Il modernismo di Fogazzaro mette in discussione il modello realista insufficiente, se non avvicinato da uno studio analitico e intimo dell’animo umano. L’oggettività del realismo sotto la luce dell’inquietudine del mondo femminile, effettiva novità del pensiero letterario e scientifico, alla luce delle scoperte freudiane. La sua Marina di Malombra, come la Karenina e Madame Bovary, è la rappresentante inquieta di questa novità.
François Mauriac nel 1955, in uno dei suoi Bloc-Notes scriveva «Gli italiano sorridono quando io parlo del mio caro Fogazzaro» volendo indicare il fatto che il suo pubblico, i suoi lettori non lo avevano dimenticato, fra tanto scetticismo di critica. Infatti, parlando con i letterati o gli accademici è difficile riscontrare simpatia nei confronti dello scrittore vicentino, né tantomeno se ne trova ascoltando o leggendo commenti di critici e scrittori italiani del ‘900, nei suoi confronti. Non è stato uno scrittore amato con le sue contraddizioni, i suoi turbamenti, le sue riflessioni: forse perché non si è mai riusciti ad inquadrarlo, a inserirlo schematicamente in un qualche schieramento.
Eppure – e lo testimoniano le continue ristampe e le numerose messe in scena dei suoi romanzi – il suo successo fra la gente ha avuto continuità. Sarà stato proprio il fascino dovuto a questa impossibile collocazione ideologica certa, a questa ambiguità – che egli riversa molto nei suoi personaggi -, alla necessità di un contraddittorio interiore, di un’analisi profonda, di una continua introspezione rasentando gli abissi e le chimere dell’animo umano, che lo hanno reso così appetibile ai lettori più raffinati, dei due stessi secoli in cui è vissuto. E posso dire di aver amato, e di amare, io stessa i suoi lavori e di essere rimasta folgorata dalla contessina Marina di Malombra, protagonista del libro che porta il suo oscuro cognome: Malombra .
Con questo lavoro , siamo nel pieno della fiera dei contrari: tra errori stilistici e pura modernità la cifra di Fogazzaro si stabilisce netta in un epilogo che resterà, nella sua drammaticità, nelle corde della letteratura di tutti i tempi, a discapito dei suoi detrattori. Lui stesso non fu mai convinto a pieno della validità dell’opera, della quale sentiva la mancanza di “verosimiglianza”, e alla quale attribuiva la possibilità di una sorta di “potere malefico sul lettore”. Nata già con l’ambiguità del contrasto di una scelta possibile tra le passioni e il quieto destino fu da subito delizia e dannazione dello stesso autore. Proprio come lo sarà la sua protagonista verso tutti ma, in specie, verso Corrado Silla – protagonista maschile – che non riuscirà a scegliere diversamente da lei, – nonostante l’alternativa gli venga anche proposta, nella figura di Edith – perdendosi, pagando con la vita la sua stessa scelta. L’ambiguità, il seducente sguardo, la musica inesprimibile ma anche i pochi particolari messi in evidenza del biancore della bellezza fisica di Marina di Malombra, riescono a sfrenare la fantasia più di nudità e di ostentazioni forti in questa direzione, specie se rivisti in contrapposizione all’oscurità ambientale che sempre accompagna la donna, e sono il successo di questa eroina appassionata e del romanzo stesso.
Eroina la cui sorte è legata agli eccessi di certe malattie, certe ambiguità, certe smagliature dell’anima intraviste e descritte da Fogazzaro, prima di ogni altro nella nostra letteratura, se pur sempre frenate nella loro completa esternazione da una contemporanea paura di peccare. E sarà questa paura che lo porterà in seguito a tentare di costruire un universo più quieto, fatto di ricordi, tradizioni, ritualità che sarà il nucleo di Piccolo mondo antico. Un mondo, e un romanzo dove l’autore potrà placare, per un poco, le ansie e le passioni, riposare la propria coscienza di uomo e autore.
Ma, i due luoghi dell’anima: quello del tetro Palazzo D’Ormengo con l’irrequieta Marina di Malombra e la piccola villa di Franco e Luisa, dove si consuma un amore quotidiano – se pure sullo sfondo del Risorgimento italiano – possono essere considerati opposti e complementari. Il primo simbolo di paure e tentazioni di un’epoca in cui saltano fuori gli spettri dell’inconscio, il secondo simbolo di quiete e riparo nella memoria dalle tentazioni stesse.
