Mentre vanno avanti tra polemiche i festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, tra nostalgia, ironie e retorica, sembra ritornare in tutta la sua forza la questione meridionale. Unitaristi e separatisti si confrontano sul futuro del sud. E se fossero proprio loro a chiedere di staccarsi da Roma e dal resto dello stivale? La crisi della politica potrebbe portare a nuove spinte indipendentiste e autonomiste. I segnali ci sono.
Da più di 250 giorni, il Belgio è senza un governo. In sostanza, le tensioni tra i valloni di lingua francese al sud e i fiamminghi di lingua nerlandese a nord sono diventate talmente insanabili e la situazione politica così polarizzata da aver condannato il paese alla paralisi anche su scelte basilari come quella di una rappresentanza nazionale. L’Italia, con tutto ciò, sembra entrarci poco: la situazione italiana sembra infatti, a un primo sguardo, essere assai più vicina a quella della Spagna, in cui comunità regionali del Nord minacciano l’indipendenza ormai da decenni, mentre quelle del Centro (dov’è Madrid) e del Sud restano favorevoli all’unità. Al contrario, come vedremo, una situazione « belga » nello Stivale, in un futuro prossimo, è tutt’altro che fantapolitica.
Partiamo da Nord. Alle tante parole spese dalla Lega Nord sulla secessione della « Padania » negli anni Novanta non hanno fatto seguito atti di uguale portata, ma è innegabile che i consensi del partito di Bossi siano aumentati di elezione in elezione, e abbiano conquistato anche zone di regioni tradizionalmente ritenute « rosse », come l’Emilia-Romagna. Un malumore diffuso e che continua a diffondersi, dunque: caratterizzato da accuse al governo centrale, ma anche al Sud del Paese che, secondo i leghisti, « assorbirebbe » ingiustamente le tasse « estorte » al Nord.
D’altra parte, il fatto che una parte ricca di uno Stato voglia separarsi da una più povera non è certo una novità storica: ne parlava già lo storico Eric Hobsbawm, nel suo Il secolo breve. Restiamo nell’Europa contemporanea e pensiamo di nuovo alla Spagna. Non stupirà più di tanto il dato che la maggior parte delle industrie del Paese si trovino in Catalogna e nei Paesi Baschi, che si trovano a essere di conseguenza le regioni più ricche dello Stato. E le somiglianze non si fermano qui: infatti, in entrambe le regioni, storicamente l’industria ha prosperato grazie alla manodopera a basso costo dell’Estremadura e dell’Andalusia, cioè delle regioni del Sud. Quello che potrebbe sembrare un semplicistico determinismo economico viene però rafforzato dalla constatazione che la Galizia, altra regione spagnola dotata di una lingua propria e di un’identità culturale fortemente marcata (come Catalogna e Paesi Baschi), ma una zona economicamente deprivata, non ha mai pensato di rendersi indipendente da Madrid, limitandosi a qualche timida richiesta di protezione del patrimonio culturale sulla scia di quelle fatte dalle due regioni più potenti.
Torniamo in Italia. Mentre la Lega Nord minacciava la secessione, per poi entrare nel governo di « Roma ladrona » e ripiegare su un progetto di federalismo fiscale oggetto di molti se e altrettanti ma in Parlamento (tant’è vero che non è ancora stato approvato dopo anni di promesse), sembrava che il Sud restasse estraneo alle spinte autonomiste – con l’esclusione della Sicilia, in cui sono tradizionalmente forti -, men che meno a quelle secessioniste. Il perché, lo abbiamo chiesto a Salvatore Lanza, direttore del quotidiano d’ispirazione neoborbonica Il Nuovo Sud: « La precarietà economica nella quale un sistema da 150 anni nord-centrico ci ha relegati non consente il ‘lusso’ di votare per la Lega come capita al Nord. Le nostre classi dirigenti si sono (colpevolmente) limitate a difendere i propri interessi con la complicità di quelle del Nord, per continuare un sistema duale nel quale una parte del paese produce e un’altra consuma e (a quel fine) viene assistita in maniera passiva e clientelare. » Il Sud, secondo il pensiero comune, non avrebbe interesse né a diventare autonomo, visti i fondi che riceve da Roma, né a separarsi. Per gli autonomisti settentrionali, l’immagine di un Mezzogiorno che si ergeva a baluardo dell’unità d’Italia, rivendicando l' »italianità del Sud », dissimulava soltanto la sua dipendenza economica dal resto del Paese.
