150 – Ragionando di Storia: Risorgimento, Resistenza, Costituzione.

Le quattro R che fanno da colonna vertebrale del nostro paese: rinascimento, risorgimento, resistenza e repubblica. Il tutto sintetizzato nella nostra moderna Costituzione, frutto di una irrinunciabile memoria storica. Un articolo di Guido D’Agostino (docente di storia moderna – Università di Napoli).

Quando, sollecitati dalla straordinaria circostanza del 150° anniversario dell’Unità nazionale, proviamo a ragionare, in chiave di riflessione storica, su Risorgimento, Resistenza, Costituzione, crediamo utile argomentare per ‘coppie’ separate, cominciando così da quella che lega Resistenza e Costituzione.

Due i punti di principale ‘densità’ storica e storiografica al riguardo: quale il tipo di relazione esistente tra l’una e l’altra, e che cosa concretamente abbia significato e comportato il “comune sentire” sulla base del quale hanno operato, in Assemblea Costituente, esponenti di schieramenti e culture tra loro anche assi distanti e diversi. Quanto alla prima questione, è nota la posizione di chi si interroga se la Costituzione sia figlia, specchio, prodotto del moto liberatorio resistenziale, o se piuttosto non appartengano, l’uno e l’altra, a stagioni politiche e istituzionali diverse e, in particolare la seconda, orientate e consolidate secondo logiche oramai divaricate (si pensi agli studi di Guido Quazza e Massimo Legnani, rispettivamente presidente e direttore dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, a partire dagli anni Settanta del Novecento).

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Ovviamente, il punto di fondo resta quello relativo al se e in che modo valori e ideali della Resistenza si siano trasfusi, non meccanicamente trasferiti, in tanti luoghi e passaggi della Carta repubblicana. Valori e ideali, è il caso di ricordarlo comunque, da tanti studiosi e storici variamene individuati ed enfatizzati, essendo stato così nel complesso ravvisato un nucleo di pensiero resistenziale forte, nutrito di tensioni e tendenze inerenti democrazia diretta, ruolo delle autonomie locali, libertà, diritti, legalità, forme statuali nuove, pacifismo, federalismo, masse, partiti, pluralismo, unità antifascista, l’etica, o moralità della Resistenza stessa, il dovere della ‘scelta’, e tanto altro ancora.
Ancora, perciò, d’obbligo citare Quazza e Legnani (ai quali si deve l’inserimento della Resistenza – evento storico e oggetto di studio – nella storia ‘lunga’ d’Italia e l’approfondimento delle varie dimensioni e configurazioni del movimento da essa ispirato, ed insieme, è appena necessario farne menzione, Claudio Pavone, V. Onida, S. Rodotà, V. Foa, e ancora i più recenti Gambino e Paggi, fino alle sintesi di Oliva e Peli (per quest’ultimo, la Resistenza – ma senza enfatizzarla – come momento finale della guerra ‘grossa’, sorta a valle del tracollo militare ed occasione basilare per riprendere la lotta di vent’anni prima contro Mussolini e il fascismo, provando a rendere irreversibile la discontinuità che si fosse riuscito a far emergere e trionfare).

Rispetto alla seconda questione, è altrettanto nota, e ‘classica’ la posizione sostenuta da Enzo Cheli (anni Settanta e Ottanta) e compendiata nell’analisi e valutazione in termini di “compromesso”, tra culture e forze politiche di matrice e provenienza cattolica, marxista, liberal-azionista, intervenuto nella Costituente e capace di raggiungere risultati importantissimi superando grosse difficoltà e momenti di crisi, interni ed esterni all’Assemblea stessa.

