Ennio Rega e il suo Arrivederci Italia in musica e parole scomode.

Intervista ad Ennio Rega. Nel suo ultimo album, il suo j’accuse ad un’Italia smarrita, senza pensiero critico, dalla civiltà crollata. L’arrivederci ad un tempo che fu – gli anni ’70 – e che si sogna di ritrovare. Scomodo, diretto e poetico, Ennio Rega si presenta ai lettori di Altritaliani. Già pluripremiato, un ulteriore riconoscimento gli sarà conferito l’8 novembre a Vercelli, il Premio Georges Brassens, nell’ambito del “Festival Internazionale di Poesia Civile” “per la grande versatilità e l’alta tensione poetica di testi e musica nella sua opera intrisa di denuncia sociale”.

INTERVISTA A ENNIO REGA

P.B. Il tuo disco “Arrivederci Italia”, come ogni tuo disco passato, è marcatamente diretto verso una riflessione politica/umana, vuoi tentare di spiegare cosa sta succedendo in Italia in questi mesi ai nostri lettori “esteri”? Quali sono le tue impressioni?

E.R. Peggior difetto di questo Paese è uno scarso senso della collettività: gli italiani difendono piccoli e grandi privilegi conquistati perlopiù con logiche mafiose.

Che sta succedendo? Niente, ecco tutto, nel frattempo però stiamo perdendo la “memoria di ieri”.

Io credo nella gente della strada, così come mi fa paura quella sempre chiusa in casa. Un popolo incapace “ di un’idea poetica che dal privato scenda in piazza” per citare un brano del disco “Italia irrilevante”, è un popolo estraneo, moralista, pieno di rancore, razzista e per questo pericoloso.

L’incidenza teologica sui principi di bene e male rappresenta l’unica forma di prevenzione e di educazione che sopravvive in questi tempi. Altri mondi spirituali laici ed etici sono scomparsi, risucchiati dalla stupidità dei media.

L’immaginazione ad esempio è scomparsa, è il tema al centro del testo teatrale che sto rappresentando in questi giorni.

Premio Lunezia 2012, per il valore musical- letterario dell’album

P.B. “Arrivederci Italia” è un augurio, un’affermazione, un epitaffio…

E.R. Con “Arrivederci Italia” saluto l’umanità delle grandi battaglie civili degli anni 70, con l’augurio di poterla ritrovare in un nuovo rinascimento. No, nessun epitaffio, resto ottimista, ci rialzeremo.

P.B. Secondo te la musica può aiutare oppure può guidare ad un cambiamento tangibile della società?

E.R. Ogni forma d’arte degna di questo nome, collabora al cambiamento, suggerisce modelli diversi di vita, apertura mentale, uno sguardo lucido sul mondo.

Da sola la musica non aiuta né guida, senza la spinta di una coscienza critica, di un’acculturazione delle masse su temi filosofici di consapevolezza universale. Oggi si vive di modelli terra terra.

La musica è sogno è utopia non può avere una funzione alienante e proprio come la religione diventare una sorta di catarsi per non pensare, essere la finalità per uomini plasmati dalle circostanze. Ogni vero cambiamento arriva dal basso e non dall’alto.

P.B. Quale tipo di sensibilità chiedi nella canzone “Sbriciolo ai Corvi”? Dove la si può andare a cercare?

E.R. Nell’umiltà. Non c’è grande uomo né grande artista che non conosca l’umiltà.

Amo l’Italia ma questo Paese mi fa schifo, perché “il pensiero unico” ha insegnato che parole come immaginazione, passione, creatività, cultura sono vecchie, insegna che ciò che davvero conta nella vita è mangiare e scopare, fregando il prossimo con un sorriso.

Oggi la maggior parte degli “uomini di successo” di questo Paese sono dei cafoni arricchiti.

Ennio Rega « SBRICIOLO AI CORVI » dal disco ARRIVEDERCI ITALIA

P.B. Quali sono i poeti e i sognatori che ti hanno colpito e, in qualche modo, guidato nella tua formazione. Quali, invece, i musicisti?

E.R. Nietzsche, Pasolini, Chopin, Ray Charles, ciascuno di questi grandi ha saputo spiazzarmi, insegnarmi l’umiltà, l’innocenza, lasciandomi un messaggio laico, trasmettendomi un forte senso di appartenenza. Per altre ragioni, più strettamente filosofiche, mi hanno indicato la strada Marcuse, Schmitt, Neruda, Pessoa, Hendrix, Zappa.

P.B. Il Premio Lunezia 2012 è l’ultimo di una lunga serie di premi, che rapporto hai con questi traguardi?

E.R. E’ utile e fa piacere ricevere un riconoscimento istituzionale.

Tuttavia il più grande premio che io abbia ricevuto è di anni fa, ospite live nella tenda M al MEI di Faenza, quando dei ventenni metallari, piercing e tatuaggi, dopo la mia esibizione vennero a stringermi la mano dicendo di aver ricevuto forti emozioni. Questo tipo di cose io me le aspetto, lo so che è così, so che la mia musica è molto più vicina agli “estremismi”…ma insomma la canzone d’autore non è un pacchetto standard, prendere o lasciare, le mie canzoni parlano alla “gente della strada”.

