Nella ricorrenza dei cinquecento anni dall’istituzione del Ghetto di Venezia (1516) il primo al mondo, anche la Fondazione Musei Civici della città lagunare non poteva mancare con il proprio contributo allestendo una pregevole mostra a Palazzo Ducale: “Venezia, gli ebrei e l’Europa 1516-2016”.
La mostra, curata da Donatella Calabi (già autrice di un prezioso volumetto, “Venezia e il Ghetto. Cinquecento anni del “recinto degli ebrei”, Bollati Boringhieri, 2016) con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli e il contributo di un nutrito pool di studiosi, in un percorso di dodici sale (un tempo l’appartamento del Doge) descrive i processi che sono alla base della nascita, della realizzazione e delle trasformazioni dei luoghi destinati alla vita degli ebrei a Venezia. Si ripercorrono inoltre i vari momenti di interrelazione con il resto della città, ma anche con altri paesi stranieri dove il fervore culturale, economico e sociale ha dato slancio e vitalità non solo alla loro comunità, ma anche a Venezia stessa, una città che ha fatto della tolleranza e dell’accoglienza il suo vanto.
Vittore Carpaccio
Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1501-1505
Venezia, Museo Correr
Le undici sale della mostra sono quindi altrettante sezioni dove si rievoca il lungo excursus storico-sociale del Ghetto. Ad illustrare il tutto, vi sono anche importanti dipinti – da Bellini e Carpaccio (suo è il “Ritratto del Doge Leonardo Loredan”, 1501-1505, colui che il 29 marzo del 1516 firmò il decreto istitutivo del recinto degli ebrei) da Foraboschi a Hayez e Poletti, per arrivare a Balla, Wildt fino a Chagall.
Marc Chagall
Rabbino N. 2, 1914 – 1922
Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna
Si inizia con “Prima del Ghetto”. Grazie ai pannelli descrittivi e a un video che racconta la diaspora degli ebrei, si racconta la storia antecedente allo spazio urbano corrispondente all’area, che coincideva con l’antico insediamento della forgia o “Geto” per indicare gli scarti della vecchia fonderia di rame, poi Ghetto Nuovo. Accoglie i visitatori una piramide di sale sulla quale vengono proiettate immagini di lavorazione del rame e dei suoi scarti, con i rumori delle fucine.
“Prima del Ghetto – Venetie MD” è l’argomento della seconda sala, dove domina un enorme pannello digitale interattivo nel quale viene mostrata la celebre pianta prospettica di Venezia vista a volo d’uccello, disegnata nel Cinquecento dall’incisore Jacopo de’ Barbari.
Sul pannello nella visione animata della pianta di Venezia si possono mettere in evidenza i principali insediamenti abitativi e commerciali degli ebrei provenienti da diverse nazioni, sparsi per i sestieri, dove è stata accertata la loro presenza prima dell’istituzione del Ghetto.
Sempre sul pannello interattivo si può osservare la ricostruzione in 3D dell’antico ponte levatoio in legno di Rivoalto (Rialto) prima dell’incendio che colpì la zona rialtina nel 1514. Inoltre si può visitare una delle tante botteghe del ponte, quella di un artigiano ebreo, con la sua struttura su due piani: la parte inferiore per l’esposizione dei prodotti e la vendita. Quella più elevata, raggiungibile con una scaletta interna, destinata invece a laboratorio.
Si passa quindi alla sezione dedicata alla “Venezia cosmopolita”. Per la sua posizione strategica, Venezia era considerata “civitas mercatorum”, un luogo di collegamento tra Mediterraneo orientale ed Europa settentrionale. Inoltre luogo di passaggio dei pellegrini verso la Terrasanta, perciò per sua natura, posizione e vocazione, cosmopolita.
