Ci siamo. Dopo la rinuncia del tecnico Cottarelli e l’incarico a Conte, che ha presentato la lista dei ministri al Quirinale avendo cosi il via libera del Capo dello Stato. Il controverso Savona, dirottato alle politiche comunitarie, mentre l’economista dell’università di Tor Vergata Tria passa al tesoro, l’esperto Moavero agli esteri, mentre Salvini sarà agli interni e Di Maio alle politiche per il lavoro. Così si compie la quadratura del cerchio e dopo quasi novanta giorni, ci accingiamo a vedere insediare il nuovo governo uscito dalla elezioni del 4 Marzo.
Mattarella con il suo equilibrio, ha condotto e concluso la più lunga e complessa trattativa per la formazione di un governo della storia della Repubblica, il tutto salvaguardando anche i vincoli internazionali e i mercati. Ora tocca ai populisti, con il loro “contratto” ambizioso, ma privo di indicazioni concrete sulle coperture economiche, mostrare il promesso cambiamento. Arriva il primo governo di forze culturalmente antieuropeiste. L’auspicio è che tanto possa servire anche all’Europa per svegliarsi dal suo sonno e ritrovare le ambizioni e speranze che ne furono ispiratrici.
Tutta la vicenda lascia aperto il dibattito, forse effimero, se si sia aperto un nuovo ciclo politico, se si possa parlare di terza repubblica, vista anche la irritualità della procedura a partire dal « contratto » e per la prassi seguita che ha sostanzialmente invertito l’ordine dei passaggi istituzionali che, per consuetudine consolidata, era di norma per la formazione del governo, per l’uso dei social con cui spesso i protagonisti ci hanno fatto vivere minuto per minuto i delicati passaggi per la formazione dell’esecutivo, ma tutto questo sarà materia da approfondire nei mesi a venire.
Per ora archiviamo questi novanta giorni con tutte le incompetenze, le improvvisazioni, le emotività eccessive evidenziate dai due contraenti. Con M5S e Lega, grazie al paziente lavoro di Mattarella, finalmente l’Italia ha un governo che potenzialmente, almeno al suo via, non dovrebbe terremotare i mercati (che significativamente in queste ore stanno tornando in territorio positivo) e spaventare le istituzioni europee che vivono già una crisi profondissima ad un anno dalle elezioni del proprio parlamento.
Il governo che nasce non è stato scelto dagli italiani, ma è la logica conseguenza delle ambiguità delle regole e di una mancanza di coraggio del sistema partitico italiano, nel definire un sistema elettorale che avesse una sua chiara vocazione maggioritaria o proporzionalista. Pero’, è anche il segnale che, per rendere più autentico il rapporto tra cittadini e politica, è ormai ineludibile riprendere con forza il dossier sulla riforma delle istituzioni e della Costituzione, per la cui realizzazione il precedente governo Renzi si era speso, vanamente, con il referendum del dicembre 2016.
Tuttavia, dopo il via libera di Berlusconi a Salvini, l’accordo per un governo politico tra Lega e M5S appare certamente la soluzione più logica e più prossima alle indicazioni dell’elettorato. Operazioni Cottarelli, ovvero l’ennesimo governo tecnico non voluto dai cittadini, sarebbero risultate inutile sul piano del sostegno parlamentare, prossimo allo zero, ed avrebbero ulteriormente colpito la già scarsissima fiducia degli italiani nelle proprie istituzioni.
Ritorna quindi il governo Conte, con tutte le riserve del caso. A partire proprio dallo sconosciuto premier frutto di compromessi politici e di veti incrociati di cui non si aveva più memoria dai tempi della prima repubblica.
Non si puo’ nascondere che anche questo governo parte da una sottovalutazione dei cittadini, a partire dalla diatriba che ha diviso aspramente l’asse Salvini e Di Maio dal garante, il Capo dello Stato. Mi riferisco al tentativo d’imposizione, quale super ministro dell’economia di Savona, illustre professore, notoriamente favorevole all’uscita dell’Italia dall’euro. La difesa strenua del economista denota come i due partiti populisti, mettessero in conto la possibilità, se non la volontà, di una Brexit all’italiana, cosa che mai era stata posta, dagli stessi partiti, in campagna elettorale, nella convinzione che, pur con tutto il crescente antieuropeismo nel paese, avrebbe potuto nuocere e ridimensionare il successo elettorale da loro conseguito.