Tutto chiaro, punto e fine della storia? No. Perché stiamo facendo una supposizione discutibile, e cioè che al Sud faccia piacere, o faccia comodo, lo status quo. Uno status quo che parla di una politica nazionale sempre più condizionata dalla Lega Nord, e dunque sempre più settentrionalista. Di una politica che sembra essere il corollario di quella messa in pratica dalla classe politica sabauda dopo l’Unità. All’epoca si smantellarono le industrie meridionali per fare del Sud del Paese un serbatoio di manodopera a buon mercato per il Triangolo industriale Milano-Torino-Genova, con le conseguenze che ben conosciamo di esodi di massa, sradicamento e disadattamento, per non parlare delle discriminazioni verso i meridionali da parte delle popolazioni locali; oggi che le industrie hanno arricchito il Nord rendendolo competitivo su scala continentale, i residenti sono tentati di fare per conto loro. La memoria storica è andata persa, e pochi hanno interesse a ricordare avvenimenti che risalgono alla fine dell’Ottocento: al Sud, per vergogna; al Nord, perché fa comodo pensare di essere arrivati dove si è coi soli propri sforzi.
Ma non è soltanto la politica nordista a creare malumori a un Sud: il dogma dell’Italia unita, inculcato dalle elementari agli scolari di tutta la penisola, è sempre più frequentemente violato da opere culturali d’impronta storica che se, da un lato, mostrano le innegabili differenze tra macroregioni italiane (per esempio Sergio Salvi, L’Italia non esiste, 1996), dall’altro fanno luce su periodi storici su cui è regnato per molto tempo un silenzio colpevole e strumentale (Nicola Zitara, Negare la negazione, 2002; Pino Aprile, Terroni, 2010). Il meridionalismo, fino alla fine del secolo scorso una corrente di pensiero del revisionismo storico confinata a studi specialistici e a dialoghi tra accademici, comincia a divenire parte della cultura dei cittadini meridionali, che si affrancano da sentimenti di vergogna e di inferiorità, per recuperare una verità storica che non può che generare sentimenti del tutto opposti. Se si aggiungono a questi due fattori, cioè politica nordista e presa di coscienza meridionalista, il fatto che il disorientamento geografico e identitario provocato dalla globalizzazione tenda a provocare per contrapposizione un riattaccamento alle « radici » (qualunque cosa ciò voglia dire), si capirà perché, a partire dal primo decennio del Duemila, anche al Sud si siano sviluppate realtà autonomiste.
In realtà, la prima esperienza risale al 1996 e fu quella della campana Lega Sud Ausonia, natacome contrappeso meridionale alla Lega Nord: indipendentista, proponeva la federazione amministrativa e fiscale dell’Italia in tre macroregioni (quella meridionale si sarebbe chiamata Ausonia, e avrebbe corrisposto coi confini del Regno delle Due Sicilie) dotate di Parlamento proprio. Alleata alle politiche del 2001 con la Cdl di Berlusconi, ha fatto il suo ingresso in Parlamento dopo la costituzione della componente politica Lega Sud Ausonia/Noi Sud, cui hanno aderito 4 parlamentari che alle elezioni politiche del 2008 erano stati eletti con il Movimento per le autonomie (Mpa).
Quest’ultimo, fondato nel 2005 in Sicilia da Raffaele Lombardo, ex Udc, è un partito di centro, ispirato all’autonomismo e al meridionalismo: nella coalizione di centro-destra alle elezioni politiche del 2008, che porteranno Lombardo alla Presidenza della Regione Sicilia, ne esce nel novembre 2010, per passare all’opposizione. Tanto la Lega Sud che l’Mpa, trovandosi nelle coalizioni di centro-destra, sono stati indirettamente alleati della Lega Nord: questo non sembra aver creato problemi ideologici se è vero, come riportò la trasmissione Report di Rai3 nel marzo 2009, che la Lega Nord addirittura finanziò l’Mpa: 387.000 euro nel 2007 e 292.000 nel 2008. Causa comune per il federalismo o altro?
