Ricorre l’anniversario del tremendo terremoto dell’Irpinia che costò la vita ad oltre tremila persone. Sono passati oramai più di quarant’anni anni da allora, ma quella tragedia ancora brucia dentro. Dopo di essa il terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, quando una scuola elementare crollò e ammazzò ventisette bambini e la loro maestra. Seguì il terremoto dell’Aquila e tra le quattrocento vittime ancora studenti uccisi da strutture scolastiche. E poi, ancora il terremoto di Amatrice e dell’Italia Centrale con trecento vittime.
In tutti questi anni i morti per i terremoti si sono contati a migliaia. Più di quarant’anni e le scuole non sono ancora sicure.
Il racconto di Flavio Brunetti, “Il giorno assassino”, che parte da quel 23 novembre del 1980 e giunge sino ai nostri giorni, è perciò sempre attuale.
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Più di quarant’anni, oggi, sono passati. Un giorno fantastico. Di novembre. Il 23 novembre. Maniche corte e campagna, arrosti e vino all’aperto fino alla sera. Un giorno incredibile, bello, un regalo d’autunno. Ma quel giorno straniero, venuto da terre lontane, a tradimento, nascose il suo sole bugiardo e mostrò il volto assassino. La sera la terra tremò. Tremila morti. Novemila feriti. Trecentomila sfollati.
Poi, il giorno straniero, l’assassino, partì. Tornò il freddo. Dal cielo cadde la neve a imbrattare i resti di quei poveri morti. Le case, macerie di fango. Le strade, sirene spiegate. Le piazze, pianto dei vivi. I bimbi, spaventati pulcini. Le chiese, sacrari deserti.
Le nuove parole
La gente del sud, anche la più semplice, quella per cui il linguaggio è solo dialetto incompreso, imparò nuove parole e nuovi nomi:
Lesioni. Sisma. Onde. Mercalli. Distacchi. Richter. Martellamenti. Solai. Travi. Pilastri. Agibilità. Giunti.
E non c’erano altre parole nei dialetti dei semplici che significassero quei vocaboli sconosciuti. Eppure di terremoti, nel Sud, ce ne erano stati, in passato. Stragi di popolo. Ma le parole che raccontavano quei guai erano morte nel tempo. Nessuno più le usava. I terremoti si scordano presto. I guai si gettano subito, via, nell’oblio. E i terremoti fanno paura solo quando ci sono. Pochi mesi e si scordano. Vince la voglia di continuare. Tornano presto i cavalieri di sempre, più vittoriosi che mai: l’interesse, la fretta, il risparmio.
Quei giorni di più di quaranta anni fa, invece, c’era tanta paura. Tremila morti scuotono gli animi.
Volere capire
Ma la voglia, di tutti, di conoscere le cose, di capirle anche tecnicamente, per far meglio, viveva con lo spavento. Ed erano, quelli che chiedevano, quelli che s’informavano, quelli che non si spiegavano il perché, persone di tutti i tipi: l’impiegato e la casalinga; lo studente e la puttana; il camorrista e il vecchio abbandonato da solo in un appartamento vuoto; l’operaio e l’avvocato.
Tutta gente che incontrai nel migliaio di case di Napoli dove fui mandato, come ingegnere, a verificare i danni e giudicare se quelle dimore fossero ancora abitabili. Le persone erano tutte affamate di capire il perché e il per come.
L’appartamento dei pazzi
Un appartamento era una specie di manicomio. Là dentro ci stavano i pazzi. Malati di mente, che una struttura privata e clandestina accudiva dietro pagamento dei parenti di quelli. Quando entrai con i miei attrezzi si incuriosirono, i pazzi, e mi seguivano passo su passo, stanza dietro stanza. Io, con la mia scalpellina, rimuovevo l’intonaco sulle lesioni alle travi e ai pilastri e, per verificare se la struttura avesse subito danni gravi e la qualità del suo calcestruzzo, pulivo la polvere su essa, prima con un pennello più grande poi grattavo il cemento e, passando ad un pennello più piccolo e spruzzando aria con il soffietto, rifinivo l’operazione. Poi guardavo con attenzione l’insieme delle strutture portanti e il particolare del danno. Infine prendevo lo sclerometro e percuotevo il calcestruzzo con un colpo sonoro che rimbombava in tutta la stanza.
– Questo sì che è un bravo medico! – esclamò, a sentire la botta, uno di quei prigionieri lì dentro, tutto compiaciuto ed entusiasta del mio operato e aggiunse:
– Questo medico è bravo! non il dottore che viene qua, che ti fa la siringa e se ne va subito subito, senza guardare niente.
