In Italia il dopo primarie del PD dimostra che il superamento delle difficoltà politiche del Paese appare ancora lontano. La politica è vecchia, finanche nel linguaggio. Negli anni del confronto con la globalizzazione e dell’immigrazione tra i grandi esclusi nelle scelte politiche ed economiche, rimangono i giovani. Una riflessione del politologo Emidio Diodato dell’Università di Perugia.
Occorre dire una verità: le primarie del PD hanno il sapore della vittoria di una sinistra socialdemocratica che ha un valore storico, ma oramai esaurito. Il PD non ha saputo esprimere fino ad oggi un’originale cultura politica e proporre una credibile alternativa alla destra. Non c’è dubbio che la destra abbia un capo populista con un potere mediatico, economico e finanziario senza precedenti. Ma il PD uscito dalle primarie non appare capace di proporre un’alternativa al Paese e di superare l’immagine di una fusione a freddo, come è stata definita, tra popolari post-democristiani e riformisti post-comunisti.
L’Italia di oggi ci appare un Paese provato. La recessione divora le riserve economiche e impegna severamente il suo tessuto sociale, soprattutto le fasce più giovani e meno protette. Come ha scritto Aldo Schiavone (L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale, Roma-Bari, Laterza, 2009), per venti anni l’Italia ha vissuto sotto l’ala di due vortici: globalizzazione economica e trasformazione politica. Due metamorfosi insieme: post-industriale e post-democristiana. La prima ha investito tutto il mondo più sviluppato attraverso le nuove reti dei mercati globali. La seconda ha riguardato nello specifico l’Italia, un Paese di frontiera, con in casa il più forte Partito comunista dell’Occidente.
Collocato tra i due schieramenti che si contendevano il pianeta, il paese era riuscito a mantenere l’unità attraverso il suo congelamento politico e la sua neutralizzazione democristiana. Venti anni fa, la dissoluzione della minaccia sovietica da Est ha alimentato l’illusione che era finalmente possibile avviare una piena normalizzazione democratica e un’alternanza al potere. Ma se il collasso della prima Repubblica decostruiva politicamente il Paese, la neoeconomia indotta dalla globalizzazione lo decostruiva socialmente. Il principale effetto è stato una frantumazione particolaristica del tessuto sociale a cui è seguito un ripiegamento nel privato.
Sempre più fuori dalle gabbie ideologiche del passato, attraversata da tempo da forti movimenti di emancipazione sociale, la società italiana è ringiovanita culturalmente negli ultimi venti anni, tuttavia invecchiando demograficamente e scoprendo un contagioso individualismo. In Italia i giovani sono pochi di numero e procedano lentamente nel cammino verso l’età adulta. Si avvertono i sintomi di una vera e propria “sindrome del ritardo” (come l’ha definita Massimo Livi Bacci): allungamento dei processi formativi… dell’età alla quale si abbandona la casa dei genitori… si trova un lavoro stabile… si prendono decisioni riproduttive.
Il numero ridotto di giovani italiani e gli investimenti che le famiglie fanno
su di loro, lasciano pensare che molto alte siano le probabilità per ognuno di entrare a far parte della classe dirigente del Paese, un paese che diventa sempre più multietnico. Tuttavia il ritardo resta ampio, nonostante i giovani siano pochi e la logica vorrebbe che la società investisse su di loro, assegnando loro maggiori responsabilità e funzioni di rilievo.
Per uscire dalla crisi – la crisi della lunga transizione degli ultimi venti anni – l’Italia ha bisogno di lasciarsi alle spalle le passioni tristi che l’hanno accompagnata. L’Italia, anzi gli italiani devono riappropriarsi di un senso di efficacia e alto valore della politica. Soprattutto i più giovani.
Le primarie del PD non sono riuscite a coinvolgere le forze più giovani del Paese e ad aggregare energie nuove, capaci di esprimere un’originale cultura politica. Un rinnovamento del linguaggio e nella pratica politica sono indispensabili per offrire un’alternativa credibile al Paese.
Il problema non è stato, quindi, il risultato; il problema non sta nel nome del candidato riuscito vincitore, ma nella qualità del dibattito che è emerso dalla competizione e nell’incapacità di tutti i candidati di immaginare un’offerta politica adeguata in risposta alla crisi attuale. Insomma sono mancati quel calore e quella passione che rendono credibile una prospettiva di cambiamento e di buon governo di sinistra.
(nella prima foto Pier Luigi Bersani nuovo segretario del PD)
Emidio Diodato