Quale dei due romanzi vince lo scontro col tempo? Piccolo mondo antico è certo una proposta a cui aggrapparsi ma sembra troppo datata, improponibile oggi con la semplicità e la genuinità di sentimenti e valori elementari, che potevano però significare all’epoca un rifugio dalle inquietudini del decadentismo. Malombra – almeno nella parte delle angosce interiori e del dubbio – resiste con i suoi personaggi principali che ancora molto, davvero, ci rassomigliano.
In particolare Marina appare assolutamente moderna, nel suo tendere a rappresentare le radici delle inquietudini femminili contemporanee, tanto da potersi considerare, in un certo senso, una creazione più grande del suo stesso autore: in lei Fogazzaro ha saputo cogliere i segni premonitori di una crisi epocale. In lei, non possiamo fare a meno di dirlo, si riuniscono oltremodo anche quell’atmosfera torbida e sensuale e quella spinta all’autodistruzione, alla degradazione, che stanno fra gli echi della Scapigliatura e i presentimenti del Simbolismo; e, soprattutto, in lei risiede un’inquietudine, una tensione cerebrale, una fragilità nervosa e una disperata frustrazione che sono, tutte sensazioni, estremamente moderne.
Bella, intelligente e superba, tormentata da demoni e fantasmi, pervasa da passioni insopprimibili e attratta dalla sofferenza, Marina è una rappresentante di quella schiera di donne che tendono a disgregarsi, ad umiliare il proprio orgoglio. Se si rappresentasse una tragedia greca la vedremo come protagonista, avvicinarsi sempre di più all’inevitabile fine, succube del proprio isolamento spirituale e dell’infelicità che lei stessa ha scelto di imporsi.
Moderna anche nella rappresentazione della sua cultura che non le dà orizzonti diversi per l’anima, nella sua raffinatezza e nella sua alterezza che non le danno equilibrio né consapevolezza, negli atteggiamenti di sfida e nel suo chiudersi in sé stessa che sono sintomi del suo sentirsi inadeguata. E possiamo vederla come una creatura spaventata dalla vita per questa sua incapacità, una creatura che possiede già di suo un temperamento aristocratico, che viene prima dei suoi stessi natali.
Per questo essa non sente e non comprende i nuovi ritmi e stili della borghesia imprenditoriale ed è capace di far coesistere in sé desiderio di trasgressione e senso di colpa, fedeltà alla morale e spinta verso il peccaminoso: è un altro “doppio” di Fogazzaro stesso, – il primo è Corrado Silla – che si sottometterà al volere della Chiesa, contro il suo modernismo, ma conserverà le ferite profonde e mai rimarginate di questo scontro.
Moderna è Marina per la sua vocazione alla solitudine, se pur disperata, e il divario fra sogni e coscienza che le procurano la malattia del secolo, quella familiarità psicologica con un orgoglio senza vie d’uscita, con un fantasticare che rende impossibile accettare la vita com’è. La reincarnazione, nella sua specificità, sembra allora metafora di un altro male, radicato nella nuova condizione della donna all’interno della società borghese, industriale, di massa. La sua furia distruttiva, che porterà alla morte dello zio e di Corrado è per lei solo una preparazione, una sorta di prova generale dell’ultimo e definitivo delitto: quello contro sé stessa.
Perché pensiamo che Marina voglia, insistentemente voglia, alla fine perdersi? Perché, probabilmente, nell’autodistruzione intuisce la sola via di fuga che le rimane aperta dinanzi; e, forse, la sola possibile catarsi di quella tragedia, la sola possibile redenzione, dopo che né Dio né gli uomini hanno potuto o voluto salvarla. La sua ossessione, identificata nel fantasma di Cecilia che la possiede, è senz’altro la consapevolezza della propria inettitudine e la lotta incessante fra il desiderio di felicità e la volontà di auto-punizione: non per una specifica azione, ma per il fatto di esistere.
Simile in questo a molte altre protagoniste della letteratura dell’epoca Marina ha una sua peculiarità, insita nella stessa complessità: un suo senso lirico dettato magari dall’essere inserita, dall’abilità di Fogazzaro, in un contesto scenografico dove la natura partecipa ai sentimenti umani, con invadente quanto sofferta comunione. Così come parteciperà il lago, sempre presente nella mente della donna, sin dal suo arrivo a Palazzo – quando volle una camera da dove questo si potesse vedere – alla sua stessa morte, attirandola nelle sue acque profonde e liberatorie.