Anche quei poveri cristi rinchiusi lì dentro, chissà da quanto tempo, volevano capire come e cosa si può fare perché un terremoto non ammazzi più la gente.
La paura passò
I mesi passarono e la paura piano piano passò. Per riparare i danni del terremoto si cominciarono ad usare trapani con lunghissime punte massicce per perforare i muri e ricucire lesioni e distacchi. Ma fu proprio in quei mesi che i napoletani cominciarono ad appiccicare balconi alle travi delle case popolari. C’erano ditte abusive specializzate. Arrivavano col trapano, che avevano imparato ad usare con il terremoto, e con quello bucavano le travi di cemento sotto le finestre, ci infilavano i ferri in malo modo e poi, ci appiccicavano un nuovo balcone. Una cosa assurda e pericolosa. Quelle travi non erano state calcolate per portare quel peso! … e bucandole in malo modo per infilarci ferri e putrelle venivano irrimediabilmente danneggiate. Il terremoto non è più tornato a Napoli, e non sia mai!… (facciamo le corna!)… che sarebbe di quelle migliaia e migliaia di balconi abusivi e appiccicati alle travi? Ma quando li appesero a quelle povere travi la paura del terremoto già era passata.
In Molise
La paura è passata anche qui nel Molise, la terra dove dormono gli Angeli di San Giuliano di Puglia.
Fu una scuola. Una scuola pubblica. Dell’obbligo. Una di quelle, dove se non ci mandi tuo figlio vai, tu, in galera. Commetti un reato. Questa è la legge di Stato.
I pollai
Dopo il terremoto del 2002 si affrettarono subito a chiudere moltissime scuole in quasi tutto il Molise. Furono chiuse le scuole e montati i pollai e lì dentro si faceva lezione. Una sorta di vergognosi pollai, che si misero su, in fretta e furia con i ragazzi ammassati gli uni sugli altri tra pareti di plastica o legno su pavimenti traballanti.
A Boiano le baracche furono montate a tre metri dai binari della ferrovia. Tra una poesia di Leopardi e una di Pascoli, tra un’equazione di primo grado e il teorema di Pitagora, ci passava il treno! Un giorno che quelle stamberghe da campo erano ancora affollate di alunni, un chilometro dopo le baracche-scuola il treno, distratto, deragliò! E se fosse deragliato un chilometro prima andando a sfondare i pollai delle lezioni?
A Limosano il pollaio era anche una chiesa. Si faceva lezione tra le statue dei Santi. I Santi danno molta fiducia ai ragazzi. Ad essi si raccomandavano la mattina gli studenti che non avevano studiato.
Per non essere interrogati.
Dopo l’Abruzzo
Dopo l’Abruzzo, la paura tornò.
Qualche scuola, qui nel Molise, i ragazzi e i genitori, si fece sentire. Qualcuna soltanto. In tutti questi anni, gli studenti, li hanno spostati in altre strutture: in un capannone industriale trasformato in Liceo, in altre costruite di nuovo, ma anche in altre che non sono antisismiche e che sono uguali alla scuola di prima. In altri casi hanno mescolato scuole elementari alle medie e le medie alle scuole superiori: tutto un miscuglio di età e di sogni. Ma va bene così. Bastava che passasse la paura. E che la paura non fosse venuta a tutti quegli altri studenti che la paura ancora non avevano.
Sono passati più di venti anni da quando una scuola dello Stato ha ucciso i nostri Angeli, i nostri ventisette bambini, e le scuole Italiane hanno continuato ancora ad ammazzare i nostri figli.
Vergogna!
– 6 ottobre 2004: la piccola Ilaria Raschiatore morì schiacciata da un cancello nella scuola dell’Infanzia “Colle dei Frati” di Zagarolo (RM)
– 9 marzo 2006. Ad Ossi in Sardegna crollò un solaio vecchio di 50 anni della scuola elementare. Quattro bambini di prima elementare, feriti, furono vivi per caso.
– 13 novembre 2008 – Una decina di alunni si intossicarono all’Isiss Giordano di Venafro. E l’intossicazione dovuta al mal funzionamento degli impianti continuò a ripetersi per giorni. Ma i ragazzi, a cui inizialmente nessuno aveva creduto, si salvarono tutti.
– 22 novembre 2008. Liceo scientifico Darwin a Rivoli – Torino – Vito Scafidi, studente di 17 anni, morì sotto il crollo di un solaio della sua scuola.
– 6 Aprile 2009 – L’Aquila ore 3 e 30 – Crolla la “Casa dello studente” – Morirono otto studenti che vi alloggiavano. Inascoltate, per settimane, le proteste e le ripetute segnalazioni di pericolo degli studenti che abitavano quell’edificio.
