A proposito del ritratto giovanile del Manzoni di Giuseppe Molteni rimasto quasi nascosto per decenni ed esposto ora e fino al 27 aprile 2019 in una mostra a Milano nella stessa casa che porta il suo nome, sede del Centro nazionale Studi manzoniani.
Lo scrittore Manzoni non fu molto incline a farsi ritrarre e spesso rifuggiva da questa richiesta, determinando anche una certa contrarietà in quelli che gli stavano accanto. Successe a Massimo d’Azeglio, suo genero, avendo questi sposato la figlia primogenita Giulietta che poi morì precocemente prima del padre. Dapprima D’Azeglio, quando si presentò con il pittore Giuseppe Molteni a casa di Manzoni, nel 1835, lo scrittore accettò di farsi ritrarre, ma poi successivamente, quando ebbe la percezione che il dipinto sarebbe stato esposto alla rassegna annuale di Brera, nell’ambito dell’alta società milanese, per crearne un evento notevole, riservato com’era, ne proibì l’esposizione perché, disse, doveva restare assolutamente personale e privato. Così il dipinto del ritrattista di moda, nonché restauratore ed abile mercante, che fu familiare con i Belgioioso e con tanti altri illustri personaggi presenti nella famosa Galleria Museo Poldi Pezzoli, che si avvaleva di una tecnica speciale per dare una patina di antichità ai suoi lavori, lo ritraeva leggermente inclinato verso sinistra, in piedi, rimase a lungo confinato nella casa del D’Azeglio, sconosciuto a molti, noto solo a pochissimi. Il ritratto desta curiosità perché è un capolavoro. Lo scrittore vi era dipinto mentre reggeva con la mano sinistra una copia del suo romanzo.
Ora è il pezzo più ricercato della mostra che s’intitola Il Crocchio supra-romantico della Contrada del Morone, che si tiene dal 12 marzo al 27 aprile, nella Casa di Manzoni.
C’è una copia identica con sullo sfondo un paesaggio dipinto dal D’Azeglio raffigurante il ramo del Lago di Como. Il dipinto di Molteni cattura l’uomo e il suo carattere, esprime tutta la severa intransigenza dello scrittore, acceso polemista in tutti i campi che lo videro protagonista incontrastato nelle lotte che allora intraprese con successo, nell’ambito politico, in quello sociale e religioso e naturalmente in quello culturale. La sua ardita intelligenza, affinata dalla lettura degli autori francesi che amava e dei classici della letteratura e della storia italiana che aveva imparato a seguire, non solo aprì la strada al romanticismo in Italia, ma abbracciò la fede cristiana con una clamorosa conversione e la difese imperterrito con gli ispirati Inni Sacri (dal’18 al’22) che diffondono i principi basilari della stessa fede cristiana e forse, cosa oltremodo meritevole, additò nei poveri e negli oppressi quella nuova religione sociale che allora era un’esaltante scoperta di umiltà e di carità.
Il suo populismo, che è pure nel romanzo I promessi Sposi (la prima edizione è, dopo la ristrutturazione del Fermo e Lucia, del ’27), non era però d’accatto, come quello oggi trionfante, banale ed episodico, di convenienza, ma serio e fortemente sentito, che traeva le sue radici profonde dal Vangelo e dallo scrittore francese Victor Hugo e prometteva un vero rinnovamento dello spirito in lotta contro l’indifferenza e l’ingiustizia.
La sua moralità, agguerrita contro le convenzioni sociali inquinate, non ebbe paura di denunziare personaggi quali la Monaca di Monza, al secolo Virginia della nobile famiglia De Leyva, del cui processo scandaloso ancor oggi si discute, andando contro le leggi fatte su misura per garantire l’esercizio del potere prevaricatore ed ottuso.
Il forte realismo del pittore accentua la ruga tra gli occhi del suo viso che ci fa pensare alla sua forte determinazione di volere assolutamente saldare i conti che non tornavano, oltre a quelli sociali, della correttezza nostra lingua, che adeguò al parlar semplice, risciacquando, com’ebbe a dire con le sue parole, i panni nell’Arno, per indicare la intrinseca radice della base toscana colta. Per non dire poi della causa della liberazione italiana così fortemente sentita in Marzo 1821 (delle Odi civili), tanto che il brano si legge ancora filtrato da una grande emotività.
Il ritratto invece realizzato da Hayez, pittore originario di Venezia, autore di bellissimi dipinti ottocenteschi fortemente cromatici in un linguaggio classicheggiante, rappresentante come Manzoni del romanticismo storico italiano, vede in lui l’uomo maturo, sicuro di sè, ripiegato su se stesso, quasi a conferma della sua padronanza dopo evidentemente aver adempiuto agli obblighi che si era proposto, lo sguardo sempre diritto come di chi conosce la verità (allora era possibile!), ed in posa di vigile abbandono. Questo è comunemente il ritratto più diffuso della pubblicistica letteraria, preferito perché diffonde il messaggio della conferma della raggiunta notorietà.
Ed infine c’è il ritratto della vechiaia dipinto da Giuseppe Molteni più attento al costume ed all’ambientazione d’epoca, che proviene dal Museo civico di Lecco, in cui lo scrittore appare a mezzo busto, negli anni che vanno al ’60, con lo sguardo più che mai severo e tutta la persona atteggiata ad una grande dignità ed un’austerità, meritevole di rispetto e stima. È stato mostrato in occasione di “Manzoni illustrato” presso la Biblioteca di via del Senato.
I due pittori sono stati tra loro quasi antagonisti, l’uno ha letto la tensione che opera nel dinamismo della lotta e del tentativo della realizzazione, l’altro l’acquietata compostezza della mente che è già saggezza acquisita.
Sembra che Manzoni prediligesse il secondo, cosa che non dev’essere molto piaciuta a Molteni che pure aveva conosciuto il successo.
Il catalogo della mostra è curato splendidamente dal presidente del Centro Studi Angelo Stella e rappresenta un invito alla riflessione sul movimento culturale e spirituale dell’Ottocento, il Romanticismo, e su tutta l’epoca che ha rinnovato la storia dei popoli d’Europa e che ne ha così mirabilmente rappresentato la grande stagione creativa.
Gae Sicari Ruffo