Raccogliamo e pubblichiamo, in occasione della festa dell’Europa a Parigi, il 8 e 9 maggio, una breve riflessione della responsabile del PD Parigi, sulla difficile fase che attraversa l’Europa. La crisi dei profughi, il malcontento italiano, le difficoltà ad uscire dagli egoismi nazionali. Ma indietro non si torna. Bisogna « pensare europeo ». Cosa significa partecipare alla festa dell’Europa come italiani nella città straniera in cui abitiamo?
Anche nel 2011 la festa dell’Europa invade il parvis dell’Hotel de Ville di Parigi. La Maison de l’Europe, l’associazione della Ville de Paris che organizza la manifestazione, ci ha contattato e ci ha invitato a partecipare. Insieme alle altre associazioni di europei a Parigi.
Cosa significa partecipare alla festa dell’Europa come italiani nella città straniera in cui abitiamo? Cosa significa festeggiare l’Europa insieme a francesi e altri europei? Cosa significa festeggiare l’Europa in un momento in cui gli Stati sono isolati, soli, muti nell’affrontare problemi che, quelli si, investono tutti gli europei? Lampedusa e i clandestini tra Firenze e la Villette, la crisi economica e le minacce di uscita dall’euro, una politica estera senza ministro ( o con un ministro senza voce), una politica culturale che dopo gli splendori di Cultura 2000 non sa troppo cosa inventare. E Schengen? Davvero ha senso festeggiarla questa Europa?
Noi crediamo di si. Perché accanto alle difficoltà ci sono i risultati (la ricerca, i diritti, la moneta, le politiche sociali, il dovere di restare all’altezza). E non sarà per un Presidente di turno stanco o per un primo ministro inadeguato che gli italiani smetteranno di credere nel progetto europeo.
Non ci nascondiamo i problemi, la stanchezza, le difficoltà.
Se pensiamo che l’Europa era nata per avere presto un progetto politico e guardiamo a come si muovono oggi gli stati (Francia per prima) sembra che siamo anni luce dal realizzarlo. Con 27 stati membri e altri candidati però non possiamo pensare che sia un progetto arenato. Yves Meny, che è stato uno dei migliori presidenti dell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, l’unico istituto di formazione comunitario, finanziato e partecipato dall’Unione, era solito dire che il processo di integrazione e la definizione del progetto europeo sono come un meccanismo lentissimo, che procede in avanti e che una volta fatto un passaggio non potrà mai tornare indietro, un meccanismo con una sorta di blocco per qualsiasi passo indietro.
Sempre in avanti. E le minacce di queste ultime settimane non devono farci pensare che la rivoluzione delle frontiere o gli sforzi per entrare nell’euro siano stati vani. Sembreremo ottimisti, ma a dire il vero alternative non ce ne sono. Nessuno (Ocse in primis) crede che davvero un paese possa uscire dall’euro. Piuttosto dobbiamo essere i primi a pretendere un’Europa unita, politicamente ed economicamente, in cui magari scegliere alle prossime elezioni un candidato unico per la presidenza. Perché alla fine è questo uno dei problemi politici più grandi dell’Europa: che gli Stati stessi non la vivono come una federazione, ma come un teatro in cui avere ruoli e copioni.
Se destra e sinistra, popolari e democratici socialisti si decidessero a fare campagne non solo per i propri paesi (gli italiani per l’Italia, gli spagnoli per la Spagna e via dicendo) forse avremmo già fatto un altro di quei passi da cui non si torna indietro. E proprio chi vive in Europa, si muove e si confronta con frontiere ancora esistenti, capisce quanto potrebbe essere importante « pensare europeo ».
Per questo, quando un’associazione, un comune, un’istituzione ci invita a festeggiare l’Europa, partecipiamo e facciamo la nostra parte, perché l’Europa parte anche da noi, i cittadini.
Beatrice Biagini
Democratici Parigi
Associazione Toscana a Parigi ACUTO