Legato a Fogazzaro è certamente Mario Soldati, regista che mise sulla scena cinematografica il romanzo Malombra, ma che, dello stesso autore realizzò tali versioni anche di Piccolo mondo antico e di Daniele Cortis.
Inspiegabilmente i due scrittori – Soldati si riteneva prima di tutto questo, ed è impossibile cogliere lo spessore delle sue regie, tralasciando quello dei suoi scritti – sono legati anche dalla problematica della contrarietà della critica che: se andò contro lo scrittore Fogazzaro, non risparmiò né il regista né lo scrittore Soldati.
Ma cosa contiene Malombra al suo interno tanto da aver stimolato note critiche, forti, concordanti o meno tra loro, per lo scritto di un semisconosciuto autore vicentino? Certo vi è una compresenza di varie ispirazioni e creature letterarie, mancando un condizionamento di una linea di poetica dominante. È un romanzo aperto e ricco di suggestioni che entrano dal contatto con il mondo milanese, dalla crisi esistenziale e dal ritorno ad una fede tradizionale ma inquieta e, al tempo stesso, da una sperimentazione che rielabora in un’unica forma tutto ciò che raccoglie.
Fogazzaro del resto aveva già affermato con grande forza ne L’avvenire del romanzo che il modello realista era insufficiente, se non avvicinato da uno studio analitico e intimo dell’anima umana, necessario per consegnare ai lettori una verità più autentica e meno superficiale[[M. ALLEGRI, Venezia e il Veneto, in Letteratura italiana. Storia e geografia, cit., p. 303, è citato un passo preso dal diario di Fogazzaro: «Nell’anima di ciascuno di noi ci sono in germe tutte le passioni, gli amori, gli odi, le invidie, le malvagità, gli slanci generosi, le cupidigie, le viltà, gli eroismi, le follie che muovono qualunque altra anima umana. Chi è capace dell’osservazione interna e ha qualche fantasia, qualche acume può rappresentarsi con tutta vivezza, studiare come dal vero in se stesso i movimenti delle azioni altrui. […]».]]. La stessa lingua utilizzata dallo scrittore è un insieme di toni che condensano romanticismo, scapigliatura e decadentismo e che formano in modo inequivocabile la figura del personaggio femminile, quella Marina contessina di Malombra, la cui follia verrà integrata da Fogazzaro anche grazie all’apporto di studi sullo spiritismo e l’occultismo, andando a recuperare moduli fantastici e gotici.
Ma chi è Marina di Malombra e perché tanto ha affascinato e affascina i lettori dal giorno della sua comparsa sullo scenario letterario internazionale? Senza dubbio possiamo definirla uno dei personaggi femminili – insieme a Madame Bovary e Anna Karenina – più riusciti e più dotati di potere suggestivo: vuoi per la sua travolgente bellezza, vuoi per la sua personalità conturbante e lo spessore diabolico con cui domina il romanzo che la rende protagonista.
Si tratta di un’anima tormentata e confusa che resta vittima delle sue stesse passioni, che è incapace di vivere fino in fondo ciò che le dettano in contemporanea il cuore e la mente: una di quelle figure che resta nell’immaginario del lettore per l’ossimoro che la pervade tra forza e fragilità, concretezza e fantasia, incapacità di adeguarsi ad una realtà che non accetta. In fondo ruota tutto intorno a lei, nel romanzo: i riferimenti alla società dell’epoca, le descrizioni della furia della natura, le caratterizzazioni dei personaggi.
Tutto è cornice dello sviluppo complesso delle confuse – eppure indiscutibilmente possibili – manifestazioni mentali di Marina. In lei le dicotomie del novecento letterario sono già preannunciate e passate in rassegna quasi come un déjà vu: dal mistero al misticismo, dalla follia alla consolazione religiosa, dalla ragione che lotta contro la dottrina sino al reale contrapposto al sovrannaturale, tutti elementi della poetica che regnerà nella Scapigliatura e nel Decadentismo, ma anche capaci di rendere il romanzo sorprendentemente attuale laddove l’indiscusso protagonista diventa, alla fine, l’animo umano con tutte le sue complessità e contraddizioni.
