Ricorrono 30 anni dalla scomparsa di Fellini e 50 dalla uscita di Amarcord, film che colpì il nostro immaginario adolescenziale. Lo abbiamo portato sempre con noi quale “film ideale” della nostra formazione, un libro di storia proiettato sullo schermo e dentro di noi. Adesso rappresenta una “rimpatriata mentale”, un “come eravamo” (anche questo titolo uscì in quel lontano ’73) e come siamo adesso…
La tabaccaia tuttatette resterà l’inconfondibile icona di una adolescenza consumata fra lenzuola solitarie e sogni mai paghi. Il nonno che si perde nelle nebbie più poetiche che mai. Il babbo irascibile, la mamma onnicomprensiva. Il fascismo a grandi lettere, con lo zio complice e subdolo maleodorante di olio di ricino; e la Gradisca che a noi non ci gradiva. Un inventario di persone colte e giuste da lui stesso disegnate come un fumetto, e tutti a vedere il grande Rex orgoglio italico che attraversa l’Adriatico. La neve e i raduni del duce. Rimini non è solo sua, è il mondo concentrato in un microcosmo, riflesso negli occhi vispi di un adolescente dentro e fuori dal suo tempo. Volpina l’abbiamo incontrata nelle sere di plenilunio o fra stanchi muratori di un cantiere assolato. La fisarmonica triste sulle note finali di Nino Rota mentre Gradisca si sposerà. E mentre ci rimarrà dentro quel tempo dell’incertezza.
Fellini resterà l’effige di un libro mai scritto, o forse aperto e mai concluso, l’amarcord di ciascun sognatore.
Armando Lostaglio
Una curiosità: il titolo Amarcord deriva dal dialetto romagnolo “a m’arcord”, che significa “io mi ricordo”. Une rievocazione del passato, un po’ nostalgica e venata d’ironia, ma anche
un riferimento a un verso di una poesia di Tonino Guerra, lo sceneggiatore del film, originario di Sant’Arcangelo di Romagna.