Anche se non possono direttamente influire sugli assetti politici nazionali, questo turno amministrativo parziale può essere di lezione a tutti e rendere chiaro che per il bene del paese la politica deve sciogliere dei nodi cruciali.
Si è votati in tanti comuni e in sette regioni. Ci soffermeremo sulle regionali. Per la sinistra le ipotesi migliori dicevano 6 a 1 per il PD ed alleati, le ipotesi peggiori parlavano di un 4 a 3 sempre per i democratici. E’ finita 5 a 2 quindi si potrebbe dire né bene né male. In realtà questo vota offre delle lezioni utili per capire l’attuale momento della politica italiana.
Premetto che credo che non si possa trarre un’indicazione nazionale da un voto cosi parziale, con liste che hanno costruito (tranne che per gli M5S)alleanze variabili a seconda delle realtà locali e con la presenza di tante liste a carattere locale e dei candidati alle presidenze.
Ci sono dei dati generali tuttavia che la dicono ancora lunga sulla disaffezione degli italiani verso la politica. In primis l’astensionismo arrivato quasi alla metà del corpo elettorale, in secondo luogo l’indubbio successo di forze populiste ed antisistema come il movimento di Grillo e soprattutto la Lega Nord (secondo l’osservatorio dell’Istituto Cattaneo, unico partito realmente in crescita)che fa, di quest’ultima forza, il traino della destra, doppiando, in voti assoluti, Forza Italia.
Una cosa che non potrà non avere ricadute nel complesso scenario di quell’area politica, dove manca ancora il cambio generazionale (avvenuto solo nel carroccio) e dove, in una deregulation generale, si assiste ad un spappolamento che dal nord al sud palesa le mille contraddizioni e gli opposti interessi che si confrontano.
Ormai Salvini si appresta a lanciare un’Opa sulla destra con il grave rischio di emarginare tutta quella componente moderata che resta minoritaria a livello di rappresentanza politica, ma che si percepisce ben più estesa nella società, impolpando, con buona probabilità, la schiera degli astensionisti al voto.
E’ sempre più evidente che i moderati non costituiscono una maggioranza silenziosa, ma una maggioranza che chiede fatti e non chiacchiere, mentre la politica ancora oggi fatica ad incidere sull’immobilismo che ha caratterizzato venti anni di stagnazione.
Una destra populista, anti Europa, sostanzialmente xenofoba e con alleanze inquietanti con gruppi fascisti come Casa Pound. Una Lega che ieri era per il secessionismo e che oggi plaude all’alleanza con i nazionalisti di Fratelli d’Italia. Si dirà politica liquida, in ogni caso è una cosa molto italiana.
Ma il voto non premia nemmeno il PD, che vince si in cinque regioni, ma con problemi in Campania con la Severino che come una ghigliottina pende sul vincitore De Luca, in Toscana dove Rossi vince si, ma perdendo quasi il 15% dei consensi che aveva. In Umbria dove la vittoria è arrivata solo sul filo di lana, in Puglia dove Emiliano, che è un caso un po’ a sé, ha vinto proponendo un’alleanza con Grillo, nella rossa Marche, che tiene disperatamente.
Il PD perde nettamente in Veneto, dove la Lega dilaga, malgrado la fuoriuscita del sindaco di Verona, Tosi e perde soprattutto la Liguria, dove non paga la continuità con Burlando e dove i “civatiani” e l’estrema sinistra riescono nella mission impossible di far perdere la sinistra, e far vincere Toti, portavoce di Berlusconi che ha goduto di una destra compatta (caso quasi unico) e della performance ancora una volta leghista.
Molti commentatori si sono chiesti e si chiedono se questo non rappresenti una battuta d’arresto nell’azione riformatrice del paese condotta dal PD. Probabilmente no.
L’abbiamo detto questo turno elettorale non può essere comparato alle elezioni nazionali e non può essere riferito all’azione controversa del governo.
Tuttavia da questo voto il PD deve trarre una lezione utile per il suo futuro di partito politico. Alludo al fatto che nel PD si è portata avanti un’azione di rinnovamento che ha funzionato a metà. Sicuramente, a Roma Renzi, pur non avendo una maggioranza parlamentare PD affidabile (essendo figlia della gestione Bersani), riesce, bene o male e non senza fatica, a portare avanti le sue idee innovatrici.
Sia chiaro anche al Nazareno c’è ancora molto da rottamare e non si tratta di “eliminare” le minoranze o le pluralità di tesi ed opinioni, che sono certamente una fonte di ricchezza per il partito, ma si tratta di risolvere contraddizioni insanabili, per cui nel parlamento vi sono numerosi esponenti che rifiutando ogni regola democratica e lo stesso principio del rispetto delle decisioni della maggioranza, arrivano a contrastare, con ogni mezzo, lo stesso processo riformatore che il PD porta avanti e che è espressione del successo, alle primarie di segretario, di Renzi. In quel caso non si può parlare di dissenso e tantomeno di dissenso costruttivo, ma di veri e propri gruppi organizzati con il solo scopo di far fallire l’azione di governo. Come giudicare, ad esempio, l’impropria condotta della Bindi alla presidenza della Commissione antimafia? O le migliaia di emendamenti messi da esponenti della minoranza PD, ad ogni riforma di legge, al solo scopo di farne saltare l’approvazione?