Il fatto è che ‘compromesso’ può essere letto come trattativa, cedimento compensato, accordo realizzato lasciando reciprocamente alle parti la facoltà di affermare ciascuna il proprio punto di vista, quasi una transazione regolata tra valori e principi che però – ed è un obiezione di fondo, di cui si fa portatore un politologo e costituzionalista quale Saverio Bettinelli – non si contaminano, non danno luogo a salutari contagi, restano prerogativa e appannaggio dei ‘campi’ che si mantengono opposti. Diversamente agisce ed è agito un compromesso – secondo opina lo studioso appena citato – che sia frutto di scambio e arricchimento, in nome dell’accettazione di valori comuni e universali, di cui l’altro, come l’io, può essere e di fatto è portatore, e perciò stesso condivisi. Non a caso, è ancora lo stesso Autore a suggerire di adottare, a proposito dell’edificio costituzionale del 1947-48, la definizione non già di ‘casa’ degli italiani, diffusa e accettata dal “senso comune”, perché in questo modo ci si riferisce ad ambito privato, ristretto e chiuso rispetto a fuori, all’esterno, quanto piuttosto quella di ‘spazio’ degli italiani, cioè aperto, indifferenziato e senza limiti, suscettibile di includere e comprendere anche quanto via via nel tempo si sarebbe potuto venire ad aggiungere e non era al momento prevedibile né previsto.

Concludo permettendomi di ribadire la personale convinzione che Resistenza e Costituzione rappresentino entrambi eventi-processi costitutivi e fondanti della storia contemporanea nazionale, nel cuore del Novecento e nel contesto della cruciale transizione dal fascismo alla Repubblica e alla democrazia repubblicana, e quindi del corrispondente rimodellamento della comunità nazionale, dello stato, della società italiane.

Nel suo insieme, l’intero processo ha indubbia valenza di mito carlo_pisacane.jpg
simbolico-fondativo dell’Italia repubblicana,
avendo appunto nella Resistenza le radici; nell’Antifascismo il fondamento ideologico democratico-repubblicano; nella Costituzione, la traduzione in termini giuridico-politici dello spirito-programma della Resistenza. E ciò – sostenuto con lucidità e passione da Enzo Collotti, ma anche, sull’accento specifico posto sull’antifascismo, da Sergio Luzzatto – non è discordante, appunto, con una sostanziale conclusione che spostasse l’asse della questione proprio sul ‘collante’ insostituibile, ideale ed etico, dell’antifascismo, da cui ha tratto ragione e vigore la Resistenza e da cui è più che impregnato, direi anzi profondamente pervaso e reso ‘vivo’ il testo della Carta.

Non sarà un caso che siano tutti e tre sotto attacco da parte di un governo e una maggioranza che al riguardo non potremmo definire solo incolti, ignoranti, protervi e dannosi (come ha scritto D. De Masi) quali in genere sono, quanto sistematicamente e intenzionalmente fuori e contro un intero sistema di valori quale quello di cui qui si discute.
Semmai duole, e forse anche più, che certo revisionismo un po’ snob e un po’ interessato si ritrovi in merito anche a sinistra, in settori sociali e politici ai quali dovrebbe ripugnare qualsiasi dubbio o cedimento in materia. Ma potranno, e potremmo anche noi, mai perdonarsi (ci) di non avere compreso e difeso fino in fondo il nesso fra memoria e diritti? Come bene ha ricordato qualcuno (R. Pignoni), “azzerando la memoria, i diritti perdono consistenza” e si diventa “un popolo di servi condannato a vivere in un presente privo di dimensione storica e che non sa cosa farsene della memoria”.

E’ di poco conto – nell’anno anniversario dell’Unità d’Italia – interrogarsi su come fascismo, antifascismo, resistenza e repubblica si siano rapportati al Risorgimento ed abbiano pensato, giudicato, utilizzato quel processo storico-politico-sociale ed il relativo mito.

Certamente, per il fascismo non è stato agevole tenere insieme l’esigenza di mostrarsi e di farsi recepire come ‘rottura’ e ‘rivoluzione’ nei confronti del ‘prima’, da un lato, con la pretesa, altrettanto ‘necessaria’, di monopolizzare e accaparrare a sé tutta la storia nazionale precedente, della quale risultare e apparire il fulgido compendio e coronamento.

