Ancora pochi giorni e ci sarà il secondo turno delle amministrative in Italia che hanno riguardato anche importanti città come Genova, Palermo, Parma, Verona, ecc. ecc.
Diciamolo subito che questo voto pur nella sua importanza specie per i problemi locali ha tuttavia evidenziato nodi di politica nazionale che a breve verranno al pettine con tutte le conseguenze sul futuro del Paese.
Ad un anno delle elezioni politiche generali e quindi dalla fine del mandato di Draghi, occorre quindi fare una disamina sugli scenari politici così come vanno delineandosi dopo oltre due anni di Covid con la guerra che ritorna in Europa, una crescita economica subito ridimensionata proprio dalla crisi Europa-Ucraina-Russia, con una galoppante inflazione e una conseguente crescita dei prezzi al consumo e con il tema energetico e la necessità di sviluppo di modelli ecologici sostenibili resi ancora più urgenti e pregnanti dopo il boicottaggio della Russia operato dal mondo occidentale e la conseguente restrizione di gas e petrolio operata da Putin, che ha scatenato una nuova e drammatica crisi energetica globale, mentre i dati atmosferici e climatici rendono sempre più evidente la necessità e l’urgenza di arrivare presto ad una transizione ecologica.
Sono grandi temi che teniamo sullo sfondo per questa disamina sugli scenari politici che si profilano in questo ultimo anno di gestione Draghi.
Il voto amministrativo italiano, come detto, pur nella sua limitatezza, ha evidenziato con forza temi che riguardano il panorama della politica italiana da sinistra a destra passando per il centro.
A sinistra il PD di Letta è obbiettivamente, per numeri di voti, la prima forza politica e, data l’attuale legge elettorale, ha il compito ineludibile di proporre un programma per il futuro che tenga conto dei tanti temi che abbiamo ricordato, avendo anche l’onere, per attuarlo, di cercare i suoi possibili alleati.
A proposito di alleanze, Letta ha puntato fin qui sul Movimento 5 Stelle, considerando questo movimento ormai affine alla cultura politica della sinistra democratica italiana. Ma probabilmente, alla luce dell’ennesima debacle dei grillini (ridotti in quest’ultimo voto, a percentuali tra l’1,5% e il 4%), occorre che proprio nel Partito democratico si apra un franco confronto, sulle prospettive politiche, forse con una riconsiderazione degli obbiettivi da darsi e con quali alleati perseguirli.
Non è solo un problema di andare con chi, e anche un problema di coerenza politiche e si direbbe d’identità che s’impone al PD la cui storia e la cui cultura politica spesso è andata in contraddizione con scelte e alleanze strette con forze politiche ormai lontane dal cammino che in questi decenni il partito ha fatto. Quindi la domanda è son solo con chi andare ma anche: Andare per cosa.
Per molti analisti politici, resta un mistero l’alleanza PD – M5S, perché si parla di due forze espressioni di due culture politiche che sono agli antipodi. Per la sua storia il PD da Veltroni in poi, pur con frenate e contraddizioni, abbandonato il modello socialista ha abbracciato quello democratico, riconoscendosi nelle società democratico-liberali, quali sono la Francia, la Germania e quei paesi occidentali e non solo dove esiste una democrazia rappresentativa che tutela e riconosce anche i diritti delle minoranze.
Viceversa, M5S è stata ed è (se avrà ancora vita) forse la più significativa realtà del populismo italiano, arrivando ad una maggioranza parlamentare schiacciante, ed espressione del superamento della rappresentanza politica, con famosi slogan quali: “Uno vale uno”. Espressione quindi di quello che gli analisti oggi chiamano democrazia illiberale, dove conta solo la maggioranza e la minoranza è costretta a adeguarsi.
La domanda da porre quindi a Letta e ai suoi è: se non sia auspicabile, preferibile, portare avanti quel rinnovamento della sinistra democratica e riformista, lasciando quelle derive elettoralistiche e contraddittorie per favorire alleanze con forze più omogenee e appartenenti a quella stessa famiglia di democrazia liberale a cui, piaccia o no, il PD ormai storicamente appartiene.
In tal senso il voto amministrativo con i lusinghieri risultati di Azione di Calenda, di Più Europa e di Italia Viva, danno il segnale di una stanchezza degli italiani nei confronti della demagogia populista, l’ennesimo tradimento alle speranze popolari di chi sognava di aprire le istituzioni parlamentari come delle scatolette ed a finito poi per essere legato mani e piedi a quel potere e a quei favori che le situazioni dominanti ti permettono di godere. Con i popoulisti si è passato dalla promessa della democrazia diretta alla realtà di un partito di palazzo, ma nel senso peggiore dell’espressione.
Le tre forze che in uno schema imperfetto e riduttivo potremmo definire neo-centriste, non sono forze del moderatismo, provengono da culture radicali, socialiste, dal cattolicesimo più progressista e forse nel loro successo, sia pure non eclatante, hanno visto premiare non solo l’approccio pragmatico per cui la politica non è l’arte della chiacchiera, ma l’arte del fare le cose, e in loro gli italiani trovano un tratto che spesso rivedono anche nel PD quello della serietà politica, dell’evitare approcci ultra mediatici che trovano il tempo che trovano.