Predica di Santo Stefano a Gerusalemme , 1514
Musée du Louvre, Paris
Tra il XV e il XVI secolo gli insediamenti della comunità in città sono destinati ad espandersi. A loro viene assegnata un’area di pertinenza, e spesso anche una zona specifica dove svolgere i loro commerci. Il tutto è ben rappresentato da un modellino in scala di una porzione di Venezia, con alcuni spot luminosi che cambiano colore alla descrizione, in un pannello digitale, dei mestieri svolti in un determinato luogo. Tra i vari mestieri, fioriscono le stamperie, l’editoria veneziana, già alla fine del Quattrocento con Aldo Manuzio è la fucina dei modelli tipografici, con significativi esperimenti in ebraico. Sarà però l’imprenditore fiammingo David Bomberg, a trasformare la città in un centro di eccellenza per la tipografia ebraica. In un altro pannello interattivo, si possono consultare alcuni volumi digitalizzati, provenienti dall’Archivio di Stato, dove si può ammirare la stampa di alcuni testi religiosi ebraici dell’epoca.
La sala “Il Ghetto cosmopolita” spiega come si è arrivati al momento dell’insediamento degli ebrei nel vero e proprio Ghetto a partire dal 1516. Scelta di inclusione e nel contempo di reclusione nel “corpo” della città, che nacque da una politica pragmatica, mossa da ragioni di ordine economico prima ancora che sociale. “Separazione e controllo” furono gli elementi costitutivi di questa organizzazione funzionale e spaziale. Le abitazioni crescono in altezza, il Ghetto e “città che sale”. Nella sezione sono esposti i progetti e le piante di alcuni edifici, considerati i più alti di Venezia.
Dagli edifici privati si passa a quelli di culto. Nella sezione “Le sinagoghe” si illustrano le cinque sinagoghe del Ghetto, da sempre i centri identitari dei diversi gruppi che compongono la comunità ebraica. Esse si contraddistinguono per le loro specifiche funzioni: c’è la “Bet ha Keneseth” (casa della comunità), la “Bet Tefillah” (l’attività di preghiera) e la “Bet ha Midrash” (casa dello sudio) per l’insegnamento e assistenza ai correligionari più poveri. Esistono poi le sinagoghe chiamate “Scole”, come in uso a Venezia per indicare le “confraternite” di arti e mestieri. Attraverso immagini video in 3D si entra in una sinagoga; vi sono i disegni e dipinti che illustrano gli interni con le tipiche colonne tortili.
Sullam Guido Costante
Interno della sinagoga levantina, dettaglio di colonna tortile e vetrata
Inchiostro e acquerello su carta
Inoltre sono esposte alcune opere di manifattura veneziana (un Bacile in argento battuto del XVIII secolo) orientale (Coppia di rimmonim in argento e smalto policromi del XVI sceolo) e ungherese (Porta bersamim in argento e filigrana, fine XIX secolo), conservati nel Museo Ebraico di Venezia.
Di interesse anche lo spazio riservato a “La cultura ebraica e le donne”, il loro ruolo nella società e l’accesso per alcune di esse alla cultura letteraria dell’epoca. Viene raccontata la storia di Sara Copio Sullam (Venezia 1588, 1590 c.a. – 1641) chiamata “la bella ebrea” e nota come “poetessa del ghetto”. Una eccelsa letterata, tra le più colte della sue epoca, con profonde conoscenze in ambito letterario, storico e teologico. Per molte altre donne invece, meno istruite ma di estrazione sociale borghese, c’era la possibilità di contrarre matrimonio con uomini di pari grado o meno abbienti. Per l’accasamento c’erano degli specifici contratti di matrimonio redatti dalle rispettive famiglie, realizzati su pergamene e decorati a mano artisticamente, che dovevano essere onorati. Nella sezione ne sono esposti alcuni di pregevole fattura.
Contratto matrimoniale ebraico, Diana bat Gavri’el Barak Caravaglio con Mošeh ben Ya’aqov Baruk Caravaglio , 1723 (lunedì 14 Nissan 5483)
Venezia, Museo Correr – Gabinetto Disegni e Stampe
Vi è quindi la sezione dedicata a “I commerci tra XVII e XVIII secolo”. L’ampliamento del Ghetto nel 1630, la sua storia urbana, porta ad analizzare la presenza ebraica nel contesto della sua ragione economica. Nascono nuovi spazi commerciali, con il Nord Europa e l’Asia, una nuova classe imprenditoriale si affaccia all’orizzonte. Tuttavia non mancano in città atteggiamenti xenofobi e antisemiti. Al punto da permettere agli ebrei di Castello di autofinanziarsi per la realizzazione di un canale che dalla parte del Ghetto trovasse sbocco verso il cimitero del Lido, onde evitare che da un ponte, nella zona di San Pietro, i ragazzini scagliassero le pietre al passaggio dei cortei funebri di gondole nel canale sottostante. La presenza ebraica in laguna è anche leggibile attraverso la centenaria storia del cimitero del Lido, che si documenta per la sua presenza fin dal 1386 ed è tradotto nelle mappe dei più celebri “perticatori” della Serenissima. Attraverso il censimento delle lapidi è possibile ripercorrere i tratti salienti della storia della Comunità e la biografia dei suoi abitanti.