Un’ambiguità che potrebbe nel tempo pesare sul consenso che certamente oggi gode il nascente governo. Tuttavia, mentre il quadro sembra definito, appare evidente che la vera discriminante politica ed anche ideologica tra i partiti diventa l’Europa, e anche se oggi tutti giurano fedeltà a Bruxelles, è evidente che da un lato vi siano forze che più o meno sono convintamente europeiste (Forza Italia e il PD) e dall’altro ve ne sono di più o meno convintamente antieuropeiste (M5S, Lega e Fratelli d’Italia). Vorrà dire qualcosa il fatto che il governo nascente sarà infine, sostenuto proprio da queste ultime forze, con l’astensione del partito della Meloni.
Sicuramente in democrazia il voto popolare ha un valore assoluto. Gli italiani si sono espressi in modo inequivocabile, perché solo un pasticciato sistema elettorale non ha consentito di esprimere dei veri vincitori ma possiamo dire che certamente i partiti europeisti sono stati i perdenti, una cosa che deve far riflettere ad un anno dalle elezioni europee.
Una seria riflessione che tocca anche all’Europa che da anni ha perso ogni slancio, ogni capacità di condurre politiche comuni sulla base di un progetto chiaro e condiviso. Probabilmente, ed è auspicabile, il vento del populismo potrebbe indurre i principali protagonisti dell’Unione ad una svolta, del resto è quanto auspica lo stesso Macron in Francia quando sostiene che il sovranismo nazionalista si puo’ battere dando maggiore sovranità, ed aggiungerei autorevolezza, all’Europa.
Il che vuol dire dare risposte ad un mercato europeo dove non ci sono trattamenti salariali omogenei, evitando cosi le speculazioni al ribasso sul lavoro che inducono alla delocalizzazione di importanti comparti industriali a favore di stati che offrono costi del lavoro molto contenuti; significa uniformare il fisco e le burocrazie dei paesi europei, avviare delle linee di difesa e della politica estera che siano omogenee, ridiscutere il commercio con l’estero (mentre in queste ore sta partendo la guerra dei dazi voluta da un altro populista, Trump) e soprattutto sul tema immigrazione ci deve essere un’assunzione chiara di responsabilità che non lasci i paesi come l’Italia, alla frontiera del continente, soli e senza assistenza. Se neanche quanto accaduto in Italia, terza economia europea, seconda per l’export, un’economia che ha oggi degli ottimi fondamentali, è sufficiente a far aprire gli occhi alle istituzioni europee, allora innanzi a tanta miopia è facile immaginare che il destino di questa sia segnato.
Al contempo, i nostri cittadini devono ben capire che oggi il voto in paesi importanti come l’Italia non puo’ essere considerato semplicemente come un fatto privato, interno ai nostri territori. Come anche tante volte è stato ricordato, anche dalle nostre colonne, ad esempio dal politologo Emidio Diodato, il vincolo esterno sulle politiche nazionali si fa sempre più cogente. Il condizionamento delle politiche internazionali pesa sulle scelte politiche di ciascun paese, compreso evidentemente il nostro.
Lo si è visto quando l’inesperienza, l’improvvisazione, la scarsa cultura politica dei vincitori, specialmente del grillino Di Maio, ha determinato effetti drammatici sulla nostra economia e sui mercati. Con devastanti crolli di borsa (in un giorno si è arrivati a perdere 17 miliardi di euro), e sullo spread, dove la speculazione favorita dalle incertezze e dal nervosismo degli artefici del governo, ha portato ad una violenta impennata verso l’alto con un consistente aumento dei tassi d’interesse sui titoli a tutto danno dei risparmiatori italiani.