Ereditati dal Romanticismo sono certo i contrasti e le relazioni tra la passionalità e il sentimento religioso, tra l’emozione con le sue pulsioni e la rigida morale, tra l’ardore del desiderio e il costume sociale. Marina lacerandosi per l’impotenza sullo svolgersi degli eventi, non è capace di conciliare l’aspetto materiale e spirituale della vita, non sa aderire agli schemi restrittivi imposti dalla società, possiede un’aspirazione artistica che la rende al di sopra della quotidianità e la illude – al tempo stesso – di essere migliore e diversa da ciò che in realtà è, cerca costantemente di valicare i confini imposti, di andare sempre più avanti: il modo con cui è portata ad esasperare la propria soggettività, la rende una grande protagonista dei canoni romantici che tuttavia si avvicina notevolmente anche a quelli del Decadentismo.
Ed è da credere che nasca certo dall’inconscio profondo dell’autore, e dai suoi studi in merito alle relazioni della psiche con i comportamenti umani, la protagonista di Malombra, pensata e interiorizzata in quel castello solitario, ai bordi di un piccolo lago lombardo, tra poetiche montagne e valli che vi discendono, in una dimensione prediletta di teatro fantastico della solitudine[[L’immagine che viene proposta come referente del Palazzo di Malombra è, come detto, quella del Villa Pliniana sul lago di Como. Fogazzaro parve ispirarsi alle sue due ali congiunte da un loggiato, piegandole e disponendole poi a semicerchio, come si può rilevare dalle descrizioni del romanzo e dagli schizzi autografi della pianta del Palazzo nel quaderno che conserva una prima stesura dello stesso.]] . Compare in quello scenario, tra quotidiane esperienze e senso del reale, Marina, ma si fa largo nello spazio segreto dell’anima, come un’evocazione a lungo sofferta e desiderata, amata fortemente (e follemente?) e da cui sarebbe stato bello essere riamati, dirà Fogazzaro stesso:
«Pas un mot du roman n’existait encore sur le papier et la belle, hautaine, fantasque Marina de Malombra me hantait déjà; j’en étais amoureux et rêvais de m’en faire aimer […]» [[A. FOGAZZARO, Préface, cit., p. XLIII.]].
Ed è proprio grazie alla capacità di esplorare la consistenza dell’inconscio che il creatore della “fantastica creatura” propone anche la sua versione concettuale rispetto all’elaborazione del romanzo contemporaneo che doveva cominciare a trarre esempio dalla scienza moderna, spostando lo sguardo dall’esterno all’interno della realtà. Anche i narratori dovevano cioè iniziare a penetrare oltre la superficie dell’anima, indagandone le turbolenze e i segreti. Il romanzo non poteva più essere ridotto a mero registro di un dato oggettivo, a strumento pedagogico, a edificazione del progresso.
«Io credo all’assoluta indipendenza dell’arte. L’arte non è ancella di nessuno. Non si può imporre all’artista uno scopo espressamente educativo cui egli subordini il suo amore supremo, dolcezza e tormento dell’anima, l’arte. E se non si ama così, non si crea. L’arte, rappresentazione del bello, è una grande educatrice, ma l’artista “ne è inconscio”.»[[A. FOGAZZARO, Dell’avvenire del romanzo in Italia, [1872], in Id., Discorsi Vicentini, a cura di F. FINOTTI, Vicenza, Accademia Olimpica 1992, p. 62. (corsivi di F. Finotti)]]
Erede della grande tradizione poetico-romantica, il romanzo cambiando il modo di esprimersi, sostituendo la prosa ai versi, restava tuttavia immutato nella sua capacità di fare dell’immaginazione uno strumento di conoscenza a cui diventava doveroso aggiungere ciò che portava l’esperienza in fatto di luoghi, tempi, personaggi. Il romanzo per Fogazzaro:
«…parte da altri libri, parte dal vero delle cose, dall’anima [sua] profonda […ed egli dice] Rispondo questo a coloro che vorrebbero nel Romanzo la sola osservazione delle cose esterne; quelle che essi usano chiamare il vero e sono del vero la più tenue, breve e ignobile parte.»[[Dal quaderno autografo (CFo H9, Fondo Roi, manoscritti fogazzariani della Biblioteca Bertoliana di Vicenza) e in O. MORRA, Fogazzaro nel suo piccolo mondo, Bologna, Cappelli, 1960, p. 204. L’appunto è contemporaneo all’elaborazione di Malombra collocandosi tra la data del 22 settembre 1877 e del 13 febbraio 1878.]]
