Sia che parlasse di stelle che delle cose della terra, compreso i diritti e la politica, Margherita Hack era ascoltata ed amata. Una persona che catturava l’attenzione, una donna con cui era facile identificarsi. Una scienziata si, ma cosi semplice e sincera.
E lei se ne è andata. Anche lei. Senza avvertire, senza un minimo, educato preavviso. Eravamo certi che lei ci fosse, ancora, a raccogliere le nostre battaglie.
Bella come poche, con tutte le sue rughe al posto giusto a raccontarci di una vita superba, persa tra le stelle e il rispetto per la vita, di ogni forma che la vita potesse contenere.
Con il suo sorriso sbilenco, la sua implacabile ironia, il suo coraggio indomabile, la sua risata rimbombante e gracchiante.
Bella lei.
Io di stelle non ci ho mai capito niente, a parte ammirarle con il naso in su e la brezza tra i capelli, i fascinosi nomi che le accompagnano non sono mai diventati vocabolario certo della mia memoria, “quella è Sirio?! Perbacco!”, ma nel giro di un battito di cuore quel punto luminoso si perde tra gli altri e si confondono i nomi.
Mettiamola così, se fossi stata una viaggiatrice di mare e avessi dovuto utilizzare le stelle come guida, io starei ancora girando in tondo in cerca della metà. Ognuno ha il suo, il mi babbo mi diceva:”Marina tu sei nata per rompere le scatole, sappilo. Lascia perdere numeri e logica”.
Ma lei, quando appariva in piazza a difesa di operai, magistrati, gay, precari della scienza, immigrati, animali, scuola laica, cultura, donne, studenti e molto, profondamente altro o in un servizio televisivo, era lei, entrava implacabile come la vita, con la sua forza indisciplinata, impetuosa. E come la fermavi!
Sia che parlasse di cielo o di terra, di stelle o di stalle, la sua voce fiorentina ti incollava a quelle parole massicce che, nette, precise senza incertezze ti raccontavano la sua fetta di verità e di bellezza.
Quanto mi piaceva. La vedevo apparire e se il tema era quello politico o dei diritti umani, mi accomodavo, deponevo le mie povere e deboli armi e certa pensavo “Bella lei, adesso gliele canta!!”. E partiva, indubitabile, la difesa della decenza e della dignità in un paese che perde pezzi sia di una che dell’altra cosa.
E se invece era di stelle che ci parlava, mi accomodavo uguale e attendevo di essere sommersa dalla sua poesia. Ecco! La scienza, tra le sue mani e nelle sue parole, per me poesia diventava, poesia meravigliosamente umana, come un verso di Neruda.
Ricordo il racconto che fece “dell’invenzione” del cannocchiale, “dell’aggeggio che faceva vedere le cose lontane vicine e le cose vicine lontane”, come diceva lei, in cui tratteggiò un immagine di Galileo che me lo fece sentire comicamente umano, il mio vicino di casa che mi frega il posto auto, il furbetto con tutto il corredo di vizi e di virtù, anzi, di vizi e di virtù spiccatamente italiane.
Uno Svizzero, da che mondo e mondo, infatti, non avrebbe mai concepito l’idea di far passare come sua la trovata del cannocchiale per poi rivenderlo, lo strano attrezzo con le lenti per spiare le stelle, al Doge, come mezzo utilissimo per fare la guerra con lo scopo preciso di farselo finanziare. Che meraviglia!
Bella lei e adesso chi me lo racconta più in questo poetico, meraviglioso modo le stelle, la scienza, la vita? Chi difende le mie battaglie, con quel vigore, quell’allegria, quell’intelligenza?
Mi sento orfana di un pezzetto di me, un frammento di energia, allegria, coraggio se ne volato con lei. Perché, quando lei parlava, con rispetto mi sento di dire, che parlava per me e con me, dava voce alla mia voce, ma chiaramente in un modo più vero, più coraggioso, più bello e più umano.
Mi sento orfana di una cara compagna, non oso dire amica.
E allora, adesso, tutto quello che posso fare è ringraziarla.
Grazie per la tua bellezza, per la tua coerenza, senza incertezze, dubbi o strane confusioni, di intellettuale di sinistra, laica, atea.
Grazie per avermi portata, orgogliosa ed emozionata, sulle tue frequenze umane e sulla scia delle tue stelle. Per aver difeso e diffuso le mie verità tra le note e la forza delle tue parole. Di essermi riconosciuta nella tua rabbia e nelle tue certezze. Più certe e vere dette da te.
Meravigliosamente anche tu viaggiatrice dei miei pensieri, con me, tra le immagini rigogliose e care della mia vita. Fortunatamente, come dicevi tu, la morte non esiste, se ci siamo noi a ricordare e ricreare.
Grazie Margherita mia delle stelle.
Marina Mancini