Analisi delle elezioni di settembre in Italia: E destra sia.

Fatte le elezioni è il momento dei bilanci, delle analisi e dei commenti.
Tranquillizziamo i tanti amici che in Europa si preoccupano per la tenuta democratica del nostro paese dopo il successo della coalizione di destra guidata dalla Meloni e i suoi Fratelli d’Italia. Dimenticatevi i rischi di una deriva fascista, di un ritorno a dittature mussoliniane, come pure alcuni giornali europei hanno paventato con incredibile serietà. Come recentemente ricordato dal premier uscente Draghi, la democrazia italiana è solida, aggiungerei impermeabile, ne ha viste di tutti i colori, ha resistito pur con ammaccature e sofferenze finanche ai populisti al potere e alla fine è restata sempre in piedi.

Dirò di più e lo dico alla tanta sinistra che oggi si scalda nei salotti bene contro “l’impresentabile Meloni”: non saranno lese le tante conquiste democratiche sui diritti civili, e men che meno la legge sull’aborto. La “ragazza madre” è troppo navigata e moderna per immaginare di colpire la legge 194 che peraltro spesso non è applicata anche in regioni “rosse” e questo non certo per motivi ideologici, ma per mere speculazioni commerciali.

Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia

Dirò di più, e lo dico a tutti, non aspettatevi riposizionamenti nel quadrante internazionale dell’Italia, che resta fedele alla Nato, che non ha voglia di suicidarsi con maldestre operazioni sul tipo Italexit e che resterà a fianco dell’Ucraina contro l’odiato dittatore Putin. Del resto, la politica estera, da che mondo e mondo, non cambia a seconda della bandiera di chi è al governo, questo perché le sorti delle politiche estere sono legate a delicati vincoli esterni, a collaudate politiche di alleanze e di cooperazione che non possono liquefarsi ad ogni cambio di esecutivo (peraltro, gli elettori ci hanno abituato a vertiginosi cambi di opinione politica da far girar la testa).
Finanche il “vecio” Berlusconi, che è un sentimentale, capisce bene che con la “fanciulla del west” non si scherza e che, al di là delle simpatie e antipatie, per l’amico Putin non c’è trippa.

La destra sa bene, e di averlo capito si è visto dai toni perennemente rassicuranti, dai mancati festeggiamenti e strombazzamenti per la vittoria storica conseguita, che gli aspettano anni duri, con tutti i media (di cultura di sinistra) che saranno lì a martellare ad ogni parola fuori posto; che la premier sarà marcata stretta e che ogni sua sortita sarà occasione di attacchi in un paese che è oggi incapace culturalmente di qualsiasi sana dialettica politica preferendo un’eterna corrida mediatica da campagna elettorale permanente.

La destra sa bene che dovrà fare i conti con la potentissima lobby della magistratura (un potere forte), oggi in buona parte nelle mani della sinistra più conservatrice che cercherà ogni pretesto per aprire fascicoli ed inchieste, che magari come al solito non porteranno a nessun risultato concreto, ma che di concerto con i media scateneranno nuove macchine del fango, vere armi letali, come fu per Matteo Renzi, fra gli altri, reo di aver chiesto ai magistrati di fare meno ferie e di lavorare di più.

La destra dovrà fare i conti anche con i mercati e una finanza che non perdonano colpi di testa e improvvisate, prontissima a sfruttare ogni errore politico del governante per scatenare speculazioni borsistiche a tutto danno della nostra fragile economia.

Matteo Salvini

Forse anche per questo l’approccio della Meloni e dei suoi partner (più Berlusconi che un Salvini in vistoso declino) in queste prime ore è estremamente soft. La premier in pectore, studia, telefona (si dice finanche a Draghi), per avere consigli, medita su uno staff di collaudata preparazione. Loro in pratica non hanno mai governato e la paura di commettere errori e leggerezze fa sì che la paura sia a novanta.

Piuttosto la futura premier dovrà vedersi dal fuoco “amico” di Salvini, che sin da subito cerca di imporre alla sua insofferente base, dopo il tracollo al 9%, una Lega dura e intransigente con gli alleati. L’uomo del Papeete minaccia già che se non avrà il ministero degli interni, il suo partito non farà parte del governo, paventando solo un appoggio esterno. Come dire che lo schieramento di destra già mostra crepe prima ancora che Mattarella conferisca l’incarico per formare il governo.

Pertanto, ci si aspetta un governo che almeno per un anno giocherà in difesa nella speranza che la recessione, annunziata dalla preoccupatissima Lagarde, non morda troppo. Solo dopo si capirà il destino di alcune leggi (come quello del reddito di cittadinanza), si potrà parlare di pensioni e soprattutto si metterà mano alla necessaria riforma della Costituzione che ormai mostra diverse rughe.

Tuttavia, il tempo dei festeggiamenti per questa destra sarà davvero breve anche perché gli inquietanti scenari internazionali, energetici, climatici ed economici impongono misure urgenti e non differibili.

Carlo Calenda – Il Terzo Polo

Il terzo polo si dice soddisfatto, non ha raggiunto il sognato 10% (e si sa i sogni son desideri) comunque, è la quarta forza in parlamento e sa di aver, in solo due mesi, messo un bel seme per far fiorire una futura forza politica liberal-democratica e progressista, decisamente europeista tanto da già preconizzare un nuovo nome, una volta completata la fusione tra Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi, che dovrebbe o potrebbe essere Renew Europa, primo partito transeuropeo che diverrebbe la casa dei liberal-democratici di tutto il continente.