P.B. Hai una poetica molto particolare che esprimi canzone per canzone, talvolta sembri arrivare ad un cinismo spietato ma dove dentro si sente un cuore che batte. Dove e come trai ispirazione, dove preferisci scrivere i testi e dove la musica?

E.R. Ti dicevo la gente della strada…io mi faccio coinvolgere dai sentimenti che palpitano nell’innocenza, io non conto nulla nella mia musica e nelle mie parole, restituisco solo la prepotente pretesa che ha di creare il bambino che è in me.

Per un artista che ha una produzione più o meno continua è importante saper programmare anche l’ispirazione, nel senso di creare le condizioni favorevoli affinché degli stati d’animo vitali quali gioia, dolore, ironia, rabbia possano fungere da forti stimoli ad una creatività non fasulla: sai quelli che si mettono lì e la prima cosa a cui pensano è copiare per far funzionare il pezzo.

Gli ultimi tre album li ho scritti in campagna, ho bisogno del verde e della quiete intorno per esprimere la parte migliore di me che poi è l’immaginario, quel mio essere visionario.

Non mi serve altro caos…la mia interiorità è piena di strade ed autostrade affollate. Il meglio di me viene dal sogno non
dall’ispirazione metropolitana in tempo reale.

Non credo nell’opera d’arte “chiusa”, credo nella trasformazione del prodotto artistico.

Appena dopo l’uscita del disco è già il momento migliore per cambiare, per questo il live è un’esperienza stimolante.

Bisognerebbe suonare in giro un disco almeno per un anno prima di andarlo a registrare, sdoganandolo così dalle regole
di registratori e computer.

enniodsc03291.jpg

P.B. Il Jazz ha una forte radice nell’Africa occidentale e nel movimento di liberazione della schiavitù, questo genere quanto lo senti nel tuo midollo e quanto, invece, è puro virtuosismo?

E.R. Io non sono un jazzista, ci giro intorno solo perché sono un’artista senza schemi rigidi, faccio un po’ come mi pare…tutto quello che faccio però, con serietà, è solamente essere me stesso.

Il jazz col virtuosismo non c’entra un gran che, il meglio del jazz è un racconto fatto dal lato positivo della nostra “ombra”.

Puoi escludere questo racconto dalla tua infanzia e fare l’adulto maturo, così facendo imbavagli il bambino che agisce in te, che poi è quello che veramente compone, suona e canta.

Il jazz è irragionevole, è un archetipo, è profondamente psicoanalitico.

P.B. Quanto la tua attitudine ad un Jazz ribelle ti ha messo i bastoni fra le ruote nel mondo dello spettacolo e quanto ti ha dato, invece, soddisfazione?

Tu componi e ti rendi conto che hai scritto qualcosa di utile e di ispirato, non una cazzata qualsiasi …allora per essere degno di quel tuo personale successo raggiunto devi continuare “a fare bene”, come dicono gli sportivi.

Questo mio universo filosofico e sufficientemente pragmatico mi mette al riparto dai soldi sbagliati, purtroppo mi allontana anche un po’ da quelli buoni, ma questa è un’altra storia.

Anche nell’ambito musicale il problema è politico. Lo racconto nel brano “Io Lino e Lia”: “…c’è chi dice Ennio ma tu non sei puttana per niente! Io dico…che c’entra puttana…nella musica”.

Continuo a fare musica perché dalle mie opere ho ricevuto grandi soddisfazioni in primis quelle date dalla mia personale gratificazione interiore e poi dalle risposte del pubblico che mi fa sentire utile a qualcosa.

Ma io non sono un jazzista. Però capisco perché mi ci infilate sempre dentro.

P.B. Dove ti piace esibirti di più? Quali feedback hai avuto dalla gente che ha ascoltato “Arrivederci Italia”?

E.R. Il teatro è il luogo a me naturale, in quel contesto riesco ad intuire fortemente l’interazione col pubblico.

Ho una particolare sensibilità nel percepire l’applauso interno nascosto della gente tra il pubblico (che poi è quello che mi interessa e che cerco), l’applauso esterno fa rumore e il rumore si sa è superficiale per natura, ci sono invece certi silenzi in teatro, una sorta di complicità con lo spettatore, un miracolo, niente del genere altrove.

P.B. Quali musicisti della scena italiana ti hanno colpito di più nel 2012 ?

E.R. Che domanda difficile, dalla mia non risposta, che spero tu non interpreterai come presunzione, puoi intuire in quale grave depressione siano gli artisti in questo Paese…aspetta fammi pensare…chi c’è…ma guarda…togliendo la musica pop italiana…il liscio da balera… no dai…e la so aspetta, ecco…
la so: il meglio del nostro Paese restano le maschere e la grande canzone napoletana!

Una cosa non ho capito, visto che finiremo per votare chi promette, senza vergogna, mari e monti: davanti agli occhi del mondo siamo un popolo di barbari o un popolo di rincoglioniti?

Intervista di Pietro Bizzini

Il sito ufficiale di Ennio Rega

Article précédentUna piccola impresa meridionale. Intervista a Rocco Papaleo e trailer.
Article suivantIl Tesoro di Napoli: San Gennaro. La mostra di Roma.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.