– 17 novembre 2014 – Istituto Magistrale – Isernia – Crollò la parte di un solaio al secondo piano precipitando sul pavimenti mattoni e calcinacci. Menomale che gli studenti erano in altre aule.
– dal 2016 ad oggi si sono verificati, nelle scuole pubbliche italiane, centinaia di crolli di intonaci e di controsoffittature soprattutto negli edifici che furono costruiti oltre cinquanta anni orsono.
La Pandemia
Dagli inizi del 2020 il maledetto virus del pipistrello. Centoquarantamila morti, ospedali stracolmi. Il pipistrello, il topolino volante, ha messo a nudo tutta la debolezza dell’uomo.
L’uomo che sfida lo spazio, l’uomo che inventa le armi, l’uomo che succhia l’anima della terra, l’uomo che non ha paura di niente e distrugge le foreste, il mare, i ghiacciai, gli equilibri planetari, l’uomo è stato sconfitto, giorno dopo giorno, da un pipistrello. Un nemico invisibile, il virus, che ci ha tappato la bocca, ci ha strappato i sorrisi, ha zittito i nostri pianti e ha conquistato anche le scuole.
Dopo il terremoto, in Irpinia e in tutto il Meridione, furono chiuse le scuole per molte settimane. Ma avevamo nel cuore il rumore delle pietre e delle travi assassine, avevamo nei polmoni la polvere acre dei calcinacci, nelle orecchie il grido delle sirene e il pianto dei vivi.
Negli anni della pandemia i nostri studenti hanno vissuto incerti e intimoriti. Dapprima isolati nelle loro stanze di casa dietro ad un anonimo schermo e dopo controllati ad ogni passo. Misurare la febbre. Fare il tampone veloce. Fare dopo due o tre giorni la fila in ospedale per il tampone molecolare. Parlare, capire, indagare, rispondere sul come e perché il compagno l’ha preso. Hanno indossato tutte le ore una benda odiosa che copriva loro il sorriso. Essere incerti, privi di gioia, nel loro ambiente dove ogni giorno sarebbe dovuto iniziare il cammino verso il futuro.
Gli studenti
Gli studenti sono la forza del nostro futuro. Sono il bene più prezioso che abbiamo. Il nostro avvenire sono loro, i nostri studenti, e noi non valiamo nulla senza di loro. La nostra cultura si specchia nel sapere dei nostri studenti. Bisogna amarli, ma amarli davvero, quei ragazzi un po’ spaventati di crescere. Bisogna capirli e tenerseli stretti. Stretti sul petto. Non sono i nostri nemici, i nostri schiavetti. Sono la parte migliore di noi.
Amiamoli allora, questi ragazzi indifesi! Sradichiamo dai muri le grate! Liberiamoli dalla noia e dall’apatia, difendiamoli con tutto il nostro amore più grande.
Racconto e foto di Flavio Brunetti
(Pubblicato una prima volta nel 2014 e aggiornato)
LINK INTERNO ALTRITALIANI : 23 Novembre 1980 ore 19,34 di Violetta Luongo e Armando Lostaglio (2010).
Non conoscevo questo sito, sono arrivato qui per caso. La sua è una bellissima testimonianza. Il web è un po’ la fortuna e la condanna della memoria. Storie importanti come queste che si perdono tra miliardi di idiozie possono riaffiorare per caso, entrando nella memoria e nei cuori delle persone.
La ringrazio e la saluto,
Fabrizio Nigro
[…] (2) https://altritaliani.net/article-il-giorno-assassino-il-terremoto/ […]
Grazie Flavio Brunetti, per il tuo narrare dettagliato, chiaro, dettato dal cuore, corredato da buone foto, dal terribile terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, al Molise nel 2002, all’Abruzzo…fino ad arrivare alla Pandemia di oggi. Ricordare per non dimenticare…ricordare l’incuria dello Stato, ma soprattutto è significativo e augurale il tuo lodevole appello ai nostri giovani, il nostro futuro, difendendoli con il nostro amore più grande.
Un caro saluto
Rosella
Grazie, Rosella, per la tua delicata sensibilità.
Un caro saluto
Flavio
Il giorno assassino: Il terremoto del 23 novembre 1980.
è davvero importante ricordare,
è anche importante ripetere tutto quello che non è stato riparato da decenni per l’incuria dei pubblici poteri,
è sopratutto essenziale insistere sulla necessità di proteggere i giovani per l’avvenire,
ed è inoltre importante mantenere la propria coscienza all’erta.
grazie Flavio