Il Coraggio del Pettirosso, di Maurizio Maggiani

« Quello del pettirosso è un coraggio umile e testardo come il coraggio di chi dall’incendio della Storia si leva leggero col suo sogno di libertà intatto » (Maurizio Maggiani).

Un buon libro apre infinite porte, ti offre una miriade di spunti, ti mette di fronte a delle domande senza necessariamente avere la pretesa di trovare risposte. Finito Il Coraggio del Pettirosso ho dentro una sorta di incompletezza, mi sento in qualche modo monco, mancante, seppur arricchito di storie e idee. Mi trovo di fronte a un romanzo che proprio sull’assenza di certezze e risposte si evolve, prende forma, acquista un valore. Una storia di anarchia, di amore, di ricerca. Soprattutto di insaziabile ricerca e instancabile cammino.

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Il libro si sviluppa su più piani: narratore e protagonista è Saverio, figlio di immigrati italiani ad Alessandria, che dopo la morte del padre decide di andare incontro al proprio futuro ripartendo dal passato, dalle origini. Tornato in Italia per scoprire le proprie radici nel paesino di Carlomagno, incontra nel viaggio Giuseppe Ungaretti, amico di gioventù di suo padre e ormai prossimo alla morte. E’ proprio il poeta che, consegnando a Saverio un foglio con alcune annotazioni, spinge il ragazzo a una ricerca sempre più a fondo nel proprio passato, fino a cercare di ricostruire la storia di Pascal, soldato di ventura che nel sedicesimo secolo approda al paesino di Carlomagno.

Cosi’ la seconda parte di questo libro è il racconto di questa storia, che il protagonista vive notte dopo notte nei suoi sogni e che riporta su carta appena sveglio: realtà e immaginazione perdono di consistenza e si fondono nell’intreccio di due destini che si mettono in moto l’un l’altro, che si legano fino al punto di diventare indistinguibili. In questi due principali racconti si inserisce la vita di gente in cammino, entrano la Storia e le storie, e su tutti le due donne amate, Sua e Fatiha, legate seppur in circostanze diverse da uno spirito di combattimento e dalla determinazione nei propri progetti.

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Uomini in cammino, dunque, Saverio e Pascal, alla ricerca di un’appartenenza che non è mai raggiunta, e che proprio alla sua mancanza dà senso ai due uomini e alle loro vite. Saverio è apolide: non è italiano, non è egiziano, sceglie di fare un viaggio nel deserto per trovare la propria strada e perde la rotta, si lascia trasportare dagli avvenimenti e dagli incontri; la mancanza di direzione non è per lui frutto di smarrimento, ma è l’unico modo per continuare ad andare. Ed è soltanto nei suoi sogni che egli trova finalmente delle radici, un senso di appartenenza: solo con un suo antenato, abitante del proprio immaginario e della propria mente, riesce a condividere la propria assenza di certezze e di punti fermi. Ma questa mancanza non è percepita come sottrazione, è anzi uno spunto di ricchezza, è la libertà tanto agognata e finalmente raggiunta. Non a caso i due uomini si legano a donne il cui destino è segnato da una lotta continua: la sposa di Pascal, Sua, è la prima a decidere di tramandare le origini del proprio popolo attraverso la scrittura, anche a costo di infrangere la morale e le regole della propria comunità; l’amante di Saverio, Fatiha, è allo stesso tempo un bombardiere palestinese e un’ostetrica, in continua tensione e ricerca di una verità in cui credere e per cui combattere.

Tutti ad Alessandria cercano il porto sepolto, quel misterioso luogo che forse Ungaretti ha trovato nelle sue parole e nella sua poesia, ma che Saverio decide di non cercare più, in una rinuncia a volersi imporre qualsiasi senso precostituito e qualsiasi barriera definitiva. E allora il foglio che parla di Pascal, consegnato proprio dal poeta, e percepito dal giovane come una sorta di testimone, di spunto per indagare il proprio passato, è invece occasione di scoprirsi veramente libero e per questo vivo, è il capire che le domande che lo angosciano sono il senso del suo essere, della sua stessa vita.

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Il percorso che compie lo porta ad essere quel pettirosso di cui suo padre gli raccontava quando era bambino, piccolo uccello che vola più in alto e non si dà confini, combattente senza leggi e senza padroni. Come quando nel deserto il protagonista incontra Amin, beduino che gli chiede di spiegargli cos’è la nostalgia, idea che non riesce ad esprimere a parole, concetto per lui troppo distante e astratto: per avere nostalgia devi avere qualcosa di cui essere nostalgico, devi avere una casa e un posto a cui fare ritorno, una famiglia, delle certezze, tutto cio’ che lui sembra aver deciso, per scelta o per caso, di perdere, o semplicemente di non cercare.

“Per la sola ragione del viaggio, viaggiare” canta De Andrè nel brano Khorakhané , e allo stesso modo sembra dire il beduino Amin nel deserto, parlando di nostalgia: “Non è homiscjckines che tu dici, è la vita. La vita non ha nostalgia, la vita ha solo andare e tornare.”

Lucio Guarinoni per « Oltre la polvere » – Altritaliani

Tradotto in francese da Marguerite Pozzoli per la casa editrice Actes Sud

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