Di qui l’imbarazzo nel ‘maneggiare’ la figura dello stesso Garibaldi (per via dei Savoia, tra l’altro) e l’adozione, a titolo distintivo e rivelatore di adesione identitaria, delle “camicie”, ovviamente nere, e non rosse, come quelle dei garibaldini.

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Eppure, in intellettuali fascisti del calibro di Volpe o Gentile, fa già capolino il concetto di un “secondo risorgimento”, incarnato appunto dal fascismo.
Sul versante dell’antifascismo, quando ancora è in auge la dittatura, si osserva un ventaglio di posizioni differenziate: collegato al prefascismo, un sentimento forte di avversione e contrasto (Croce, Omodeo) al revisionismo di cui si vedeva fatto oggetto il Risorgimento; prevalente, nel filone di matrice ‘azionista’ (Rosselli, Parri), l’idea che l’antifascismo stesso costituisse un secondo appello all’insorgenza per risorgere (fondamentale, la guerra di Spagna rispetto al contesto europeo), anche se non mancava di (Caffi) senza mezzi termini di uno sbocco logico del fascismo rispetto all’esperienza storica vissuta dal paese tra secondo Ottocento e primo Novecento.
Ci sarebbero stati, in sostanza, due Risorgimenti, uno moderato, guelfo, sabaudo; l’altro, popolare, volto a intrecciare obiettivi e destini di ‘nazione’ e ‘libertà’ in un’unica azione. Di quest’ultimo, riuscito sconfitto, l’antifascismo sarebbe stato il continuatore e, insieme, il vendicatore.

Per la galassia marxista, e dunque presso socialisti e comunisti, la valutazione ‘ufficiale’ che deriva in parte da Gramsci e dalle tesi di Lione (1926), è inizialmente durissima e senza appello: l’antifascismo non può che essere radicalmente autentico al Risorgimento e alla sua ispirazione e matrice reazionaria borghese.

Posizione che si evolve nella prima metà degli anni Trenta, sulla spinta della fase politica dei Fronti popolari e dei blocchi sociali eterogenei, impegnati nella comune lotta al nazismo su scala europea e mondiale. Ne consegue il recupero del Risorgimento, con la necessità di ricompattare uno schieramento nazionale il più largo possibile, mentre, non a caso, l’epica garibaldina rivive nei tanti militanti accorsi in sostegno della repubblica spagnola, da ogni paese. Nelle analisi di Togliatti e di Sereni, il Risorgimento benché incompleto e incoerente, di suo, pure sarebbe stato oggettivamente rivoluzionario, portatore di un progetto, un disegno improntato a valori di modernità, laicità, autonomia, contro il quale quindi, e non a caso, il fascismo si era scagliato a testa bassa.

Qualche problema in più, si riscontra nel cuore e nella mente dei giovani e giovanissimi nel ‘ventennio’, per i quali (Giaime Pintor) il Risorgimento valeva per le tensioni libertarie espresse da un Pisacane, e dunque secondo Risorgimento, unità residenziale e unità risorgimentale, suonavano come qualcosa di forzato, artificiale, benché, in fondo, dettate dalla necessità.

Ad orientarsi sul tema qui affrontato in relazione al percorso compiuto nella seconda metà del Novecento, e in pratica fino a noi, basterà riandare al secondo “giubileo della patria”, nel 1961, largamente ‘democristianizzato’ e comunque seguendo la pista ormai ufficiale della Resistenza come secondo Risorgimento, in chiave di depotenziamento degli aspetti più classisti ed ‘eversori’. Secondo Ernesto Ragionieri, dopo la celebrazione del Centenario, comunque è come se Risorgimento e Unità uscissero definitivamente di scena. A sua volta, la Resistenza, sarebbe invece tornata sotto attacco, ma questa volta da sinistra (la “Resistenza tradita” di studenti e operai alla ribalta nel ’68).

