Giuliano Gabriele, artista italo-francese, è uno degli esponenti più giovani dell’odierna rinascita del folk italiano. Si esibirà con il Quartet da lui creato, I Jacaranda, in occasione della Festa della Musica a Versailles e aprirà le danze della Settimana italiana del 13° arrondissement di Parigi sabato 22 giugno 2013 alle 21.00 Place d’Italie. Non mancate di scoprire il suo percorso nel repertorio tradizionale del Sud Italia che, partendo dal ritmo battente della tarantella, giunge alla sperimentazione world con composizioni e arrangiamenti molto originali.
P.B. : Inizierei col farti descrivere il tour che farai in Francia. Quali sono le tue aspettative?
G.G. : Il nostro Tour estivo inizierà proprio dalle tre date francesi, la prima Versailles, il 21 Giugno in occasione della Festa della musica. Il giorno dopo saremo a Place d’Italie, in occasione della Settimana italiana del distretto di Parigi 13° per finire poi il 23 ad una festa italiana nel comune di Clamart.
Mi aspetto come al solito l’affetto e l’attenzione del pubblico francese che mi riserva sempre una grande accoglienza.
Continuerà poi per la data più importante dell’anno, Ravenna Festival il 30 Giugno.
P.B. : La Francia è la tua seconda « casa », hai avuto contatti con musicisti francesi? Quale idea ti sei fatto della cultura musicale d’oltralpe?
G.G. : Certo quando suono in Francia mi sento veramente a casa mia e soprattutto apprezzano tantissimo la mia musica, cosa che non mi sarei mai aspettato.
In realtà è un popolo molto attento alla musica e a tutte le forme d’arte, come ben sappiamo, e quindi è sempre un vero piacere esibirsi lì.
P.B. : Il tuo nuovo disco « Meladonìa » ha molte radici nella musica ciociara, una terra con una tradizione musicale antichissima, soprattutto legata a specifici strumenti musicali. Puoi introdurci dentro questo mondo affascinante?
G.G. : Il mio scopo principale in “Melodeonìa” è stato quello di far venire fuori le mie sensazioni i miei ricordi che si dividono fra trascorsi nelle intense estati lionesi e abitudini del paesino ciociaro, mantenendo però una forte radicazione nella terra d’origine della nostra famiglia, il basso Lazio.
P.B. : Sei figlio d’arte, qual’è il tuo primo ricordo che hai dell’Organetto?
G.G. : Il mio ricordo più bello è sicuramente legato alla prima volta che sono salito sul palco, ricordo ancora le emozioni contrastanti tra piacere e vergogna, essendo io all’epoca molto timido.
P.B. : La musica popolare, perchè stà tornando in auge? Perchè è importante per te?
G.G. : Credo che negli ultimi 50 anni la musica popolare non sia stata profondamente compresa. La sua rivalutazione è avvenuta negli ultimi tempi, grazie anche ad alcuni fenomeni di massa che l’hanno legata quasi indissolubilmente ad itinerari turistici e culturali (si guardi il Salento), stimolando la curiosità delle persone verso le proprie tradizioni. Potrei dire che iniziamo a seguire, con un po’ di ritardo, l’esempio dell’Irlanda che si è servita della propria cultura musicale per promuovere il proprio paese in tutto il mondo, e del Sud America.
P.B. : Cosa significa Melodeonìa? Come mai l’hai scelto come titolo del disco?
G.G. : Melodeonìa è una parola che ho creato io riferendomi alla melodia dell’organetto, in inglese chiamato anche “Melodeon”, specificatamente per dare il titolo al mio primo lavoro discografico.
P.B. : Hai aperto concerti per artisti del calibro di Hevia e Carlos Nunez, che sensazioni ti ha dato? Quali « segreti del mestiere » hai potuto cogliere?
G.G. : La sensazione iniziale è quella di essere arrivato ad un grande traguardo ma subito dopo ti accorgi che si tratta solo di un grande inizio, cioè della possibilità di condividere il palco, anche solo per pochissimo tempo, con un grande della musica, e senti dentro ancora di più la voglia di andare avanti lungo la strada che hai scelto di percorrere.
P.B. : Nel disco accanto alla musica tipicamente di stampo mediterraneo hai voluto mettere degli accorgimenti sonori più legati alla tradizione spagnola oceanica (asturiana e galiziana), perchè? Cosa di attira di più delle due tradizioni?
G.G. : Essendo di madre francese e padre italiano la mia musica nasce con al suo interno diverse culture musicali, partendo quasi sempre dalla mia terra. La cosa più importante però è che adoro mescolare le tradizioni musicali del nostro vecchio continente.
