Non si muore di vaccino, ma di condizioni sociali

Qualcuno prevedeva l’apocalisse: “i vaccinati per il Covid-19 moriranno come le mosche”. Cinque anni dopo l’introduzione di quel vaccino, cosa resta delle polemiche, dello spaccarsi dell’opinione pubblica in “apocalittici e integrati”?

Una importante rivista medica, Journal of the American Medical Association, ha pubblicato a inizio dicembre lo studio di un gruppo francese, EPI-Phare, specializzato in analisi epidemiologiche. Sono stati esaminati i casi di circa 29 milioni di francesi, su un periodo di quattro anni. Un lavoro enorme, che permette di ritagliare qualche conclusione. Il risultato è questo: in Francia, vaccinarsi ha ridotto la mortalità per Covid-19 del 74%. (Il che vuol dire: per ogni persona morta di Covid, senza il vaccino ne sarebbero morte altre tre, che invece si sono salvate).

Secondo i suoi detrattori, il vaccino avrebbe però dovuto provocare “un’ecatombe” per altre patologie : tumori (qualcuno li ha chiamati “turbo-tumori”, ipotizzando un loro sviluppo rapidissimo), crisi cardiache, “malori improvvisi”. Sotto ogni notizia di morti per ragioni di salute, sulle reti sociali compaiono commenti del tipo (esempi veri): “Ancora stragi? È diventato un boom ‘sto malore improvviso… Chissà perché”, “Spero che la giustizia li rovini”, “Sarà giunta l’ora di dichiarare un’emergenza, e arrestarli tutti”, “Maledetto siero sperimentale”. I risultati dello studio dicono cose diverse: i vaccinati, nonostante un’età media più avanzata, non hanno un tasso di mortalità superiore a quello dei non vaccinati. Anzi; i casi di morte per cause diverse dal Covid risultano inferiori del 25% rispetto a quello dei non vaccinati.

So che molti, contrari in radice alla vaccinazione, contesteranno anche l’attendibilità di questi risultati, derubricandoli magari a propaganda delle case farmaceutiche. I fatti (anche quando documentati e accurati, come in questo caso) vengono considerati tali solo se in linea con la propria opinione; in caso contrario, diventano propaganda. Pazienza; non è proprio il caso di ricominciare una discussione sterile. Quello che è interessante, secondo me, è un’altra cosa.  Da quel che si vede in questo studio, il vaccino è stato efficace per ridurre la mortalità da Covid, e non ha causato nessuna strage. Ma è proprio vero che addirittura si è rivelato benefico anche per altre patologie? I numeri direbbero di sì (il famoso meno 25%). Però il rapporto mostra che questi benefici effetti collaterali in realtà non vengono dal vaccino, ma dalle differenze sociali. Nel gruppo dei vaccinati sono largamente rappresentati i ceti cosiddetti (orribile definizione) “medio-alti”, che per capitale sociale (lavoro, famiglia, soldi) o culturale (istruzione, abitudini) fanno una vita più sana: attività fisica, alimentazione equilibrata, visite mediche più frequenti. Invece, nel gruppo delle persone non vaccinate, si addensano coloro con situazioni opposte: abitudini sedentarie, cattiva alimentazione, diffidenza verso le visite mediche e le terapie (o magari, semplicemente, impossibilità di pagarsele travestita da diffidenza).  Insomma, chi si è vaccinato per il Covid, anche a pandemia finita, muore un po’ meno; ma in virtù del proprio status sociale, non perché quel vaccino fosse un toccasana per ogni malattia.

Ecco cosa rimane, secondo me, dello scontro tra “pro” e “no-Vax”. Quel conflitto, che continua oggi sotto altre forme, è stato la rappresentazione di una clamorosa frattura sociale. Che magari potrà confortare qualcuno nel suo sentirsi “superiore” a una massa di cosiddetti “analfabeti funzionali” o “complottisti”. Ma che invece non dovrebbe confortare nessuno, perché è il problema centrale del nostro tempo. I collanti delle “democrazie progressive” (scuola e sanità pubbliche, associazioni, culture solidali di matrice religiosa o politica, nozione dell’interesse collettivo), che in passato hanno attenuato le diseguaglianze, ridotto le distanze tra segmenti sociali, si stanno indebolendo o sgretolando; a beneficio dell’idolatria del destino individuale, della visione della società come di una lotta tra singoli. In cui “chiunque può farcela” (come ripetono gli slogan pubblicitari o le litanie da sviluppo personale), ma deve farcela da solo. Una parte della società si è allontanata, confinata, sprofondata (a volte per sua stessa mano, come nel caso del rifiuto fobico del vaccino), in un ghetto in cui non solo si vive peggio, ma si muore anche un po’ di più.

Questa parte di società sembra avere ben poca consapevolezza della propria ingiusta situazione (non ha cioè più alcuna “coscienza di classe”), visto che crede di trovare salvezza, e libertà, in cause autolesioniste come quella dell’ostilità ai vaccini (che invece ne accentuano la marginalità). Il rapporto francese sul vaccino ci dice insomma una cosa tremenda: le diseguaglianze sociali oggi sono, letteralmente, una questione di vita e di morte.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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