Però, la politica seria impone coraggio, coerenza, evitando scelte dettate da approssimativi sondaggi o da improbabili umori elettorali, occorre mettere da parte pur leciti rancori e personalismi, purtroppo presenti ancora oggi in personalità come Letta, Renzi e lo stesso Calenda, per favorire una sintesi valida da opporre alla più che possibile vittoria della destra nelle prossime elezioni politiche. Il centro o neo-centro si sta arricchendo anche di altri soggetti, si parla già di un nuovo gruppo: “Italia c’è” che vedrebbe a fianco persone che hanno un loro indubbio peso locale come il parmense Pizzarotti e il sindaco di Milano Sala. Figure che arricchirebbero una proposta riformista e progressista che è in linea con quel prospetto democratico liberale che è un po’ la casa comune di tutti loro.
Abbiamo accennato alla probabile vittoria della destra per il dopo Draghi. Ma anche in quella casa le cose non sono chiarissime e i personalismi e i rancori non mancano.
Mese dopo mese, anno dopo anno, l’antico progetto di costruire una destra democratica, moderata e conservatrice, che fu portata avanti da Berlusconi, pur con sollecitazioni spinte verso il liberismo estremo e con cui si era sdoganata la destra postfascista, oggi non esiste più. Forza Italia assiste ad un crescente abbandono di Berlusconi, causa età, dalla scena politica e al suo interno fioriscono figure che paradossalmente, almeno sul piano dei diritti civili, ma non solo, sono più prossimi al PD che a Salvini o alla Meloni.
Spaccature significative si avvertono anche nella Lega, dove sempre più si mormora e si palesano diffidenze e divergenze nei confronti dell’attuale segretario, che si trova spesso in contrasto, discreto ma esistente, con governatori quali Zaia e Fedriga del Veneto e del Friuli, ma anche con quelle figure politicamente meno populiste e più acculturate come Giorgetti. Tra l’altro responsabilmente la Lega sostiene Draghi, un segnale anche dalla crisi del populismo di destra, disposto ormai (fortunatamente) a giocare il suo ruolo nel contesto della democrazia italiana e nel rispetto della nostra Costituzione. ma è chiaro che se è vero che essere all’opposizione, in un paese come l’Italia paga ancora, ecco che l’unico partito di opposizione all’attuale governo di unità nazionale, ossia Fratelli di Italia di Giorgia Meloni, giorno dopo giorno ha conquistato la maggioranza interna alla coalizione di centro destra.
Eccoci quindi con un centro (Forza Italia) sempre più in sofferenza ed una destra estrema che può ambire alla guida del paese, stando almeno agli attuali sondaggi. La novità è che oggi il rischio avventurista di una destabilizzazione della democrazia in Italia appare del tutto tramontato. La realtà è che la non auspicabile affermazione della Meloni come leader di un futuro governo di destra nella sostanza non porterebbe ad alcun rischio per la tenuta democratica del paese. Per cui è vietato fare allarmismo.
Le difficolta di Salvini sono sempre più palesi. Guardando al mondo delle imprese del nord, che vogliono fatti e non chiacchiere televisive e guardando anche al profilo sempre più istituzionale proprio di quei governanti del nord-est, nonché dei luogotenenti del partito, a cominciare dal numero due, Giorgetti, che rappresenta la svolta europeista della Lega che appena qualche anno fa reclamava l’uscita dell’Italia dall’Euro, si percepisce come il moderatismo stia trionfalmente ritornando nei pensieri degli italiani, mentre il populismo è ormai al viale del tramonto.
È il momento per ciascuno di assumersi la responsabilità di progetti e proposte che guardino concretamente al futuro e non solo all’esistente. Siamo in questo scorcio di terzo millennio innanzi ad un futuro che chiede scelte radicali, chiare e profonde, per le quali occorrono alleanze possibili, che abbiano una base solida e duratura.
Pertanto, il PD deve domandarsi se la sua azione deve essere finalizzata ad una proposta innovativa, moderna, progressista che guardi all’avvenire, oppure restare nella ridotta conservatrice ad assistere all’estinzione del populismo grillino, restando in un nostalgico mano nella mano con quei minuscoli partitini che continuano ad ambire ad un socialismo che è stato sepolto da quasi mezzo secolo.
E cosi anche a destra Forza Italia deve chiedersi se il suo spazio è accanto al conservatorismo illiberale di una Meloni o di un Salvini oppure ridare fiato ad un partito che al suo interno abbia energie per un utile confronto politico con quell’area progressista espressa da realtà in crescita come Azione, Italia Viva, più Europa e ci aggiungo gli ecologisti e che potrebbe arricchirsi di altri soggetti politici oltre che con il PD aprendo una strada nuova verso una politica del fare che oggi come oggi è nelle mani di un tecnico di super valore quale Mario Draghi.
Nicola Guarino