Cinquant’anni dalla scomparsa, ma è sempre presente Totò: lo evocava spesso Renzo Arbore, cultore in vita ed in morte del Principe di Napoli, Antonio De Curtis. Ed è stato proprio Arbore a volere che fosse l’Università di Napoli Federico II a conferire, nell’anniversario del 15 aprile, la laurea post-mortem al grande Principe della commedia. E così l’università partenopea ha stabilito: il principe de Curtis merita una laurea, in discipline della Musica e dello spettacolo, il nuovo corso di laurea magistrale avviato proprio quest’anno.
Ma il comico, siamo certi, da lassù avrebbe ironizzato, come del resto confermò alla compagna nei suoi ultimi giorni: “Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire.”
Totò, che in quasi cinquant’anni di carriera solcò palchi di teatro in una cinquantina di opere, e il cinema dove interpretò da protagonista ben 97 film, molti dei quali record di incassi; e non di meno la televisione, dove apparve in nove telefilm e diversi sketch pubblicitari e comparse in Studio 1 del sabato sera, insieme ad altri protagonisti dello spettacolo italiano, da Walter Chiari a Paolo Panelli, a Mina e Rita Pavone.
Insieme a Peppino De Filippo ma anche con Aldo Fabrizi resteranno coppie memorabili con sequenze di un cinema ineguagliabile, di battute tuttora adoperate: “punto, punto e virgola, due punti…”.
L’attore utilizzò una propria peculiarità interpretativa, che risaltava sia in copioni puramente brillanti sia in parti più impegnate, sulle quali si orientò soprattutto verso l’ultima fase della sua vita, che concluse in condizioni di quasi cecità. Da Loy a Risi a Monicelli e tanti altri ancora; Pasolini utilizza la sua profondità e la sua malinconia velata per “Uccellacci e uccellini” insieme a Ninetto Davoli, e “Cosa sono le nuvole”, poesia allo stato puro.
Un corpo che adattava alle gag, una maschera la sua nel solco della commedia dell’arte, e senza alcun dubbio nel firmamento universale insieme a Charlie Chaplin, Buster Keaton e Jaques Tatì, Ettore Petrolini e i Fratelli Marx. Eppure certa critica (talvolta definita di sinistra) non apprezzava quella comicità scanzonata e poco funzionale “alla causa”. Ma una causa, nobilissima, noi la riscontriamo specie nella gag: “Mica so’ Pasquale io !?”. Racconta l’attore che prende botte da uno sconosciuto: “Pasquale maledetto!!!” e lui continua a ridere, ride a crepapelle perché alla fine, nonostante le botte prese, gli rinfaccerà: “Mica so’ Pasquale io !?” Ecco, c’è un senso di profonda religiosità, del porgi l’altra guancia, di ridere della violenza altrui, c’è un misticismo della sofferenza in queste poche battute. Che nobilitano l’uomo, perché Totò amava ripetere con autoironia: “Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente!”
Armando Lostaglio