Brindano i 5 Stelle (meglio sarebbe chiamarlo ormai il partito di Conte) che dopo aver cambiato la propria natura e identità, pur avendo perso la metà dei seggi e circa sei milioni di voti, arriva oltre il 15% là dove appena tre mesi fa si scommetteva sulla sua scomparsa politica, specie dopo la scissione di Di Maio, il quale è invece il vero sconfitto che paga la sua poca credibilità politica.

Intanto, occorrerebbe accendere i caloriferi in casa PD dove ormai è gelo. Quel 19% di voti, in sé non sono un dato gravemente negativo, i democratici restano la forza meno fluttuante del panorama politico italiano, ma proprio la sua stabilità tra il 18 e il 22%, ormai da anni suona come una sconfitta. Il partito non cresce e soprattutto non cresce in quei settori della società dove storicamente dovrebbe primeggiare. I nonni del PD sono la DC e il PCI, i due partiti di massa che coinvolsero milioni di cittadini ai loro tempi. Il PD sembra fermo al secolo scorso incapace di leggere l’evidenza di un mondo e di una Italia che sono profondamente cambiati. Oggi, ci dicono gli studi di YouTrend che il PD nella classe operaia è al quarto posto tra i partiti preferiti, dietro la Meloni, Salvini e finanche i 5 Stelle. Oggi il PD è la proiezione di un partito borghese che controlla in buona misura ancora la cultura e l’informazione, che raccoglie consensi presso la magistratura che ormai dagli anni Novanta ne è una fedele alleata nonché l’arma principe con i media di battaglia politica.

Il PD in Italia segue la tendenza della globalizzazione in un mondo che oggi è cambiato. Dove i veri poteri forti sono schierati tutti a sinistra. Zuckerberg padrone di Facebook è di sinistra, lo stesso Bezos di Amazon è di sinistra, Bill Gates e la sua Microsoft idem, ma anche grandi banchieri lo sono. Le più potenti imprese sono tutte nelle mani della sinistra.

Il dimissionario Enrico Letta

Questo si spiega anche in scala ridotta in Italia, altrimenti non si capirebbe perché puntualmente nelle elezioni il PD va bene nei quartieri borghesi e malissimo nelle periferie più povere e degradate.

Secondo me è dovuto ad un lungo processo politico che ha portato la sinistra ad un progressivo imborghesimento. Pertanto se ci sarà un nuovo congresso, viste anche le inevitabili dimissioni di Letta, che ancora una volta ha evidenziato tutti i suoi limiti di lettura politica, dovrà, prima ancora che porsi il problema di come abbattere il nascente governo Meloni, domandarsi della sua identità, in un mondo peraltro oggi cambiato dove, fuori dai luoghi comuni, le diseguaglianze sono diminuite e non aumentate, mentre nell’occidente impoverito sono aumentate e si assiste ad una crisi economica che diventa crisi del lavoro e poi crisi culturale di tutta l’area occidentale che aveva dominato il secolo scorso.

È rispetto a questi temi che il PD deve dare e darsi risposte, partendo dalla consapevolezza che il socialismo è finito, forse non è mai nato, che le teorie su cui si fondava erano evidentemente erronee e pertanto condannate dalla storia. La più grande conquista del PD è stato proprio riuscire negli anni a togliere l’aggettivo comunista (cosa impossibile finanche per Berlinguer) e sostituirlo, nell’incontro con culture diverse, tra cui quella democristiana, proprio con l’aggettivo democratico. Ma a questo aggettivo occorre dare sostanza e lo si può fare solo se si è capaci di tagliare con opportunistici e inconcludenti alleanze con protocomunisti alla Fratoianni o peggio con forze populiste e illiberali come M5S, avviando piuttosto un percorso verso un’idea della società futura che contrasti gli eccessi di centralismo, che alleggerisca l’infernale burocrazia, che apra al merito e non alle lobby, di cui l’attuale PD fa ampio uso, che guardi a politiche di sviluppo moderne, avanzate, tenendo fermo il punto dello sviluppo energetico sostenibile. Insomma, non si può essere massimalisti e riformisti allo stesso tempo. Il PD deve definire una sua precisa identità senza rancori e senza rimpianti.

Il popolo del PD

Il PD deve chiedersi chi è il suo popolo, quali sono gli interessi che di questo popolo deve difendere e come portare quella parte di popolo che oggi gli è ostile dalla sua parte e per farlo occorre condurre una battaglia che prima ancora che politica è culturale, come spesso ricordano oggi proprio i liberal-democratici e progressisti di Renew Europe.

Se il PD vuole varcare quella soglia del 22% che oggi non è neanche raggiunta, deve aprirsi ad una Italia che non si riconosce più nel deprimente quadro politico attuale. Aprirsi ai troppi scontenti, ai giovani ignorati e spesso anche ignoranti a causa di scuole prive di un’effettiva serietà e di una giusta capacità di selezione, deve aprirsi ad una Italia che per il 37% dei suoi aventi diritto non vota neanche più.

O si fanno scelte forti, chiare e convinte, dopo una scrupolosa ed attenta analisi almeno di questi ultimi trenta anni della nostra storia oppure il PD rischia di essere un partito destinato alla consunzione, condannato ad un lungo ed irreversibile invecchiamento.

Nicola Guarino

Article précédentViaggi nello straordinario dell’ordinario. A Genova, Piazza Caricamento e Via Pré.
Article suivantProgramme du 2ème Festival italien à Paris du 11-15 octobre 2022
Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.