“Rendeteci La Gioconda” e altri equivoci franco-italiani in un libro di Stefano Montefiori.

Il molto gradevole libro “Rendez-nous la Joconde! Et autres malentendus franco-italiens”, scritto direttamente in francese da Stefano Montefiori, corrispondente a Parigi del Corriere della Sera, uscito ad Aprile presso le edizioni “Stock”,  si presenta come un rimedio ai tanti pregiudizi e reciproci malintesi, che nel tempo hanno attraversato i due popoli cugini. Alla recensione di Lodovico Luciolli aggiungiamo un’intervista video all’autore realizzata dall’amico Paolo Romani per il sito “L’Italie en direct”.

*****

Tra i successi non minori dell’Italia, ospite d’onore al Festival del libro di Parigi dal 21 al 23 Aprile 2023, c’è stato anche il fine di ridurre gli equivoci franco-italiani: da quelli, ad esempio, su D’Annunzio fin dai tempi di Marcel Proust o André Gide o Paul Morand che ne hanno fatto delle considerazioni diverse (come hanno ricordato il 21 aprile alla Sorbona i suoi maggiori biografi Giordano Bruno Guerri e Maurizio Serra), a quelli tuttora di maggiore attualità nonostante il tempo che scorre.

Tra cui quello su “La Gioconda” che, nonostante le commemorazioni nel 2019 del 500° centenario della morte di Leonardo da Vinci, è tuttora considerata ad esempio come parte del bottino di Napoleone in Italia, anziché come un’opera che lo stesso pittore aveva portato con sé ad Amboise quando vi era stato chiamato da Francesco 1°.

I ricordi di Montefiori dei suoi spostamenti da La Spezia a Genova, e poi a Pisa e a Milano per motivi di famiglia, di studio e di lavoro, gli offrono l’occasione di spiegare che l’Italia è una storia di province diverse e concorrenti a pochi chilometri di distanza tra di loro (quando non lo sono state addirittura al loro interno: Guelfi e Ghibellini, Capuleti e Montecchi, ecc.), le quali proprio perciò dalle cucine alle opere d’arte rispettive fanno riscontrare dappertutto uno splendore che si oppone a quello della Francia irradiato dal centro (monarchico o politico: le corti di Amboise o Versailles o Blois oppure Parigi). Già Augias aveva presentato “Questa nostra Italia” (ed. Einaudi, 2017) a Parigi nel 2018 ricordando che togliendo Roma all’Italia rimane ben più di quanto rimane togliendo Parigi alla Francia…

L’uniformità della Francia si manifesta perfino nell’accento dei politici: mentre in Italia non fanno effetto le distinzioni tra le vocali aperte o chiuse a seconda delle loro rispettive regioni, in Francia le dichiarazioni di Castex sono ben distinte da quelle dei suoi colleghi!

Se si cercano invece le similitudini tra le grandi città dei rispettivi Paesi, hanno più senso quelle di Parigi con Milano anziché con Roma (con cui è gemellata dal 1956), perché “parigini” o “milanesi” (come aveva dichiarato Stendhal) lo si diventa di più che nascendovi, e sopportando le rispettive frenesie (esempio: gli orologi pubblici dappertutto a Milano che fanno rincorrere la puntualità), le quali hanno per reazione un maggior culto della “maison secondaire” o della seconda casa come rifugio in montagna o in riviera o ai laghi. Inoltre, mentre Roma appare più divisa tra la sua parte a nord (Parioli, Salario e quartieri simili) anche socialmente più orientata per le vacanze a Capalbio o all’Argentario o a Fregene, e quella a sud più orientata verso Ostia o Anzio, Milano appare invece come Parigi con i suoi contrasti estetici, ad esempio tra le stazioni (quella Centrale: “le monument le plus laid de toute l’Italie” per Sartre), i nuovi grattacieli e i rispettivi quartieri classici. E con i contrasti di vita anche individuali, come quella di Giangiacomo Feltrinelli: geniale fondatore dell’omonima casa editrice (1954), geniale scopritore di Pasternak e del suo “Dottor Zivago” (da lui pubblicato nel 1957) e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del suo “Gattopardo” (pubblicato postumo nel 1958); ma anche geniale lesionista dopo essere stato (1967) cultore con Régis Debray dell’opera di Che Guevara in Bolivia (pubblicandone nel 1968 il Diario lì scritto) e infine autolesionista morendo durante la preparazione dell’attentato al traliccio elettrico di Segrate nel 1972.

La vivacità di Milano, simile a quella di Parigi, si manifesta anche nella storia negli ultimi decenni della televisione: anzi, in ciò Milano precede Parigi, poiché i rispettivi monopoli statali sono stati rotti da Berlusconi nel 1976 con Telemilano (a livello locale) e nel 1978 con Canale 5 (a livello nazionale) in Italia, e nel 1984 in Francia da TV5 e Canal+, prima dell’ingresso qui nel 1986 di Berlusconi con “La 5”. La quale, prima di fallire nel 1992, ha stimolato gli altri suoi azionisti Jérôme Seydoux (fino al 1987), Robert Hersant (1987-1990) e Hachette (1990-92, oggi Lagardère) a penetrare sempre di più negli altri settori editoriali, come Berlusconi nel 1990 fino e oltre all’acquisto della “Mondadori” (e come più tardi Vincent Bolloré, fino al dominio di testate attuale tale da spingerlo in politica non personalmente come Berlusconi ma tramite, per esempio, Zemmour come candidato presidenziale nel 2022).

