Nelle sale francesi, a partire da mercoledì 16 novembre 2022, “Ariaferma”, un film da non perdere con un grande cast, in cui spicca il duetto Servillo – Orlando. Una profonda riflessione sui paradossi del carcere. Un partenariato Altritaliani. Ce ne parla Nicola Guarino.
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Il fatto che ci sia un film con solo uomini, senza donna magari brutta ma straordinaria e senza il gay di turno incompreso ma che alla fine sarà vincitore, senza sensibili animalisti e privo di qualsivoglia buonismo dell’attualmente trionfante moda woke, è già di per sé, una novità assoluta e da plaudire. Infatti, Ariaferma, l’ultimo film del regista napoletano Leonardo Di Costanzo, se si tolgono i primi minuti dove compare un personaggio femminile, è per tutta la sua durata un film chiuso solo tra uomini, guardie e prigionieri, tutti reclusi in un vecchio carcere che a breve dovrebbe essere dismesso.
Ecco che allora, come nel suo ottimo film d’esordio, Intervallo, il tema dell’attesa diventa essenziale nella narrazione di Leonardo Di Costanzo. In realtà, le guardie già stavano festeggiando la chiusura del carcere e il loro trasferimento quando la direttrice (l’unica donna del film), annuncia che per una serie di motivi burocratici il carcere si ripopolerà di una dozzina di detenuti in attesa anche loro di un definitivo trasferimento che avverrà a giorni. Pochi carcerati e pochi agenti lasciati al comando del più anziano, Gargiulo, un composto, sobrio ed enigmatico Toni Servillo.
Tra i carcerati spicca la figura di Carmine Lagioia che sembra essere un anziano capo camorra interpretato da un asciutto Silvio Orlando e del suo adepto Cacace interpretato da Salvatore Striano, già straordinario interprete di Reality di Matteo Garrone, che il carcere l’ha conosciuto bene essendo stato scoperto proprio in un penitenziario dove scontando una pena detentiva, si impegnava in un laboratorio teatrale per poi arrivare al cinema con i fratelli Taviani con il loro: Cesare deve morire.
Un mondo chiuso dove tutti sono in attesa di un trasferimento che sembra non arrivare mai, come Nel deserto dei tartari, sia il libro di Buzzati che l’ottima trasposizione cinematografica di Zurlini. L’ambiente è evocativo, chiuso tra montagne della Sardegna in un paesaggio in questo caso non desertico ma egualmente inquietante e metafisico, se è vero che oltre le mura di questo carcere semi dismesso, c’è la natura aspra e selvaggia ma nulla, veramente nulla di umano.
I rapporti difficili e densi di diffidenza tra i carcerati e i secondini sono regolati, scanditi dal barometro del regolamento, dal rispetto di convenzioni e restrizioni che diventano la ragione ordinata stessa della vita di tutti questi protagonisti, in attesa di un qualcosa che dovrebbe accadere ma non accade. Tutti i personaggi sono privi di solarità, chiusi nei misteri delle loro esistenze. Alla luce artificiale più che naturale della loro prigione si vedono sfaccettati scorci del loro essere, lasciando molto all’interpretazione del lettore o meglio spettatore. Ci sono le regole del carcere e le regole dei carcerati: “Noi un infame lo dobbiamo colpire e voi lo dovete proteggere”. In questa affermazione di Carmina Lagioia (Silvio Orlando) c’è tutta la sintesi del modus vivendi di chi è nel carcere.
Peraltro, tutti carcerati e secondini sono reclusi, chiusi nella loro esistenza che non offre spazio alla speranza di un domani, qualunque esso fosse: “Uscire? Per fare cosa?” dirà un altro giovane detenuto che è tornato ancora una volta dietro le sbarre.
Ed allora l’unico distinguo l’offre proprio il regolamento, le astratte e dure norme a cui tutti devono attenersi. Ma poi c’è la pietas, quella di noi carcerati per noi e di noi e poi quella per voi secondini e di voi, quella pietas che ci porta nell’emergenza (la rivolta dei carcerati stufi di precotti e dell’assenza di colloqui con i familiari, che porterà ad un compromesso, riattivare le cucine ed affidare a Lagioia e al suo aiutante il compito di cucinare per tutti) a scavare nel profondo del silenzio delle nostre anime a riscoprire quella fraternità che misteriosamente può insorgere secondo traiettorie imprevedibili e segrete, finanche tra nemici, fosse esso l’obbligo della guerra o della detenzione.
Nell’aria ferma dove nullo di concreto accade, se non infime miserie umane, le occasioni di solidarietà diventano un tesoro inestimabile, come nelle indimenticabili sequenze della cena tutti insieme con poche luci d’emergenza dovute ad un blackout improvviso, quando mangiando insieme fuori da ogni regola ci si ritrova la forza della tolleranza, ci si riesce ad abbattere il muro delle diffidenze che divide il destino degli uomini, a condividere per pochi momenti stralci di racconto delle nostre esistenze, finanche a gioire di una trovata ed impensabile alleanza umana.
Si badi bene è solo un attimo. Al ritorno della luce, tutto riappare chiaro ed allora le convenzioni e le regole ritornano a ricomporsi nelle linde divise dei secondini, come in quelle dei soldati di Buzzati nella loro vana attesa della calata dei tartari, e la rassegnata dolenza si riappropria delle solitudini dei carcerati e tutto rimane come sempre.
Il film non offre un finale chiuso, ma nel loro marciare fianco fianco di Orlando e Servillo, del carcerato-cuoco e del capo delle guardie, nelle sequenze finali, si avverte l’allontanarsi verso un comune e segreto destino per cui e in cui forse vale la pena riconoscersi.
Il film è stato presentato al 78. Festival di Venezia nel 2021 (Selezione Ufficiale / Fuori Concorso). Ai David di Donatello 2022, oltre a Silvio Orlando premiato come miglior attore, “Ariaferma” ha ricevuto il premio per la sceneggiatura originale (Valia Santella, Bruno Oliviero, Leonardo di Costanzo).
Nicola Guarino
Diretto da Leonardo di Costanzo con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco, Pietro Giuliano, Nicola Sechi, Leonardo Capuano, Antonio Buil, Francesca Ventriglia, Giovanni Vastarella. Italie // 2021 // 117 min //