E la dialettica della narrativa fogazzariana conterrà, infatti, una dimensione inconscia, garantita da un fondamento onotologico – che troverà sempre un mistico bagliore spirituale a cui attaccarsi, riprendendo anche la concezione dantesca che l’artista «nota quando amore spira, quando la mente è accesa per una potenza divina che opera in lui»[[A. FOGAZZARO, Dell’avvenire del romanzo in Italia, cit., p. 62.]] – e una dimensione altrettanto inconscia, dove la tentazione, intesa come pulsione anarchica, come deviazione dell’ordine verrà sì respinta ma troverà spazio espressivo nel romanzo stesso, che accoglierà il fascino del proibito intrecciandolo con una nuova poetica narrativa per andare oltre le semplificazioni teologiche, filosofiche, ideologiche e arrivare ad una rappresentazione leonardesca di quella interiorità, in cui balenano già certe sembianze femminili, come vediamo dalla citazione sottostante:
«Il romanzo moderno si è giustamente paragonato a certi volti femminili di Leonardo che spirano grazia e candore ineffabili; e solo se li contempli a lungo scopri “in fondo allo sguardo una espressione strana, un lume nascosto di pensiero e di esperienza” che ti penetra nell’anima e ti lega, fascino indicibile, alla loro bellezza.»[[Ibid., pp. 47-48. Da notare una sorta di anticipazione fogazzariana del gusto di fine secolo, riscontrabile in S. MIGLIORE, Tra Hermes e Prometeo. Il mito di Leonardo nel Decadentismo europeo, Firenze, Olschki, 1994.]]
Nel dichiarare di aver lasciato libero varco all’emesione dei fantasmi interiori, per dominare l’abisso psichico che li generava dotandoli di esistenza precedente alla loro rappresentazione letteraria, Fogazzaro ci consegna nel suo primo romanzo un’anticipazione della tesi centrale del saggio freudiano sul Poeta e la fantasia, dove viene individuata la genesi dell’attività poetica in quel rapporto basato tra liberazione e idealizzazione:
«Io sono convinto che […] il vero godimento dell’opera poetica provenga dalla liberazione di tensioni della nostra psiche. Forse contribuisce non poco a tale esito il fatto che il poeta ci mette in condizione di gustare d’ora in poi le nostre fantasie senza […] rimprovero e […] vergogna.»[[S. FREUD, Il poeta e la fantasia, (1907), in ID., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, trad. it.. Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 58-59.]]
In effetti in Malombra non si può che notare come luoghi e personaggi siano disegnati in una sorta di chiaroscuro, avvolti in una nebulosa ombreggiatura, dalla quale emerge come presenza fantasmatica – forse, come detto, addirittura già esistente prima dell’opera – Marina, la protagonista che tematizza la psicopatologia del mistero esternata e riflessa in suggestioni e impulsi, desideri e impeti, follia spesso beffarda e grottesca nella quale perdersi senza rimedio in primis nel rapporto con il proprio io, causa stessa della conclusione tragica della vicenda.
Ora, laddove il soggetto, scosso e disgregato da forze sconociute e familiari che si mescolano, si presenta al lettore di questa storia con tutti i sintomi della sua crisi interiore, diventa quasi inevitabile pensare ancora a Freud, prendendo a riferimento anche il saggio sul Perturbante[[S. FREUD, Il perturbante, (1919), in ID., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, cit., pp. 267-307.]]. Cosa troviamo di questo saggio in Malombra? Certamente la preponderanza di uno spazio che da domestico diviene inquietante e angoscioso[[«Perturbante» per Freud era la presenza dell’estraneo nel consueto, la scoperta di un’alterità inconscia nell’identità. Ciò che è spaventoso ma risale a ciò che ci è noto e familiare da lungo tempo, ciò che pensiamo di aver rimosso ma ritorna e diventa angoscia.]], come la lettera di Cecilia che viene trovata da Marina nella propria camera e rende nota una potenza tale di odio, all’interno della sua storia familiare, che fino a quel momento ella non conosceva, proprio nel momento preciso in cui il controllo della coscienza risulta sospeso.