Lo sviluppo dei canali televisivi fin dall’inizio ha comunque comportato anche quello della “téléréalité” sia in Italia che in Francia: da quella tragica nel 1981 di Alfredo Rampi di 6 anni d’età uscito morto dal fosso in cui era caduto a Vermicino, a quella di Grégory Villemin di 4 anni d’età trovato morto, legato mani e piedi, nel 1984 in un ruscello nelle Vosges. Ma mentre la disgrazia di Alfredino è rimasta mediatizzata ai tentativi di salvataggio, quella di Grégory è andata oltre i sospetti sull’assassinio, a tal punto da far difendere la madre da Marguerite Duras in un suo articolo su “Libération” nel 1985, e a tal punto da essere arrivati all’esistenza d’un gruppo Facebook sugli enigmi del caso.

Quanto ai programmi di varietà, la loro espansione concorrenziale ha raggiunto i livelli massimi con il festival di Sanremo, che blocca gli italiani di sera davanti alla TV per circa una settimana, ma che comprendendo gli artisti stranieri che vi appaiono contribuisce all’esteriorizzazione dei tempi.

Milano, infine, è più paragonabile a Parigi anche per la distanza dal rispettivo sud: in particolare da Napoli o Marsiglia, con i rispettivi problemi sociali ma anche con quegli scrittori che ne descrivono diversamente le realtà passate e presenti: Saviano, De Crescenzo ed Elena Ferrante che nasconde la propria identità quasi per sentirsi più libera per la narrazione delle trame.

Se allora l’Italia è diversa dalla Francia in quanto è composta da comuni così diversi, l’unità del Paese resiste come quando nel 2006 Zidane aveva colpito con la testa Materazzi al petto, e resiste a tal punto da aver costretto perfino La Lega a comprenderla dopo essere sorta come “Lega Nord” in antitesi al sud. E resiste come ha resistito anche in momenti peggiori: davanti agli attentati terroristici di destra o sinistra o di mafia; guardando di più a Bruxelles che a Roma ai tempi di Tangentopoli e credendo di più di altri Paesi nell’integrazione europea anche quando questi erano più scettici sull’Italia: sia durante le crisi finanziarie più gravi, sia di fronte ai nuovi governi come quello attuale, i quali possono a loro volta rimproverare all’UE la mancanza d’una maggiore solidarietà di fronte ai problemi comuni di cui l’Italia è maggior vittima, come quello dell’immigrazione (ulteriormente aggravatosi nei numeri da quando Jean Leonard Touadì originario del Congo-Brazzaville era stato eletto deputato, o da quando Cécile Kyenge, originaria del Congo-Kinshasa, era stata nominata Ministra, o dai gols di Ballottelli nella squadra nazionale).

Stefano Montefiori

La storia di Giary, senegalese cresciuta in provincia di Bergamo dopo che il padre, ex “vucumprà”, vi era stato assunto come operaio, poi “au pair” a Parigi finché ha ottenuto un diploma dopo il quale è stata assunta in una “start-up” e ha successivamente creato un’agenzia di marketing e comunicazione, prima di tornare in Italia per lo sviluppo commerciale della società per cui lavora, non può che essere d’augurio per altri e, anche se non le è stata accordata la nazionalità italiana dimostra che quando i pregiudizi degli italiani e dei francesi sono accantonati favoriscono anche gli altri popoli. Meglio allora lasciare i pregiudizi in cucina, per esempio sull’opportunità di considerare la pasta come piatto unico o come contorno, non dimenticando tuttavia che fa parte della cucina popolare italiana, opposta a quella francese sviluppatasi nelle corti anche con il contributo di Caterina dei Medici… A meno d’accettare che alla pasta “Panzani” (che appartiene ormai alla multinazionale spagnola “Ebo Foods”) bastino (come nella pubblicità) tre minuti di cottura oppure che per quella già cotta bastino il riscaldamento in pentola e il pomodoro di condimento estratto dal tubetto come il dentifricio…

Ma anche questo equivoco dei francesi con gli italiani può essere risolto con lo stile gradevole e concreto di Stefano Montefiori.

Lodovico Luciolli

Article précédentLe napolitain, une langue et non un dialecte. L’Unesco a confirmé.
Article suivantActu Théâtre: Les Ritals d’après François Cavanna avec Bruno Putzulu au Lucernaire
Lodovico Luciolli
Altri articoli ALTRITALIANI dello stesso autore

2 Commentaires

  1. Il libro Di Stefano Montefiori lo compro appena possibile. Grazie per la bella chiacchierata, un beau tour d’horizon. Ormai vecchissima emigrata concordo con quanto è stato detto, salvo forse con lo scarso apprezzamento del cappuccino in Francia. Certo è raro ma, con un po’ di fortuna, si può trovare accettabile qualche volta. D’accordissimo invece con l’osso buc(c)o che mi fa arrabbiare ogni volta che lo vedo, ma non c’è verso di far correggere l’errore. Ho tentato invano presso certi supermercati. Addirittura non mi vogliono credere. Mah ! ciò non toglie però che sia buono lo stesso, particolarmente se preparato all’italiana. Grazie.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.