Lettera da Torino n°2 – F come Fiume Po

E sì !😊 Ci è arrivata per posta la seconda “Lettera da Torino” di Eraldo Mussa. Ricordiamo che l’idea di queste Lettere è nata dalla voglia di raccontare che cosa è Torino oggi, una città con una identità tutta sua, importante per il suo passato, ma anche per il suo presente. E che c’è una nuova Torino. Un’“Altra” Torino.
Dopo la lettera P come Piazza Vittorio Veneto, arriviamo a F e il nostro Autore ci parla del Fiume Po che la attraversa, che le dà un ritmo e fascino. Il fiume è serenità, ossigeno, è benessere, divertimento, un’angolazione differente sulle inquietudini della città. E va vissuto, va ascoltato.

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Il canoista seduto sul fiume scivola silenzioso insieme all’acqua. E dall’acqua, la città sembra un’altra cosa.
L’orizzonte è la sponda o la riva vicina, gli alberi, gli uccelli acquatici, la vita che scorre accanto è la natura in cui si è immersi.
C’è silenzio, o meglio, il rumore della natura e quello della pagaia che entra in acqua, con la città che sembra un rumore lontano.

Che tu sia canoista o canottiere quando scivoli sull’acqua ti senti in un habitat nuovo e straniante.
Già sul pontile, con il suo ondeggiare, ti senti in un altrove lontano dalla città, quasi in vacanza.

Entri in acqua e scivoli silenziosamente sotto i ponti.
Ponti, che di storia e di acqua ne hanno vista passare parecchia.

I PONTI

Una città che ha ponti, abituata a costruire e attraversare ponti, è una città che dialoga.

Il ponte Vittorio* in piazza Vittorio Veneto, famoso ponte napoleonico del 1814, il “Ponte di pietra ».

Ponte Vittorio Emanuele I detto Ponte di piazza Vittorio oppure Ponte di Pietra

Il Ponte Umberto l* in corso Vittorio con le 4 statue auliche (Valore, Pietà, Arte, Industria), del 1911.

Il ponte Principessa Isabella (di Baviera)*, bicolore, snello ed elegante, del 1880: da qui la città è impaginata come una cartolina d’altri tempi.

Ponte Isabella a Torino

– Infine il ponte Balbis*, ponte mussoliniano del 1928, con tanto di fregio con fascio littorio e croce sabauda bianca su fondo rosso, dedicato successivamente a Franco Balbis, partigiano “caduto per la libertà” a 33 anni, fucilato non lontano. E chissà se il fascio e la scure dorati su fondo blu sono stati dimenticati o lasciati lì volontariamente?

Una delle tre campate del Ponte Balbis ex Ponte Vittorio Emanuele III (1928)

I MURAZZI

Così scivolando sull’acqua si incontrano i Murazzi, i vecchi magazzini in parte recuperati e in parte in fase di ristrutturazione.

« Let’s Po » è l’invito pubblicitario del giorno.

I Murazzi del Po a Torino

I Murazzi custodiscono il ricordo di gesti eroici e di eroi morti giovani: un sedicenne Mario Soldati*, scrittore, regista, uomo dalla “joie de vivre” irresistibile e contagiosa, troppo presto dimenticato, salva un annegato, e poco più in là, una targa ricorda Fred Buscaglione*, anima torinese musicale e pop che muore a soli 39 anni sulla sua Ford Thunderbird.

Di fronte, inaspettati, 3 campi da beach volley, che appartengono agli “Amici del fiume”, circolo giovane, ultimo arrivato tra i circoli centenari, dove tennis, canoa, canottaggio e beach volley convivono allegramente lontano da ogni snobismo, in cui respiri un’aria da stabilimento balneare di una Torino aperta a tutti.

Il Circolo degli Amici del Fiume

Quando poi abbandoni la parte navigabile, dopo la diga-cascata, incontri il Parco Michelotti e il viale dei Ginkgo biloba, che è un bosco rettilineo bellissimo, con le gabbie vuote degli animali dell’ex zoo che sembrano dei rifugi antiaerei.
Perché a Torino si tiene tutto, anche uno zoo in cui gli animali non ci sono più, le gabbie sono abbandonate, ma si può percepire il ricordo del tempo che fu.

Poi la Madonna del Pilone, con la chiesa costruita proprio sotto l’argine del fiume, così chiamata da un pilone eretto nel 1587 lungo la passeggiata che costeggia il Po e che oggi è diventato altare.

SALGARI

Poco più in là, al 205 di corso Casale, c’è la casa in cui visse Emilio Salgari*, con vista fiume, da dove prendeva il volo con la fantasia alla volta di giungle ed avventure remote, costruendo anche lui ponti, ma in quella Malesia in cui non era mai stato.

