Partivo per un anno negli Stati Uniti, sulla frontiera canadese. Nel 1957, voleva dire partire dalla stazione St. Lazare per Le Havre, poi fare una traversata (normale) di cinque giorni….ma non tanto normale, ventiquattro ore più lunga, se avevate scelto l’equinozio e le sue famose mareggiate massime! Era allora che le cabine e i loro bagni si popolavano, mentre le sale da pranzo si vuotavano.
Capitò che scappassi io al mal di mare, ma non allo spavento di sentire la nave scricchiolare teatralmente dappertutto, mentre rullava e beccheggiava senza darsi mai pace.
Oh, l’angoscia di vedere le tende che sembravano in posizione orizzontale!
Ma, infine, venne l’ora del sorgere di Manhattan, attraverso una cortina di pioggia, poi, finalmente, l’immobilità fremente della nave.
C’eravamo!
Adesso, bisognava avere pazienza; aspettare nervosamente che la fiumana dei passeggeri scorresse e che io giungessi alla “S” giù sulla banchina, dove il mio baule doveva apparire (i bagagli si trovavano raggruppati sotto l’iniziale di ogni passeggero).
…..Passò il tempo…..scarseggiò la folla, si ridussero, poi sparirono tutte le cataste dei bagagli.
La mia ansietà fu fatale, perché il mio baule nuovo, in fine non c’era! Solo io rimanevo ad aspettare sulla banchina ormai vuota.
In questo mio baule – immaginavo – avevo messo qualche cosa, per me essenziale: la pelliccia, la racchetta da tennis, la mia teiera preferita (di acciaio, notate bene) e due bottiglie di St. Emilion vecchio, in vista di futuri amichevoli scambi (aiuta di più che un dizionario!).
Insomma pensavo: “Come sopravvivrò nel clima polare, senza la pelliccia? Come condividerò le simpatie senza un vecchio vino o una “good cup o tea”, o senza palleggiare tra amici?”
Ma, all’improvviso, guarda un po’! nel mezzo della banchina deserta il braccio della gru si mosse, come preso da un rimorso e depose il mio baule, tutto solo, la giù.
Fui sollevata, sopraffatta dalla gioia, poi, subito atterrita; il baule nuovo stava tornando dalla guerra! Solo il cavo d’acciaio precauzionale, messo attorno al bagaglio a St. Lazare, manteneva il coperchio chiuso. Tutte e tre le cerniere erano rotte, anche le serrature!!!
Annusai in fretta come un gatto, nessun odore di vino. Questo mi fu di gran sollievo!
Quando giunsi alla casa dei miei amici, scoprii che solo un miracolo aveva salvato le bottiglie e di conseguenza tutti i miei abiti, poiché l’acciaio della teiera tutto storto e il legno della racchetta a pezzi facevano supporre che qualche elefante energico aveva ballato sul povero baule nuovo.
Non saprò mai da quale zuffa questo eroico soldato stava tornando!
Dio mio! 1957……tanti anni fa!
Huguette
Il baule reduce
Brava Huguette, ti riconosco bene in questo racconto. Mi piace, Doris