La Basilicata nei ricordi del poeta romagnolo, a cento anni dalla scomparsa.
E’ stato un rapporto certamente difficile, un amore mancato (a parere di alcuni critici) quello fra il professor Giovanni Pascoli e la città di Matera. Non era per nulla felice che gli avessero assegnato Matera come sede d’insegnamento; legato come era alle sorelle, gli procurava una forte malinconia il distacco da esse, rimaste a Sogliano. Avrebbe preferito Teramo, ben più vicina ai suoi affetti.
« Io discesi una notte fra foreste paurose al lume della luna, cullato dalla carrozza, dalle dolci monotone canzoni del postiglione », così racconta il poeta romagnolo, che sarà « il poeta fanciullo della solidarietà fra tutte le creature ».
Edizioni Osanna di Venosa ha pubblicato « Giovanni Pascoli a Matera (1882 – 1884) – Lettere dall’Affrica”, nel quale l’autore, Giovanni Caserta, racconta con impeccabile acume dei due anni in cui il poeta di San Mauro di Romagna (vi era nato nel 1855) venne a Matera per insegnare latino e greco al Liceo Ginnasio. Era alla sua prima nomina.
Giovanni Pascoli arrivò a Matera intorno all’una di notte, fra il 6 e il 7 ottobre del 1882. Ma prima di giungere nella Città dei Sassi, il professore fece una sosta di due giorni a Bari. L’approdo notturno in Lucania viene così descritto da Caserta: « Pioveva e faceva freddo a Matera quella notte, e poiché non aveva la possibilità di pagarsi un albergo, si riparò in un portone in attesa dell’apertura della scuola, nella quale si stavano svolgendo gli esami di riparazione ». Di certo non fu un esordio felice per Pascoli, che come una sorta di presagio, ne ha compromesso la sua permanenza: « un’Africa ostile, un esilio forzato in attesa di tempi migliori ».
Allora Matera contava intorno ai 15 mila abitanti, concentrati nei Sassi, in quelli che erano considerati inferi e che solo successivamente (oltre un secolo dopo) saranno patrimonio dell’Umanità.
Alloggiò in stanze buie e disadorne – descrive il poeta – « tra topi ed afrori insopportabili, eppure paghiamo un occhio del capo » alludendo al carovita. Tuttavia, oltre all’insegnamento, in quei suoi due anni, il poeta romagnolo si dedicò anche alla sistemazione della biblioteca. Fece acquistare dalla scuola testi classici greci e latini, sebbene non si trovassero in città testi nuovi. Non c’erano librerie, in un contesto così povero « dove la cultura nel migliore dei casi era un lusso e, nel peggiore, un’arma di sopraffazione nelle mani delle classi agiate”, scriverà.
Caserta si sofferma anche sulle condizioni di salute del poeta che, nonostante tutto, aumentò di peso (come confiderà in una lettera alle sorelle). Spendeva in vitto e alloggio tutto quanto guadagnava con lo stipendio di professore. E così per arrotondare, alla fine dell’anno scolastico, decise di fare il commissario per gli esami di Stato a Viggiano, nel cuore verde della Basilicata. Quel viaggio il poeta lo descrive « terribile », servendosi della ferrovia Potenza-Taranto da poco aperta. Ma quando soggiornò a Viggiano, il paese ai piedi del monte Santuario della Madonna non gli dispiacque affatto. Probabilmente perché respirava le stesse atmosfere del natio borgo romagnolo. Ed ancora, la vicinanza con gli scavi dell’antica Grumentum e in lontananza il massiccio del Pollino: da Viggiano, Pascoli scrisse al Carducci, suo nume tutelare, affinché si adoperasse in difesa del paese lucano, e perché al locale liceo fossero destinati due professori.
Al poeta fra i massimi autori dell’Otto – Novecento, i Materani hanno dedicato una piazzetta che si affaccia sugli antichissimi Sassi, ritenendolo un figlio adottivo, come accadde anni dopo con Carlo Levi.
Armando Lostaglio
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