Vincenzo Mascolo in Missione Poesia con Q. e l’allodola

Dall’uso continuo dei riferimenti linguistici e dei contenuti di una poesia d’altri tempi, quella fondante la nostra cultura, dal recupero dei maestri e dei loro insegnamenti, dalla necessità di contare su un interlocutore autorevole, capace di ascolto e confronto, dalla possibilità di ritrovare quella musicalità della poesia primordiale rappresentata metaforicamente dal canto dell’allodola nasce e si compie questo nuovo libro di Vincenzo Mascolo: Q e l’allodola.

Q. e le allodole Missione Poesia *

Vincenzo Mascolo è nato a Salerno nel 1959, vive e lavora a Roma. È il curatore di Ritratti di poesia, manifestazione annuale di poesia internazionale promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro.

Ha pubblicato: Il pensiero originale che ho commesso, poesia, Edizioni Angolo Manzoni, 2004; Scovando l’uovo (appunti di bioetica), LietoColle, 2009; Q. e l’allodola, Mursia, 2018. Nel 2010 un estratto del libro inedito Bile è stato pubblicato nell’antologia LietoColle Orchestra – poeti all’opera (numero tre), curata da Guido Oldani. Per LietoColle ha anche curato le antologie Stagioni, insieme a Stefania Crema e Anna Toscano, La poesia è un bambino e, con Giampiero Neri, Quadernario – Venticinque poeti d’oggi.

Conosco Vincenzo Mascolo da diverso tempo come autore, da circa un anno personalmente. Ci siamo incontrati a Ritratti di Poesia, la manifestazione annuale di poesia internazionale, cui è direttore artistico, alla quale mi aveva gentilmente invitata nel 2018. Da subito, a pelle, ho capito che avevo a che fare con una persona gentile e sincera, professionalmente preparata e amante della poesia e delle reti che servono per sostenerla. La sua produzione poetica non prescinde da questo suo modo di essere e ne restituisce tutta la sua carismatica forma comunicativa. Vincenzo sarà ospite a Bologna, a Un thè con la poesia, rassegna che curo presso il Grand Hotel Majestic, nell’incontro del mese di aprile 2019.

Q. e l’allodola

Ho dovuto rileggermi La Terra desolata di Eliot per poter iniziare a parlare di questo libro, il Q. e l’allodola, di Vincenzo Mascolo. Come sempre, infatti, non ci sono letture che non hanno il potere di evocarne altre, non ci sono libri che non suggeriscono titoli nascosti in quegli scaffali stracolmi della biblioteca immaginaria – di canettiana memoria – in cui tutto si tiene, e che chiedono a gran voce di essere ripresi per offrire, in quel preciso momento, il punto di contatto, l’intersezione che soccorre, la scintilla che genera il corto circuito. Ho dovuto ripercorrere le tappe di quella terra desolata, rivisitarne i luoghi, sottolinearne i riferimenti più eclatanti rubati necessariamente ai maestri, elaborarne gli intenti, sublimarne le geniali intuizioni, masticarne il formidabile uso della parola forgiata dal “miglior fabbro, da Ezra Pound. Ho così scoperto quanta similitudine, tra questi due lavori, il mio istinto di lettore ha messo in campo e ha sovrapposto, sino quasi a far combaciare alcune intenzioni le quali non so dire, chiaramente, se colgono nel segno, se sono identiche a quelle stesse dell’autore ma, di certo, ritengo che possano essere plausibili, per offrire una chiave di lettura singolare di questo testo di cui  parlerò nell’articolo.