Un chiarimento interno occorre, perché nella politica italiana c’è domanda di chiarezza e questa mancanza di condotte coerenti è uno dei presupposti che spiega l’astensionismo di gran parte dei cittadini.
Ma alla base del sostanziale flop in termini di voti del PD alle regionali c’è la circostanza che quel rinnovamento avviato a Roma, nella politica centrale, è del tutto assente nella politica locale. Non è un caso che Renzi non abbia potuto imporre il suo altolà a De Luca (che va detto fu un ottimo sindaco di Salerno), che si trova, giusto o sbagliato che sia, ad incappare nella legge Severino che ne imporrebbe la ineleggibilità.
In Campania De Luca è troppo forte e il PD è oggi sostanzialmente una cosa sua. Come una cosa di Burlando, che certo non è renziano, è la Liguria. Li le primarie le aveva vinte la Paita, già esponente della giunta Burlando, e il suo competitore principale era addirittura Cofferati, sostenuto naturalmente e vanamente dalle truppe cammellate del sindacato. Sindacato, detto per inciso, già in crisi di suo.
A ben vedere il PD nazionale si è trovato dei candidati che hanno vinto regolarmente le primarie, ma primarie ampiamente gestite da federazioni locali che sono ancora il frutto ben radicato di un PD che a Roma non esiste più travolto dalla vittoria nelle primarie nazionali dell’ex sindaco di Firenze. Appare quindi evidente che il nuovo corso fatica ad affermarsi tra la gente, fatica ad essere portatrice di fatti ed idee che corrispondano alle reali esigenze dei cittadini, un problema grave per un partito che ha fatto della comunicazione e quindi dell’ascolto uno dei suoi punti di forza.
Un segno di mancato rinnovamento locale e lo dico da campano che ben conosce le logiche e gli “intrighi” che sono di quei gruppi dirigenti, spesso legati a veri e propri “centri d’interesse”, che rispondono a lobby potenti, a volte a gruppi collusi nel malaffare se non addirittura alla malavita locale. Rossi in Toscana, certamente non era e non è un uomo di rinnovamento. L’Umbria è forse il più solido feudo di Bersani (il rivale di Renzi), tutto questo i toscani, i liguri, gli umbri, i campani, lo sanno e per questo in molti non votano.
Nello stesso Veneto al fortissimo Zaia della Lega si è opposto la bersaniana Moretti, chi non ricorda che l’ex parlamentare europea non fosse la portavoce dello “Smacchiatore”. Troppo poco per poter impensierire il presidente uscente.
Certamente, ci sono stati diversi errori di gestione del PD, ma certamente alla base c’è un rinnovamento locale che più è ritardato e più sarà di ostacolo alla trasformazione italiana.
Altra lezione è per l’estrema sinistra e per tutta quell’area politica che si sente vicina a Civati. In realtà e con rispetto parlando, si parla di nani. L’estrema sinistra non cresce mai (numericamente), conferma la sua inutilità e anche il suo essere masochista e dannoso per la stessa sinistra. Il candidato di Civati, che si è speso moltissimo nella campagna elettorale, in Liguria, il fuoriuscito Pastorino ha avuto meno del 10% dei consensi e solo un eletto (lo stesso Pastorino). Un’operazione totalmente sbagliata ed inutile, che come anticipato da Renzi è servita solo a far rinascere, almeno in Liguria, Forza Italia, con un abile Berlusconi, che grazie anche alla Lega si fregia oggi di una presidenza di regione.
L’estrema sinistra (SEL, Civati, Rifondazione Comunista e affini) sono oggi delle entità totalmente astratte, avulse dalla realtà del paese e finanche dalla protesta che in tanti settori monta. Dimostrazione n’è che la protesta viene raccolta da formazioni non ideologiche e populiste come il M5S. Altro che Podemos, Tsipras, ecc.. SEL ancora non ha capito, e mi chiedo a questo punto se lo capirà mai, che quelle realtà sono totalmente inserite nel paese diversamente da loro che sono totalmente fuori dalla società italiana. A parte, poi che si parla di realtà sociologiche, economiche e culturali molto diverse dalla nostra. C’è da chiedersi se il giorno in cui resterà solo Vendola in SEl, se almeno quel giorno sarà disposto ad un minimo di autocritica.
I Cinque Stelle da questo voto dovrebbero trarre la lezione che non basta la protesta e che proprio la forza acquisita impone al loro movimento (sempre più partito) di entrare nelle decisioni, di prendere posizione e di costruire alleanze alternative. Altrimenti non usciranno mai da una posizione di testimonianza sterile e senza risultato (malgrado i dati più che lusinghieri, non ha caso i grillini non conquistano neanche una regione).
Molti commentatori politici hanno detto, a urne chiuse e fatto lo spoglio dei voti, che infondo il 5 a 2 inclusa la perdita della Liguria, non sarà stato avvertito come un dramma dalla direzioni Renzi, che forse oggi ha un elemento in più per avviare con forza il rinnovamento del partito a tutti i livelli. Purché si faccia. C’è ancora tanto da rottamare.
Nicola Guarino