva visto per la prima volta nel viaggio dalla Turchia in Italia.
« Riace è la dimostrazione di quanto le paure dell’altro siano soltanto propagande politiche, usate in maniera strumentale,
dice il sindaco. E soprattutto sono basate sulla non conoscenza. Quando le persone si conoscono in maniera graduale, con attenzione ai numeri (gli ospiti sempre in proporzione al numero degli abitanti) il pregiudizio svanisce. Anzi da noi i rifugiati sono diventati una vera e propria risorsa e i riacesi lo sanno bene. Molto più loro dei Bronzi che di fatto qui non li abbiamo mai visti » (sono ora esposti al Museo di Reggio Calabria).
Per questo da anni a Riace i migranti sono di casa. Non per niente sul cartello alle porte del borgo c’è scritto : « Paese dell’accoglienza ». E l’accoglienza si è cosi trasformata in risorsa economica. Insieme con il recupero di 25 case abbandonate dagli abitanti per emigrare in Germania o in Francia e la creazione di 30 posti letto per l’accoglienza di turisti, le vecchie botteghe artigianali hanno riaperto i battenti e ricominciato una nuova vita. Al telaio manuale per la lavorazione della fibra di ginestra, antichissima tradizione locale andata in disuso, ora si alternano mani di donne riacesi e africane. Caterina Mussuruca insegna da tre anni il « punto antico » a Salam, venticinquenne eritrea, nel laboratorio di filatura. Maria Irene, altra giovane riacese, insegna la tecnica del vetro soffiato a Ragdha, una ragazza irachena. Nel laboratorio della ceramica invece, lavora Issa Ghulami, 37 anni, afghano, perseguitato in patria e residente in Riace dal 2002. David, altro giovane afghano, da questo aprile è stato assunto per operare la raccolta differenziata dei rifiuti che si farà usando gli asini. Tutto nella più assoluta normalità, che coinvolge ormai un centinaio di persone. La gente del posto di origini magnogreche ha accettato questa inedita forma interetnica e ha avuto ragione.
Tra i nuovi contratti c’è anche Cosimina Ierinò, che può finalmente valorizzare il suo diploma di maestra tenendo corsi di alfabetizzazione agli stranieri adulti al mattino e ai loro figli il pomeriggio. Insomma lavoro per tutti.
Se in paese è ancora aperta la scuola è grazie a questi 13 bambini stranieri che s’aggiungono agli altri otto italiani mantenendo viva una classe, altrimenti Riace avrebbe già perso le elementari da tempo. « Di questo nessuno ne parla » osserva Lemlem Tesfahum, venticinquenne etiope, giunta in Sicilia nel 2004 dall’Etiopia con i suoi due bambini, dopo un drammatico viaggio attraverso il deserto libico. Vive con un contratto per fare l’interprete.
E così un borgo di neanche settecento anime, in via d’abbandono, sta risorgendo, con la presenza degli stranieri, dimostrando, tra l’altro, che un certo tipo d’accoglienza fa anche risparmiare : un immigrato in un Cpt (Centro di permanenza temporaneo) costa allo Stato 70 euro, mentre una giornata di un rifugiato inserito in un programma di protezione, come sono quasi tutti a Riace, ne costa 21.
Il 15 marzo scorso due colpi di pistola sono stati sparati contro la porta della « Taverna Donna Rosa », il locale di ritrovo e delle feste della comunità multietnica, fatto restaurare dal sindaco. Un’intimidazione a pochi mesi dal voto per il rinnovo dell’amministrazione comunale. Un messaggio della ‘Ndrangheta, a cui non piace il modello di integrazione e il recupero del borgo antico voluto dal sindaco ? Assai probabile.
Ma Mimmo va avanti per la sua strada. Tanto più che adesso l’esperienza di Riace, Caulonia e Stignano è diventata un modello da esportare. La Regione Calabria, infatti si è dotata, grazie a questa esperienza, di uno strumento legislativo che promuove l’inserimento dei rifugiati nella prospettiva indicata dai tre Comuni della Locride. Alle amministrazioni che faranno come loro saranno garantiti finanziamenti per politiche d’accoglienza che diventeranno un trampolino per lo sviluppo economico della comunità.
Alberto Laggia
Quest’ articolo è stato pubblicato sulla rivista franco italiana RADICI, no 43/44 – Maggio/Agosto 2009. Ringraziamo la redazione di RADICI che ha cortesemente dato ad Altritaliani il permesso di diffonderlo sul questo sito.