Q. e l'allodola Altritaliani

Guido Oldani, direttore della collana di poesia della Casa Editrice Mursia – che ospita la pubblicazione del libro – parlando dell’opera afferma che l’autore incentra la sua poetica sulla consapevolezza che la “stagnazione” della poesia contemporanea, dovuta principalmente all’incapacità di generare un linguaggio giusto per il genere, rende molto difficile trovare la strada per continuare ad esprimersi in quest’arte. La crisi della poesia e del suo linguaggio, ovvero del significato e del significante, riflesso incondizionato di una più generale crisi culturale, sociale, etica è, infatti, il tema di fondo di questo libro che, proprio attraverso un discorso che va nella dimensione della metapoesia, reinterpreta la crisi esistenziale dell’individuo stesso, e di conseguenza la crisi dell’autore. L’uscita di sicurezza per Vincenzo Mascolo pare rappresentata: dall’uso continuo dei riferimenti linguistici e dei contenuti di una poesia d’altri tempi, quella fondante la nostra cultura, dal recupero dei maestri e dei loro insegnamenti, dalla necessità di contare su un interlocutore autorevole, capace di ascolto e confronto, dalla possibilità di ritrovare quella musicalità della poesia primordiale rappresentata metaforicamente dal canto dell’allodola.

Anche Eliot nel suo poemetto parte proprio dalla necessità di arginare uno stato di “stagnazione” artistica, derivante dal prolungarsi di un tormento interiore, dovuto alla sua incapacità di portare a termine la propria poesia – lo scriverà anche in una lettera alla madre nell’ottobre del 1920 e in un’altra a J. Quinn nel maggio del 1921 – non disgiunto da un’idea centrale di crisi della società occidentale ormai ridotta a una Terra desolata che comporta, per l’autore, la devastazione di un visione pessimistica della realtà, ritraendo la drammatica condizione della Terra rimasta senza valori, senza alternative, laddove anche la poesia non può far altro che registrare ciò che resta di un’umanità frantumata e desertificata. Naturalmente i versi del poemetto hanno insiti, in loro stessi, molti più significati, molte più possibilità di lettura ma, certo, contengono anche questa. L’uscita di sicurezza per Eliot sarà rappresentata, successivamente, dall’incontro con l’esperienza religiosa, con una fede di speranza e salvezza.

Ma, ciò che a mio parere deve essere evidenziato in questo assemblaggio di similitudini  è il percorso fatto intorno alla parola poetica, alla lingua della poesia, alle sue trasformazioni, ovvero allo strumento necessario e vitale per il genere: cercato e trovato incessantemente da entrambi autori, con modalità diverse che a tratti si incrociano. Così mentre Eliot compie le sue letture e i suoi incontri con i simbolisti – Symons, Laforgue, Rimbaud, Corbière – accaparrandosene la capacità simbolica della parola, e la possibilità di evocare determinati stati d’animo con la pura inventiva linguistica, ingloba nei suoi versi frammenti e citazioni di testi e linguaggi di svariati autori da Dante a Ezechiele, da Shakespeare a Baudelaire, da Ovidio a Middleton (solo per citarne alcuni) e si fa forgiare – ovvero revisionare – il proprio lavoro da Ezra Pound, che opererà tagli e rielaborazioni piuttosto ampie sul testo – se pure con il pieno accordo dell’autore –.

Così, dicevamo, al tempo stesso Mascolo – per tentare una ricostruzione del linguaggio poetico – invoca in prima battuta la Musa dell’Iliade di Virgilio, che gli spieghi la lotta tra le due componenti della parola: Cantami, o diva, l’eterna lotta/tra i significanti e i significati/narrami l’attesa tra gli eserciti schierati/del segnale che arrosserà quel campo/i riti per propiziare la vittoria/cantami la furia di quella battaglia…; colloquia con l’immaginaria presenza di Queneau, alla quale chiede continuamente aiuto per la nascita di un nuovo stile che non sia fatto solo di esercizi – come quelli della scuola dell’U.li.Po, da lui fondata –: Oh, Queneau/non basta più esercitarsi nello stile/come tu sapevi fare inanellando/notations, hellenismes, le contrepèteries/e tutte le altre tue diavolerie/che aprivi come nuove fioriture… o di sostenerlo nella ricerca della parola poetica che non arriva: non basta adesso, credi, non mi basta/stringere, costringere, forgiare la parola/per disegnare le ombre sopra i muri/figure che volteggiano nell’aria/vagule, blandule, leggere/forme senza mai sostanza…; parafrasa il primo canto della Commedia laddove la selva oscura è rappresentata dalla poesia stessa: Al centro della mia vita binaria/(ho ancora molte cose da dire,/fare, leggere e ascoltare/che credo sarà quasi centenaria)/mi ritrovai nella palude oscura/della poesia di questo divenire… laddove si concretizza il ricordo delle parole udite nei versi primigeni, pronunciate agli esordi del proprio scrivere poetico, e ancora desiderate: Pronunciai parole che da allora/non ho sentito più dalla mia voce/ma quanto le vorrei sentire ora/nel tempo che per me si fa feroce/quelle parole che sono sfiorite:/rose rosario rosa della croce… laddove, in un alternarsi di versi, canti e preghiere, si attende il compimento del ritorno, l’ascolto di quel canto risolutivo che renda valore al dire, che faccia dimenticare la tensione argomentata dal fil rouge di quella bile, che ha sembrato coprire col suo manto vischioso tutti i sentimenti, imprecare contro la bellezza, nascondere l’amore per la poesia, la verità, la vita, quel canto ora evocato – che tanto somiglia alla parola divina – … nella penombra dove consumiamo/l’attesa che l’allodola ritorni/risponda finalmente al mio richiamo.

