Il cimitero acattolico di Roma accoglie Andrea Camilleri; sarà in compagnia dei poeti romantici Shelley e Keats, sarà con Lyndsay Kemp e Arnoldo Foà, con Gregory Corso e Amelia Rosselli, con Dario Bellezza e tanti altri intellettuali come Gramsci e Gadda: rivivrà con i suoi tanti compagni di viaggio, lì ad accoglierlo.
Diceva: “Con la vecchiaia, l’infanzia ti precipita addosso” ecovando le giovanili letture, a partire dalla cultura classica. Lui, greco di Sicilia, di Porto Empedocle dove era nato il 6 settembre 1925. Una vita da cantastorie (“o cuntastorie” come si amava definirlo), con una lingua mutuata fra il siciliano e l’italiano per cui era diventato popolare, e soprattutto grazie al commissario Montalbano con annessa riduzione televisiva lunga diversi lustri (che la Rai ambienta in una villa sulla spiaggia, divenuta nel tempo luogo da selfies e presunto cineturismo).
Sosteneva: “Per un romanzo di Montalbano diciotto capitoli ciascuno di dieci pagine, ogni pagina nel mio computer vuol dire 23 righe. Un romanzo ben congegnato sta perfettamente in 180 pagine. Per i racconti, 24 pagine, o meglio 4 capitoli di 6 pagine ciascuno. Se non sento questa mia metrica vuol dire che qualcosa non va.” Già, Montalbano, in omaggio allo scrittore catalano Manuel Vasquez Montalbàn.
Camilleri è forse l’ultima icona di intellettuale autentico: scrittore, drammaturgo, poeta, sceneggiatore, insegnante e persino attore, che proviene e collega i due secoli. Nel 1954 partecipa con successo a un concorso per funzionari Rai, ma non viene assunto perché comunista, diceva. Ma sarà in Rai tre anni dopo. Amante della cultura classica, erede di Pirandello ma pure di Sciascia, adora i poeti Ezra Pound ed Elliot; insegna al Centro sperimentale di cinematografia di Roma dal 1958 al 1965 e poi dal 1968 al 1970; sarà titolare della cattedra di regia all’Accademia nazionale d’arte drammatica dal 1977 al 1997. Scrive su riviste italiane e straniere (Ridotto, Sipario, Il dramma, Le théâtre dans le monde) e dal 1995 su l’Almanacco letterario. La Rai (che gli ha dedicato con merito ampi spazi) ha fruito del talento di Camilleri appassionato di gialli con gli sceneggiati Le avventure di Laura Storm (con l’indimenticabile Lauretta Masiero), e la creazione del Tenente Sheridan con Ubaldo Lay e soprattutto con Le inchieste del commissario Maigret, protagonista un mite Gino Cervi, apprezzato dall’autore francese Simenon: straordinari attori che hanno lasciato un segno nella cultura televisiva italiana, memoria indelebile di odierni cinquantenni. Come sue prime opere letterarie Camilleri scrisse poesie, apprezzate da Ungaretti e da Quasimodo. Il nuovo interesse per il teatro gli fece però abbandonare la poesia, anche se continuò con la scritture di brevi racconti in italiano.
Sarà la narrativa a portare Camilleri fra i nomi di successo della letteratura italiana. Nel 1978 esordisce con Il corso delle cose. Nel 1980 pubblica Un filo di fumo (da Garzanti), primo di una serie di romanzi ambientati fra Ottocento e Novecento nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigata. Nel 1984 pubblica per Sellerio, La strage dimenticata. Proseguirà con La stagione della caccia e nel 1993 La bolla di componenda. Nel 1994 pubblica La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con il commissario Montalbano e successivamente (1995) Il birraio di Preston. Saranno cento i titoli che nella sua carriera produrrà, con critiche non sempre allettanti. Nel 2001 viene pubblicato il romanzo Il re di Girgenti, un gioiello, ambientato nel Seicento, scritto in siciliano con influenze dallo spagnolo. Pubblica, sempre con la siciliana Sellerio, altri romanzi: nel 2004 La pazienza del ragno, nel giugno 2005 La luna di carta: tutti con protagonista Salvo Montalbano. A marzo 2005 viene edito Privo di titolo. Tra il 2006 e il 2008, pubblica altri cinque romanzi che hanno per protagonista Montalbano: La vampa d’agosto, Le ali della sfinge, La pista di sabbia, Il campo del vasaio, L’età del dubbio. Sarà direttore artistico del Teatro Comunale Regina Margherita di Racalmuto, inaugurato nel febbraio 2003 alla presenza del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi. Lavorando per il teatro Camilleri si è imbattuto nelle opere in dialetto di Carlo Goldoni e del Ruzante e da lì gli nacquero l’amore per Gioacchino Belli e Carlo Porta e la scoperta dell’uso letterario del siciliano, che gli fece tornare la voglia di scrivere.
Camilleri ha pure recitato, interpretando la parte di un vecchio archeologo nel film del 1999 di Rocco Mortelliti La strategia della maschera. Straordinaria per memoria esternata la sua affabulazione al Teatro Greco di Siracusa (giugno 2018) con il suo monologo Conversazione su Tiresia, nel quale, con sprazzi di ironia, ripercorre la vita del mitologico indovino cieco, che lo scrittore collega alla sua sopraggiunta cecità. E rilegge i testi con la sua voce roca da fumo, che evoca il poeta Ungaretti quando, in quella lontana televisione in bianco e nero, introduceva lo sceneggiato televisivo “Odissea” diretto da Franco Rossi.
La sua idealità politica gli lasciava la capacità di esprimersi in libertà: nel 2013, nel corso della presentazione di un suo libro, affermava alcune sue considerazioni sulla situazione politica italiana non condividendo il governo Letta e neppure la rielezione a capo dello Stato di Giorgio Napolitano.
Una intensa e colta esistenza la sua, non priva di malinconia, come taluni suoi personaggi; da giovane, durante i bombardamenti in Sicilia, si imbatté casualmente con il fotoreporter Robert Capa, che “fotografava come se avesse in mano una mitragliatrice”. “Dicono che io scrivo troppo, però non so che fare. Nel momento in cui smetterò di scrivere, credo che avrò poco da fare su questa terra.”
Così lo scrittore vedeva il suo commiato, magari fra cent’anni:
“Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano,” magari – aggiungiamo – con la sigaretta fra le dita, perché (cantava Ricky Gianco) “non si può smettere di fumare, non si può smettere di sognare …”
E adesso i suoi sogni in lingua sicula li accoglierà John Keats con l’Ode all’usignolo:
“… Oh! A me una coppa piena del caldo vino del Sud, /piena del vero, del rosso Ippocrene,
con bolle cristalline che ornano i bordi con perle di schiuma, /e la bocca tinge di porpora;
Oh! S’ io potessi bere e abbandonare il mondo senza essere visto, /e con te scomparire nella foresta oscura …”
Armando Lostaglio