Finora abbiamo parlato di partiti politici, ma la galassia dei movimenti meridionalisti è più ampia: esistono infatti associazioni culturali, giornali, radio e gruppi su Facebook che fanno riferimento al meridionalismo, anche se sotto ideologie disparate, che vanno da quella neoborbonica, dichiaratamente anti-federalista e anti-separatista, e schierata anch’essa a centro-destra, il cui pensiero è riportato dal giornale Il Nuovo Sud. Come mai i neoborbonici si oppongono al federalismo? « Qualsiasi sia l’assetto istituzionale, bisogna formare politici, imprenditori e intellettuali radicati, fieri, consapevoli, arrabbiati al punto da farsi sentire in tutte le sedi locali, nazionali e internazionali per difendere realmente gli interessi della nostra gente. Con l’attuale situazione economico-finanziaria disastrosa, in un Sud senza strutture e infrastrutture, e ormai senza banche e strutture decisionali e produttive, dove andremmo a finire con una secessione? Nuove classi dirigenti e poi vediamo… », spiega Lanza. Contestualmente, il direttore de Il Nuovo Sud c’informa poi della prima riunione, tenutasi il 16 gennaio 2010 al Castel Nuovo (anche detto Maschio Angioino) di Napoli, del “Parlamento delle Due Sicilie”, laboratorio e osservatorio meridionalistico, rinato a 150 anni di distanza dall’ultima riunione. Se il nuovo Parlamento potrà davvero avere un impatto sulle politiche del Meridione, starà all’avvenire dimostrarlo.
Ma non finisce qui. Tra le varie istanze meridionaliste, troviamo anche chi dichiara di non guardare « né a destra né a sinistra, ma a Sud » (salvo poi rivendicare, prendendo una posizione politica piuttosto netta, la decapitazione della Repubblica partenopea liberale e giacobina del 1799 a opera dell’esercito della Santa Fede): è il Movimento d’Insorgenza Civile, che propone un referendum per creare una macroregione meridionale, e che diffonde dalle frequenze di Radio Insorgenza. Fino ai gruppi Facebook, anch’essi d’ispirazione neoborbonica, « Giovani Meridionalisti » o « Meridionalisti Uniti ».
I partiti e movimenti di cui abbiamo scritto finora si riconducono a ideologie di centro o di destra.
E la sinistra? Lanza elude la questione: « Esistono movimenti del Sud di destra e anche di sinistra ma la sostanza non cambia: alcuni sono in buona fede ma non hanno uomini, risorse e mezzi, altri non sono in buona fede e sono pronti a proclamarsi del Sud e a vendersi contemporaneamente al migliore offerente… ».
Parrebbe comunque che il dogma unitarista sia ancora troppo radicato a sinistra (fu un caposaldo del Pci, a suo tempo), sicché la questione federalista, che pure in Italia era stata portata all’attenzione dal socialista Altiero Spinelli negli anni ’20 del secolo scorso, e che era stata difesa da uno dei più grandi storici meridionalisti, anch’egli socialista, Gaetano Salvemini, è rimasta in mano al centro e alla destra. Conseguenza di ciò è che spesso il federalismo viene erroneamente identificato con qualcosa che non può essere di sinistra, quando invece la Storia dice tutt’altro.
Ci sarebbe poi da aprire un discorso su chi potrebbe trarre indirettamente giovamento da un Sud autonomo, sul plausibile ruolo che avrebbero delle organizzazioni criminali, su quello della debolezza di un nuovo eventuale Stato federato appena formato… Tra qualche anno, insomma, la cosiddetta questione meridionale potrebbe diventare molto più spinosa di quanto già non sia attualmente: tuttavia, a giudicare dagli ultimi sviluppi politici, nessuno sembra davvero preoccuparsi delle conseguenze.
Roberto Cantoni