In un’altra sezione di passaggio c’è “Il Ghetto narrato. L’ombra di Shylock”, la rappresentazione del famoso ebreo veneziano, prestatore di denaro, offerta da Shakespeare nella commedia “Il mercante di Venezia” (1596) vista attraverso alcuni filmati di edizioni televisive e cinematografiche.
Giovanni Grevembroch
Nobile al banco in Gli abiti de veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII, Secolo XVIII, seconda metà
Disegno acquerellato
Venezia, Biblioteca del Museo Correr
Segue poi la sala dedicata a “Napoleone: l’apertura dei cancelli e l’assimilazione”. Con l’abbattimento delle porte del Ghetto (11 luglio 1797) e l’assegnazione all’intera area di un nuovo nome, “contrada dell’Unione” da parte del conquistatore francese, cessa ogni segno di segregazione e si avvia quel processo di emancipazione ebraica.
Giuseppe Borsato
L’Albero della libertà in piazza San Marco il 4 giugno 1797, 1797
Olio su tela
Venezia, Museo Correr
Sarà la generazione successiva, descritta nella “Sala Treves”, ad avere un ruolo attivo nelle decisione socio-politiche della città. Dai moti del Quarantotto alla promozione della causa dell’Unità nazionale, uomini e donne di origini ebraiche si distinsero per la loro partecipazione attiva. Politici come Giacomo Treves (ritratto nel dipinto di Ludovico Lipparini, 1800-1856) Isacco Pesaro Maurogonato (ritratto nel dipinto Guglielmo De Sanctis 1829-1911) o il busto di Angelo Abramo Errera, colti mecenati e imprenditori contribuirono a imprese che portarono Venezia verso la modernità.
Veduta del Giardino Treves dei Bonfili a Padova, 1866
Si giunge quindi all’ultima sezione “Il Novecento”. Le importanti famiglie ebree ormai si sono trasferite in terraferma in ville con giardini realizzate da illustri architetti e giardinieri. Nomi nuovi sono saliti ai vertici dell’amministrazione cittadina e politica nazionale e sono ai vertici di circoli intellettuali e istituzioni scientifiche. Saranno i Musatti, i Fano, Gino Luzzatto e Margherita Grassini Sarfatti a rappresentare le personalità più colte fino alla fine degli anni Trenta, prima delle leggi razziali e della cesura della Shoah.
Adolfo Wildt
Margherita Sarfatti
Venezia, Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
La mostra si conclude con due visioni emblematiche: la prima è una gigantografia di un’immagine realizzata subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Un gruppo di persone sono in posa di fronte a un fotografo, davanti a un ponte del Ghetto. Hanno la gioia stampata sul volto. Il luogo, dopo tante tragedie, è finalmente ritornato libero.
Accanto a questa immagine c’è un’altra montagna di sale e vicino uno scanner, dove il visitatore può appoggiare un oggetto o la propria mano, sul lettore ottico; si creerà quindi un’immagine che finirà proiettata sulla montagna di sale e che diventerà una montagna di riproduzioni quando la mostra chiuderà i battenti.
Un piccolo gesto per lasciare una propria testimonianza a una Comunità che ha contribuito positivamente allo sviluppo di questa città.
Andrea Curcione
VENEZIA, GLI EBREI E L’EUROPA 1516-2016
Venezia, Palazzo Ducale
Appartamento del Doge
19 giugno – 13 novembre 2016
Catalogo a cura della Marsilio