Pasolini, intervistato da Enzo Biagi nel 1971, disse che la televisione era «fatalmente autoritaria». Non tanto perché non vi si potesse parlare più o meno liberamente («lei qui può dire ciò che vuole», aveva obiettato Biagi); quanto perché “le parole che cadono dal video, cadono sempre dall’alto. Anche le più democratiche, le più vere, le più sincere”.
Nel 1986, Radio Radicale fece un esperimento di segno opposto: per due mesi diffuse solo telefonate registrate sulla segreteria. Tutte, senza filtri. Il risultato fu sconcertante. Insulti, invettive, maledizioni. Filoni principali degli interventi, l’odio (tra settentrionali e meridionali, tra tifosi di squadre di calcio, tra sinistra e destra), bestemmie, slogan fascisti, rumori fisiologici. (Ma anche la perla di umorismo di una signora napoletana che, riferendosi agli scioperi della fame di Pannella, disse: nuie a fame a facimme senza o sciopero, la nostra è ‘na fame radicale). La piramide si era rovesciata: la base aveva, temporaneamente, preso il posto del vertice. Ma il risultato era sembrato ancora più sinistro e autoritario: l’odio cieco di una massa senza volto.

Mi sembra che le reti sociali (dando a tutti noi l’impressione di potere, se non dovere intervenire su ogni cosa) abbiano messo assieme quei due autoritarismi, quello dall’alto e quello dal basso. Ogni mezzo di comunicazione tradizionale si consegna ormai al giudizio del tribunale permanente dei commentatori compulsivi, smaniosi di ergersi a giudici. Accertarsi di avere capito, riflettere, mettere in dubbio le proprie impressioni o i propri punti di vista, accettare il punto di vista dell’altro; tutto questo sembra dimenticato.
Un bambino scompare a Ventimiglia; in molti invocano la pena di morte. Per chi? Non si sa. Deve essere stato un pervertito. Un mostro. Che va giustiziato. Il bambino viene ritrovato; il mostro non esisteva. Ma gli inferociti commentatori sono già passati ad altro. Un ragazzo di 17 anni muore in un gioco sulla spiaggia. Nessuno sa cosa sia accaduto. Per atto dovuto, il tribunale apre un’inchiesta. Una fazione accusa il padre (« suo figlio moriva e lui dormiva beatamente »), un’altra lo difende: “i giudici fanno schifo”, “i magistrati spendono i nostri soldi per condannare un pover’uomo”. Muore Papa Francesco: “non era il Papa”, “una morte annunciata il lunedì di Pasqua, vi pare una coincidenza?”. Secondo i commentatori era comunista, fascista, sessista, un emissario di Satana, un Papa abusivo, “l’Anticristo dell’Apocalisse”. Su una bambina di 13 mesi, di Gaza, ricoverata in gravi condizioni in un ospedale italiano, il primo commento è: “e noi paghiamo”. Sergio Mattarella visita il Tempio della Chiesa Metodista a Roma; è insultato perché “sionista » (una chiesa protestante è quindi scambiata per una sinagoga) o filo-islamico (“tra un po’ lo vedremo in moschea a rendere omaggio alle risorse”). Un commerciante cerca un dipendente, precisando che non deve essere « omosessuale » né « comunista ». I commenti qui sono di elogio: “il negozio è suo, potrà decidere lui chi assumere?”. La legge vieta di chiedere informazioni non attinenti all’impiego, meno che mai su idee politiche o inclinazioni sessuali. Non è difficile capire il perché. Ma per il commentatore compulsivo la regola è semplice: « ognuno a casa sua fa quello che gli pare ». Un atto di pirateria informatica blocca diversi aeroporti in Europa: « se li fanno da soli per dare la colpa ai Russi e la gente poi ci crede », « un’altra balla, una più fantasiosa dell’altra ». Arriva il parere dell’esperto: « io aggiorno sempre l’antivirus e non ho mai problemi ».

Evito esempi sui conflitti internazionali, perché in quel caso ci si addentra nel labirinto della follia. Non quella poetica e dolorosa, che dà voglia di accarezzarla; ma la pazzia stolta e spaventosa di una folla invasata, composta di individui che sembrano avere perso ogni umanità e rispetto dell’altro. È questo, il cortocircuito, il collasso tra i due autoritarismi: quello del potere, di cui parlava Pasolini, e quello della massa senza volto delle telefonate a Radio Radicale. Una folla di persone sperdute, eccitabili, incapaci di analisi, desiderose di esprimere su tutto un’opinione immediata, definitiva, è un esercito a disposizione di chi vuole usarlo: soprattutto, di politici senza scrupoli, abili nel manipolarla, quella massa, per costruire il proprio consenso e distruggere (sulle reti sociali si dice, con orribile espressione, “asfaltare”) gli avversari.
“Com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore”, cantava Franco Battiato. Appare sempre più difficile, oggi, preservare lo spazio e la libertà dell’analisi, della riflessione, dell’approfondimento, del confronto, del dubbio espresso innanzitutto su di sé (come deve essere) prima ancora che sugli altri: perché nel regno dell’opinione, nel regno dei commentatori compulsivi, ogni sforzo di comprensione sarà sempre più visto come una perdita di tempo.
Maurizio Puppo





