E’ Fogazzaro stesso che ci propone nell’episodio del ritrovamento della lettera, attraverso l’uso sapiente del linguaggio che rende le intenzioni dell’autore, i momenti che possono essere identificati come di straniamento dalla realtà da parte della protagonista che: è inebriata dalla musica che “vibrava ancora nell’aria”, tanto che “le correva uno spasimo voluttuoso per le braccia”, che “posa gli occhi involontariamente su qualcosa”, “guarda senz’averne coscienza”, trova gli oggetti e “quasi senza sapere che si facesse li afferra”. Momenti quindi in cui cresce l’agitazione che si trasforma in angoscia a cui va aggiunta – altro elemento del perturbante freudiano – l’esitazione di fronte a riminescienze che Marina non riesce a focalizzare come appartenenti ad una realtà o a proprie allucinazioni – riprodotte dall’autore.
Esemplare il riferimento alla sensazione provata nell’ascolto del suono di una campana sul lago che a Marina pareva avere un suono diverso dal solito, eppure già sentito, chissà quando, forse magari in quel luogo stesso -. Ecco dunque che, rivelando gli eventi stessi ciò che giace latente a gradi diversi di profondità della coscienza, la trama del romanzo diventa come il riflesso della vicenda interiore.
E’ come se la lettera di Cecilia proponesse a Marina l’idea della reincarnazione facendogliela estrarre dal profondo del suo essere, e dopo un lungo dibattito interiore; come se si trattasse di un ritorno a galla di qualcosa di rimosso; di un’analisi che viene portata a compimento mettendo in relazione il tema della morte, del doppio, il ritorno dell’uguale, la coazione a ripetere il passato, concretizzandola in un’alterità che parla con la voce di Cecilia, si impossessa della protagonista e la costringe a seguire tracce di un’esistenza precedente dove si svilupperanno anche altri elementi, tra i quali principalmente l’odio di questa nei confronti del vecchio zio, che la porteranno a compiere uno dei gesti che concluderanno tragicamente la vicenda:
«il cuore implacabile disse: – […] Tu odi, hai sempre odiato tuo zio, la vendetta è più squisita così; Dio, perché tu la compia meglio, ti ha posto dentro, irriconoscibile, alla famiglia del nemico.» [[A. FOGAZZARO, Malombra, cit., p. 85.]]
Le correnti sotterranee di cui è fatta la psicologia della protagonista, fanno sì che in Malombra prevalgano le sfumature torbide e inquietanti e si creino i presupposti per un’anticipazione, del tutto lecita, di quella sensualità narcisistica e mortifera pre-simbolista. La marchesina in questione è forgiata su musiche ipnotiche, circondata da fiori esotici, e i bagliori notturni rendono ancora più febbrile la sua bellezza che promette solo la distruzione che, prima di esternare, racchiude in se stessa. Il suo estetismo è legato all’angoscia e all’inquietudine che porterà allo sfarzo drammatico della scena finale. Ma già ombre, musiche e silenzi, vertigini e orridi fanno parte del suo quotidiano dilatato in uno spazio che sprofonda sempre più nelle percezioni dell’inconscio.
C’è in Fogazzaro, come nello stesso saggio sul perturbante di Freud, non solo una base fantastica recuperata da maestri quali Hoffmann e Poe ma un qualcosa in più, che anticipa la svolta della psicanalisi e trova a sua volta anticipazione in quel Fleurs du mal baudelaireiano.
Qualcuno parla per Malombra di una “riduzione psicologica dell’occulto” dove l’elemento fantastico fa parte cioè della coscienza del personaggio ed è quello che permette all’autore di superare, per certi versi, la poetica romantica. Infatti: ciò che egli riprende dalla tradizione del romanzo fantastico e del romanzo nero sono reinterpretati in chiave moderna quali sintomi di una psicologia del profondo, mentre la malattia romantica, detta dell’anima, si trasforma in una patologia repressa che interessa la psiche, e che sarà oggetto di studi sperimentali da parte della “nuova scienza” psicologica stessa. In questi studi sarà compresa anche l’attenzione maggiore alle dinamiche interiori di cui riscontriamo diversi esempi nel, giustamente definito, “modernismo” fogazzariano. Basti pensare all’insistenza assidua sui fremiti, le convulzioni, le patologie nevrotiche del corpo – presenti già in Miranda così come in Malombra – che anticipa le prospettive psicanalitiche sulla manifestazione sintomatica del rimosso[[Pochi anni dopo Malombra, usciva di P. MANTEGAZZA, Il secolo nevrosico, Firenze, Barbera, 1887 (ristampato poi con Prefazione di B. Maier, Pordenone, Studio Tesi, 1995).]].
Cinzia Demi