Nello spirito di questa rubrica “Controcanto” la lettura che segue tratta dal libro “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola, vuole essere un eco del passato che ci riporta alla attualità. È la cronaca del massacro di Giovanni Amendola, avvocato, distinto uomo politico liberale, fedele al re e fermo oppositore del fascismo. Siamo nell’estate del 1925 a Montecatini, quasi un secolo fa. L’anno prima i fascisti hanno assassinato il socialista Matteotti, reo di aver coraggiosamente denunciato in Parlamento gli imbrogli elettorali e il clima di violenze con cui i fascisti si sono assicurati il successo elettorale.
Ricordiamo Giovanni Amendola attraverso le parole di Giorgio, suo figlio, storico esponente del Partito Comunista Italiano, che a lui dedico il libro: “Una scelta di vita”, che sarebbe bene che in tanti leggessero. Amendola fu, come dicevamo, un coraggioso uomo politico liberale, un moderato fedele ad un re, Vittorio Emanuele III, che non fu altrettanto fedele alle istituzioni parlamentari e monarchiche consegnando l’Italia alla dittatura fascista e a Benito Mussolini che la condurrà alla catastrofe della seconda guerra mondiale e all’infamia delle leggi razziali. Ricordarlo è doveroso, perché la vita e la morte di Amendola sono esemplari di un tempo e di una cultura politica che oggi sembra definitivamente persa.
Amendola fu un signore fedele ai propri principi liberali, cresciuto all’ombra dei valori risorgimentali di patria e libertà. Un uomo e una storia che possono essere di esempio oggi ed è per questo che Controcanto di Altritaliani se ne occupa, in un’epoca in cui la politica sembra sempre più impoverita culturalmente, priva di senso dello Stato, di amore per le istituzioni, poco credibile e incapace di ispirare passione nelle giovani generazioni. Quel delitto è anche la testimonianza di come il fascismo temesse anche i moderati, in una società, quella italiana che ha sempre avuto nei suoi cittadini un’anima volta prevalentemente al moderatismo. Ma da questa tragica vicenda deriva anche un’altra lezione, quella di non allentare mai il sentimento antifascista, valore che è fondamento della nostra Costituzione, che deve essere sempre trasmesso a tutti, di generazione in generazione.
Leggere le pagine di Giorgio Amendola ci dà appunto, anche l’occasione per comprendere come non vi sia nulla di più vergognosamente vile che il fascismo, e anche di comprendere quello che fu il clima politico in Italia nel 1925 quando si svolse l’atroce aggressione di Giovanni Amendola, che in conseguenza di quei fatti morrà l’anno dopo a Cannes, in Francia, costretto dagli eventi ad andare via dalla sua amata Italia, che aveva sempre servito con passione, devozione e onestà. Un clima di prepotenze, di complicità delle forze dell’ordine e del re con la dittatura fascista e i suoi metodi. Giorgio Amendola sarà un riferimento, troppo poco ascoltato, del Partito Comunista Italiano, una figura che univa alle sue convinzioni socialiste, la libertà di pensiero e di azione che gli furono trasmesse dall’esempio paterno. Un pensatore moderno per la sinistra del tempo, una figura che andrebbe oggi approfondita e il cui insegnamento dovrebbe essere essenziale per la vecchia sinistra di oggi, che tanto fatica a trovare le sue ragioni di sussistenza e di rinnovamento. Infine non senza amarezza va ricordato che per questo delitto, non fu fatta giustizia nemmeno nel dopoguerra. Dopo vari gradi di giudizio, i responsabili di quella vile, odiosa e mortale aggressione se la cavarono con non più di 5 anni di carcere. Furono condannati per omicidio preterintenzionale e poi l’amnistia voluta da Togliatti li riportò definitivamente in libertà.
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Premessa: Avvenuta, la prevista assoluzione di De Bono, come mandante del delitto Matteotti, gli aventiniani avevano redatto un duro documento di condanna nei confronti dell’ormai regime fascista. Documento che censurato sulla stampa aveva avuto scarsissima diffusione. Subito dopo, Giovanni Amendola era partito per Montecatini per un periodo di vacanze e di cure termali.
Brano tratto da Giorgio Amendola: Una scelta di vita
(Rizzoli – 1976, pag. 127 e 128)
«Mio padre era partito subito dopo l’approvazione del documento per Montecatini dove aveva prenotato da tempo all’albergo La Pace due stanze per lui e per l’amico e segretario Federico Donnarumma di Siano. Non appena giunti all’albergo cominciò una grande agitazione. I fascisti cominciarono a manifestare davanti all’albergo per imporre la partenza immediata di un ospite non gradito (…). Amendola, considerato e con ragione, come quello che aveva voluto il documento dell’Aventino, che manteneva aperta la questione morale malgrado la conclusione del processo all’Alta Corte di giustizia, assunse di fronte al Paese e ai fascisti la responsabilità della condotta delle opposizioni. Perciò doveva essere colpito.
La brutta gazzarra durò per più ore. Intanto arrivarono da Lucca le squadre comandate da Scorza, allora vicesegretario del partito fascista. Tutta Montecatini fu messa in stato d’assedio. Ci fu un primo tentativo d’invasione dell’albergo. Mio padre fu condotto in un’altra stanza, e, separato dall’amico, restò solo per tutto l’interminabile pomeriggio. Verso sera ci furono nuovi tentativi di irruzione. Mio padre era furioso ed umiliato, nel vedere molte signore sconvolte. Si sentiva colpevole del loro trauma. Avendogli poi io chiesto: “Ma perché hai accettato di lasciare in piena notte l’albergo, come ti potevi fidare delle promesse fatte da un mascalzone come Scorza, e anche di quelle del tenente dei carabinieri?”, egli mi rispose che non si era fidato affatto, che non era stato così ingenuo, ma “la vergogna era durata abbastanza” e “nell’albergo vi erano molte signore e molti stranieri ed egli non poteva accettare di essere motivo involontario, di tanto fastidio”.
Alla fine decise di andarsene. Avendogli Scorza nella hall dell’albergo garantita la sua protezione, rispose seccamente che si affidava unicamente ai carabinieri che avrebbero saputo fare come sempre, il loro dovere. Il tenente dei carabinieri si impegnò a salire con lui nell’automobile. L’eterna e fatale illusione! Appena uscito dall’albergo fu travolto da un primo assalto: colpi di manganello, lancio di pomodori, sputi ed insulti. Fu buttato di peso su una macchina e si trovò solo tra quattro fascisti. Il tenente dei carabinieri non c’era più. Dietro seguiva lentamente un camion dei carabinieri, ma al primo bivio prese un’altra strada. L’automobile dei fascisti portò Amendola al luogo prestabilito per l’agguato, tra Monsummano e Serravalle, in località Ponte a Nievole. Nel 1965 fu posto un cippo marmoreo che ricorda quella notte.
La macchina si fermò perché – dissero – c’era un tronco che sbarrava la strada. Piombarono su Amendola un gruppo di squadristi di Montecatini e lo colpirono con meticolosità. Egli non poté difendersi. Si era raggomitolato coprendosi il capo ed esponendo le spalle ai colpi che avrebbero provocato il fatale trauma. A un certo punto apparvero i fari di un’automobile che si avvicinava veloce. Si seppe dopo che era una macchina straniera. Allora gli squadristi si ritirarono e gli accompagnatori portarono il corpo esamine di Amendola all’ospedale di Lucca.»
(Giorgio Amendola)
- In evidenza un’immagine di Giovanni Amendola.
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