Quanto all’oggi, è sotto gli occhi di tutti lo stato del Paese, le condizioni – avverse fino all’aperta ostilità – in cui ci si è accostati al terzo ‘giubileo’, arrivando, da parte della Lega, ma non solo, a contestare la data del 17 marzo quale festa nazionale. Nei fatti, se non è accaduto quello che Emilio Gentile proietta in un surreale scenario del 3011, in cui l’anniversario dell’Unità avrebbe raccolto festosi e unanimi tutti gli italiani, ci si è andati, con grande scorno degli antichi e nuovi avversari, molto vicino (grazie, soprattutto all’impegno convinto, caloroso e spontaneo del mondo della scuola, dalle Alpi alla Sicilia).

Sul piano della produzione di pensiero e teoria su cosa leghi tra loro Risorgimento e Resistenza, trovo particolarmente stimolante il contributo di Umberto Carpi (Rinascimento, Risorgimento, Resistenza: così è nata l’Italia della Costituzione, in “Patria Indipendente”, ANPI, 19.XII. 2010).
In esso si suggerisce sia la prospettiva della storia lunga italiana, dentro cui collocare Rinascimento, Risorgimento e Resistenza, con i due ultimi processi tenuti insieme dal filo rosso della rivoluzione nazional-popolare da fine ‘700 in avanti; sia l’adozione di Risorgimento e Resistenza come ‘categorie’ e chiavi interpretative della storia italiana, centrate sul mutamento e sul superamento di cui sono l’uno e l’altra veicolo ed essenza ad un tempo, e rispetto alle epoche o fasi immediatamente precedenti. Andare così verso un “oltre”, che implica nuove sintesi e nuove egemonie fondate su valori condivisi, senza cancellare o distruggere un proprio patrimonio comunque sedimentato. E in questo modo, ridare senso ad un tragitto di 150 anni, che si è svolto dall’uno all’altra, portando nei due casi a esiti rivoluzionari, l’unità nazionale (1860-61) e la Costituzione repubblicana (1948), entrambi non a caso, messi oggi malamente in discussione.

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L’Autore conclude chiedendosi se non sia per maturare il tempo di un terzo, più che mai necessario, terzo risorgimento, nel segno di una battaglia senza soste e ripiegamenti per la difesa di idee e valori guadagnati con sacrifici enormi, e per la conquista di altri e nuovi, legati alle domande e ai bisogni dell’oggi.

Condivido molto di questo discorso e della sua impostazione, nonché della passione civile e politica che lo pervade. Ne sono sicuramente stato influenzato e ne ho adattato la logica argomentativi allo schema espositivo costruito, e via via affinato, per le decine e decine di occasioni in cui mi è toccato (con piacere) di parlare in pubblico, in scuole, sull’argomento. In particolare, laddove ho proposto di sforzarsi di applicare alla storia nazionale lo sguardo lungo che abbracci effettivamente Rinascimento-Risorgimento-Resistenza-Repubblica, una traiettoria compendiabile mnemonicamente nelle quattro grandi R e, soprattutto, suscettibile di abbordare il controverso punto della cosiddetta “memoria condivisa”.

Indispensabile alla coscienza e all’identità di un popolo, quest’ultima può costituirsi, senza scorciatoie né strumentalizzazioni, a condizione di connettere tra loro gli esiti, virtuosi, degli scontri tra parti contrapposte (è il caso dell’Unità, della democrazia dopo il fascismo e la guerra, della Repubblica dopo lo scontro con la monarchia), oppure di apprezzare il superamento, irreversibile e progressivo, di epoche quali il medioevo o l’antico regime.

Con un pizzico di malizia, riferisco di uno studente liceale che ha proposto una quinta R (= rivoluzione), e, infine, dell’ultimo, recentissimo episodio occorsomi durante un incontro dello stesso tipo cui intervenuto anche un sindacalista di vaglia, già segretario della CGIL, secondo cui la quinta R ci stava bene, ma per indicare: riformismo, sia pure in maniera ‘forte’. Potenza di una suggestione mnemotecnica ed elogio della differenza!

(nelle prime due foto: La firma della Costituzione italiana e Carlo Pisacane)

Guido D’Agostino

(docente di storia moderna – Università di Napoli, presidente dell’Istituto per gli studi storici sulla resistenza di Napoli)

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