Alcuni testi da: Q. e l’allodola

Cantami, o diva, l’eterna lotta
tra i significanti e i significati
narrami l’attesa tra gli eserciti schierati
del segnale che arrosserà quel campo
i riti per propiziare la vittoria
cantami la furia di quella battaglia
che non ha avuto vincitori e vinti
raccontami la torsione dei corpi
il sudore che impregna anche il terreno
la tensione dei muscoli allungarsi
quando sferrano colpi, nel ritrarsi
fammi sentire gli zoccoli che battono
i nitriti, il clangore delle armi
il cozzo delle spade sugli scudi
le grida per gli squarci delle lance
narrami le ferite, la paura
la polvere che copre chi è caduto.

Cantami, o diva, l’ira del poeta
la sua fatica che trasuda versi:
portami il sangue della sua poesia.

***

Oh, Queneau Queneau,
non basta adesso, credi, non mi basta
stringere, costringere, forgiare la parola
per disegnare le ombre sopra i muri
figure che volteggiano nell’aria
vaguleblandule, leggere
forme senza mai sostanza
nemmeno la volatile dei sogni
corpuscoli di polveri sottili
che arrochiscono la voce dei poeti.

***

Oh, Queneau
Queneau
parlavo seriamente della bile
perché stanno esaurendosi le scorte
delle anime ridotte al lumicino
e per nutrire ancora una speranza
che adesso si fa sempre più sottile
ai poeti non resta che affilare
parole sulla pietra per raschiare
il fondo limaccioso del barile.

***

Oh, Queneau
trascorro notti insonni comparando
poetiche teorie sulla poesia forme chiuse
versi liberi prosastici la metrica gli accenti
le metafore il ritmo la sua musica le immagini terzine
strofe ottave stanze rime endecasillabi i doppi settenari alessandrini
ABAB ABAB CDC

il canone del nostro Novecento versi lirici civili quotidiani d’amore
religiosi minimali classici moderni d’avanguardia versi eterni
transeunti di ogni continente lingua forma visioni
urgenze ispirazioni l’etica l’estetica il linguaggio
generazioni entranti entrate uscite uscenti
ABBA ABBA CDE

Oh, Queneau
trascorro notti insonni
ma ancora mi domando
se sia davvero questo solamente
la cosa che chiamiamo la poesia.

****

Al centro della mia vita binaria
(ho ancora molte cose da dire,
fare, leggere e ascoltare
che credo sarà quasi centenaria)
mi ritrovai nella palude oscura
della poesia di questo divenire.
A ripensarla ora fa paura
quella distesa torbida, stagnante
che mi bloccò la voce e l’andatura.
E come ragnatela che all’istante
intrappola l’insetto nel suo volo
per trasformarlo in cibo fluttuante
così quella palude era crogiolo
di oggetti, il pane quotidiano
di poeti con il fisico del ruolo.[…]

Bologna, 24 marzo 2019
Cinzia Demi

*****

P.S.: _cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo sotto un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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