P.B. : Le tue origini sono ciociare e francesi: quanto la musica d’oltralpe ti ha influenzato?
G.G. : L’influenza francese si percepisce chiaramente nelle mie composizioni, sud Italia e Nord Europa fluiscono l’uno nell’altro dando vita a musiche che creano una danza continua, saltando da una tarantella ad una chapeluase.
P.B. : Nella canzone “Glie Brigante” parli del brigantaggio, fenomeno antico presente soprattutto tra il 1700 e la fine del 1800 nel centro sud Italia. Girano ancora delle storie sui briganti nel Lazio? Quali ti hanno più colpito?
G.G. : Il fenomeno del brigantaggio interessò ad ampio raggio tutto il Mezzogiorno d’Italia e credo che il discorso meriterebbe di essere affrontato delicatamente perché molto controverso sia a livello psicologico che storico; forse il primo nome che mi viene in mente è quello di Domenico Fuoco, nato nel 1837 a San Pietro Infine. Dei tanti briganti post-unitari può essere considerato il più scaltro, il più inafferrabile ma anche il più spietato, sulla sua testa furono poste taglie anche molto elevate e di lui raccontano per primi i suoi fratelli, descrivendolo già da bambino, impulsivo e autoritario.
P.B. : In “La Leggenda del Lupino”, chi è il protagonista? Come mai hai scelto di cantare la sua storia?
G.G. : “La Leggenda del Lupino” narra delle peripezie vissute da Maria per fuggire dai giudei che per ordine del re Erode avrebbero dovuto uccidere Gesù. La Madonna, nella fuga, chiede aiuto ad una pianta appunto di lupini, pregandola di aprirsi e nascondere il bambino. La pianta non solo rifiutò ma fece ancora più rumore con le sue foglie. Negando l’aiuto al figlio di Dio, per opera divina la pianta fu condannata a far crescere i suoi frutti sempre più amari. Continua il viaggio di madre e figlio e stavolta Maria chiede aiuto ad un pino che accoglie il neonato nascondendolo e salvandolo dal massacro, proprio per questo il pino divenne una pianta profumata. Questa storia è un dolce racconto di come Cristo abbia potuto salvarsi grazie all’aiuto della natura e credo sia un messaggio di solidarietà da leggere tra le righe.
P.B. : Dopo la l’organetto, quale strumento ti dà più soddisfazioni?
G.G. : Sicuramente come strumento musicale “La Zampogna”, questo strumento eccezionale mi ha fin da subito affascinato e subito ho voluto averla ed impararla a suonare.
P.B. : Nel disco la violista Lucia Cremonesi ha un aproccio spesso decisivo per la riuscita di molte canzoni del tuo disco Melodeonia, il violino e l’organetto (e più in generale, la fisarmonica) tracciano storie antiche nel folk di moltissimi paesi, secondo te, come mai?
G.G. : Il violino è uno degli strumenti melodici e virtuosi per eccellenza, versatile grazie alle innumerevoli potenzialità a livello di sonorità, ritmo e tonalità, adattabile a qualsiasi tipo di musica, in grado di ricoprire un ruolo solistico e costruire trame musicali, complesse o più semplici, con gli altri strumenti. Uno di questi è proprio l’organetto, capace di creare armonie e melodie allo stesso tempo e dunque ottimo compagno di viaggio del violino. La novità che credo di aver inserito nel mio lavoro discografico però è quella di aver utilizzato pochissimo il violino e molto la viola, strumento praticamente quasi inutilizzato nella musica popolare, con una sonorità più profonda e interessante, vicinissima a quella della voce umana e forse con un velo di malinconia in più.
P.B. : La Cociaria, terra antica, quali sono i posti che consiglieresti ai lettori di visitare?
G.G. : La Ciociaria è una terra piena di cultura e importantissima sotto il punto di vista artistico. A Casamari per esempio abbiamo una delle maggiori testimonianze dello stile cistercense, la famosissima Abbazia di Casamari, perfettamente conservata, un monumento a cui teniamo moltissimo; Anagni è un altro centro culturale focale, con il famoso pavimento cosmatesco all’interno della Cattedrale, o la cripta dove è conservato un importantissimo ciclo di affreschi. Come non citare L’Abbazia di Montecassino, più volte ricostruita a causa di varie sciagure ma ancora in grado di raccontare, come un vero e proprio libro di storia dell’arte le varie fasi della sua esistenza. Abbiamo inoltre centri storici annoverati tra “i borghi più belli d’Italia” come Boville Ernica e San Donato Val Comino, paesi-gioiello della nostra zona, e infine una vera rarità, la cascata situata proprio all’interno della cittadina di Isola del Liri, una suggestiva e romantica attrazione!
Pietro Bizzini