Casa di Emilio Salgari

E dove oggi si aggira un pescatore con stivaloni nell’acqua alta alla ricerca del posto migliore per gettare l’amo, Salgari, il Capitano, sognava avventure eroiche, “popolando il mondo di personaggi nati dalla sua inesauribile fantasia” e qui “visse in onorata povertà” per mantenere la sua numerosa e purtroppo sconquassata famiglia.

Il Po visto dall’alto è una autostrada fluviale, basta guardare le mappe geografiche, ed è rotta sicura per gli uccelli migratori che lo seguono nei loro viaggi dai chilometraggi illimitati

Il fiume intanto continua indifferente la sua corsa, fedele al suo eterno mantra del “panta rei” (finché ci sarà acqua, ovviamente).

Arriva al Cimitero di Sassi, al Galoppatoio militare e poi al Parco del Meisino.

Ma sono altre storie. Altre Torino.
E di molte altre storie avremmo potuto parlare: delle piene con il fango che copre i Murazzi, delle gare internazionali di canoa e canottaggio, dei circoli storici, del castello del Valentino con il suo tetto maestoso, del Borgo medievale, dell’aula studio per gli studenti universitari, delle gare di pesca, del primo volo in idrovolante, dell’invasione delle alghe estive.
Ma saranno parole che scorreranno in un altro momento. Non adesso.

LA TORINO CHE VERRÀ

Adesso il canoista seduto sul fiume continua a scivolare silenzioso sull’acqua, guarda avanti, intravede forse la Torino che verrà.
Il canottiere invece va indietro, indietreggia, come andasse incontro al passato della Torino che fu.
E ogni tanto si guarda alle spalle, per essere sicuro di essere sulla rotta giusta, come a cercare ispirazione dalla tradizione.

Dall’incrocio di questi due gesti atletici, che sono atteggiamenti e attitudini mentali differenti, anche rivali, intravedi la Torino di oggi e di ieri.
E in quell attimo, in quel click, in cui il canoista intercetta il canottiere è come se si materializzasse la città del presente, in quell’attimo preciso in cui il guardare avanti incontra il guardare indietro.
Un’energia antica, un po’ snob, ma viva e presente, incrocia un’energia giovane, più pop, entrambe forgiate dalla stessa radice di serietà, tecnica e disciplina.
E da un pizzico di follia.

La vita deve essere vissuta guardando avanti, ma la si può capire solo guardando indietro.” (Soren Kierkegaard)

(continua QUI)
Eraldo Mussa

LINK INTERNO:
-Lettera da Torino n°1 – P come Piazza Vittorio Veneto
https://altritaliani.net/lettera-da-torino-n1-p-come-piazza-vittorio-veneto/

LINK ESTERNI PER COMPLEMENTI D’INFORMAZIONE (vedi le * nel testo):
Mario Soldati – Wikipedia
Fred Buscaglione – Wikipedia
Emilio Salgari – Wikipedia
Ponte Balbis, ex Ponte Vittorio Emanuele III – MuseoTorino
Ponte Vittorio Emanuele I detto Ponte di piazza Vittorio oppure Ponte di Pietra – MuseoTorino
Ponte Umberto I (Torino) – Wikipedia
Ponte Principessa Isabella – MuseoTorino

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Eraldo Mussa
Torinese, cresciuto in Liguria al confine con la Francia, forse per questo mi sono sempre sentito un “altro italiano”. Laureato in Lettere, giornalista, rallysta e pubblicitario nella vita professionale. “Se unisco i punti della mia vita, le automobili sono state il mio fil rouge.” Contatto: eralmussa(at)gmail.com

2 Commentaires

  1. Questa lettera è semplicemente magnifica e mi parla di un luogo che porto nel cuore da ormai trentacinque (quasi trentasei) anni.

    Lungo le sue righe, si percepisce con chiarezza il ruolo centrale che il fiume Po gioca nella vita di Torino: un flusso che non solo attraversa la città, ma le dona ritmo, respiro e fascino. Con immagini precise e luminose, l’autore ci invita a salire a bordo per osservare Torino da una prospettiva più naturale e intima, quasi segreta.

    I ponti storici — dal Vittorio Emanuele I all’Umberto I — tornano a essere non solo infrastrutture, ma elementi narrativi, custodi di memoria. Così come i Murazzi, le banchine che hanno visto trasformazioni e stagioni della città, riemergono qui con la loro dignità storica e sociale.

    Tutto questo, letto di fila, potrebbe sembrare un riassunto oggettivo, quasi “da macchina”: come fosse la partitura di una composizione. Ma poi tocca a noi, interpreti, farla risuonare. Ognuno con la propria memoria, con la propria esperienza del camminare per Torino, di viverla. Città maestosa e insieme accogliente; cosmopolita, eppure profondamente “provinciale” — in quel senso buono e raro, a misura d’uomo, che si ritrova solo in certi luoghi abitati anche dal silenzio.

    E se si parte da Piazza San Carlo — che è qualcosa di davvero straordinario — allora forse può nascere davvero una sinfonia: l’Eroica di Beethoven, o La Grande di Schubert.

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