Il diritto allo studio per tutti rischia sempre più di diventare una chimera. La forbice tra giovani fortunati figli di famiglie benestanti (poche) e giovani figli di famiglie sempre più povere si allarga. Una volta si diceva che i genitorii si toglievano il pane da bocca per i loro figli e ora che scarseggia il pane? Tra genitori che devono guardarsi il posto e ragazzi costretti a lavori usuranti per mantenersi agli studi il rischio è che possa sorgere una nuova violenza frutto dell’ingiustizia.
“Dimmi se riuscirò a finire l’Università mamma”-chiede una ragazza a telefono. “Non lo so figlia mia, i soldi non ci sono”. Una ragazza che a Bologna lavora a
un negozio che vende surgelati e che studia neurobiologia.
“Papà ho bisogno di 200 euro in più sto mese”, dice Nicola al padre. “Non lo so figlio mio se ce la faccio a mandarteli. Nicola studia Filosofia del Linguaggio e lavora come
cameriere in un pub la sera fino a notte tarda, monta i palchi per i concerti e
sta rallentando i suoi studi perché spesso la mattina non riesce ad alzarsi.
Francesca invece, che proviene da una famiglia benestante, la mattina va a
lezione, il pomeriggio studia, poi fa un po’ di shopping e la sera esce con gli
amici.
Queste sono le differenze che ci sono e sempre ci sono state. Ma la
democrazia non era stata concepita affinché il popolo decidesse sovrano del
proprio destino? Affinché tutti avessero la possibilità di studiare? Affinché
tutti potessero avere la possibilità di ammalarsi con una sanità giusta?
Oggi in Italia l’Università è declassata, è un optional, una specie di svago. Spesso
non dà possibilità concrete formative ed è qui che dovrebbero intervenire
affinché fosse davvero un supporto per un futuro lavorativo specialmente nel
campo umanistico, ma alla fine, è andata a finire che all’Università ci vanno
solo quelli che se lo possono permettere, specialmente nelle Università del
Nord Italia dove le tasse sono altissime e non si capisce perché.
Giorni caldi questi, di manifestazioni, come quella a Roma. Se n’è parlato e se ne parla
ancora. Sono tutti contro la violenza, “ ci vogliono altri mezzi”. E siamo d’
accordo. Ma chi è contro la violenza? Ad alcuni piace forse, sì, è possibile.
Ad alcuni piace forse la guerriglia. Ma siamo sicuri che la violenza come
concetto sia solo quella manifestata? Intendo, quella che si vede, che si
tocca, che si subisce, quella di cui abbiamo visto i fumi delle mercedes
bruciate e delle banche sfondate.
Non potrebbe essere violenza un’azione non
manifesta? Una signora che entra da Vuitton e spende diecimila euro in una
mattina, contro una ragazza che fa la cameriera la notte per pagarsi gli studi
e non riesce a finirli è una violenza? Questa classe di borghesi o meglio
‘ricchi’ perché ormai è così che è andata a finire data la evidente e semplice
situazione spaccata in due, non fa violenza verso chi non riesce a farcela ogni
mese? Non è questa violenza senza rumore, violenza senza fumo? La presa della
Bastiglia non poteva essere che violenta e la violenza non ci piace, ma prima
di questa rabbia manifesta del popolo, quante morti per fame, morti silenziose
e zitte?
La violenza ha tante forme, non per forza deve fare rumore come una
bomba. La violenza può avere il silenzio di un lavorìo sociale che sta pesando
su giovani che non riescono a costruirsi niente. La violenza può non avvenire
in un attimo, ma può essere un andazzo che dura da anni, una ‘violenza fredda’,
ma sempre di violenza si tratta. Si deve iniziare a mettere in moto il
cervello, a guardare con gli occhi della ragione e dell’autocoscienza, questa
esiste di certo nel nostro cervello, ma dobbiamo metterla in moto.
Emanuela De Siati