E’ evidente che paventare, come pure si è fatto, l’uscita dall’euro o l’attacco alle istituzioni come nel folle annuncio di M5S di messa in stato d’accusa per alto tradimento e attentato alla Costituzione, contro il Presidente della Repubblica, che esercitava le sue prerogative costituzionali, come garante di tutti gli italiani, crea tensioni, insicurezze e nervosismi a tutto danno dei mercati, delle banche che devono fornire liquidità, dei risparmiatori piccoli e grandi e quindi delle imprese che sono il tessuto economico ma direi finanche sociale del paese.
Finalmente, con la loro determinazione ad andare al governo, la Lega e M5S escono dal novero delle forze anti establishment, non possono essere più considerate espressioni dell’antipolitica e questo impone a loro ben altro tono. Se vogliamo il primo cambiamento che promette questo governo riguarderà proprio il loro comportamento, che dovrà essere consono alle grandi responsabilità che vanno ad assumere. E’ una questione culturale prima ancora che politica. Dire, dovrebbero oggi dirlo anche loro con chiarezza, che le banche, i mercati e la stessa finanza non sono diaboliche entità astratte e che dietro di loro non ci sono oscuri complottanti, è solo un esercizio di buon senso. Le Banche certo non sono associazioni di benevolenza, ma sono coloro che gestiscono il nostro denaro e spesso lo fanno nel miglior modo possibile e che ci siano degli speculatori, dei disonesti o degli incapaci, più probabilmente, che fanno danni con il denaro dei cittadini non vuol dire che gli istituto di credito siano manovrati dal demonio. I mercati siamo noi e non c’è nessuna cospirazione di forze demo-pluto-giudaiche, e se la borsa crolla e lo spread sale è solo per i gravi errori di chi dice usciamo dall’euro e mettiamo Savona a fare il ministro dell’economia. E’ fin troppo evidente che se io voglio investire in fondi del tesoro, lo faro’ li ove i tassi di interesse siano migliori e i rischi minori. Il declassamento dall’euro alla lira farebbe perdere gran parte dei soldi investiti, chi lo farebbe? potendo a questo punto scegliere fondi più sicuri di altri paesi?
Perché investire 10.000 euro in BTP, con il rischi di trovarsene duemila? Eppure è su queste cose che si sono affermate post-verità che hanno contribuito ad avvelenare la società italiana, a far crescere la sfiducia generale nella politica e nelle istituzioni.
La stabilità politica, di qualunque colore fosse, è essenziale; e bisogna dare conto anche a cose come i mercati ed aggiungo i trattati internazionali, ed è per questo che chi vota nella sua riflessione deve mettere in conto che i tempi sono cambiati e che per questo le elezioni non sono più un fatto semplicemente privato ed interno ad un paese ma agisce in un contesto globale complesso e multiforme. Percio’ è normale che anche autorevoli esponenti delle politiche che muovono il mondo possano esprimere anche su questa sovranità nazionale il proprio libero pensiero, i propri liberi auspici.
Il debito pubblico di un paese, ed il nostro è altissimo, non è un’astrazione, si tratta di soldi dovuti ad altri paesi e non si puo’ fingere di non averlo, e non si puo’ andare a dire sciocchezze del tipo che: l’euro ha determinato il debito, quando la realtà storica fa rimontare perlomeno agli anni ottanta la formazione dello stesso.
La speranza è che tutti i partiti escano dal loro particolare, dall’isterica tendenza a guardare solo al proprio popolo in favore di una visione che miri in primo luogo, dal governo e dall’opposizione, a guardare all’interesse generale del paese, senza dimenticare l’interesse sovranazionale dell’Europa.
Finalmente, dopo questi novanta giorni costellati di colpi di scena non sempre piacevoli, un governo c’è. Credo che questo risultato debba essere salutato con soddisfazione da tutti. In primis da chi il governo lo compone, ma anche dalle opposizioni (gli europeisti) che ora potranno svolgere la meno faticosa e più redditizia attività di opposizione, sempre pero’ con l’impegno a voler concretamente avviare un percorso che possa riportarli in futuro alla testa del governo. Infine, occorre un sussulto di responsabilità da parte delle istituzioni stesse, partendo dal nascente esecutivo e poi dal Parlamento finora inoperoso, affinché si possa portare un cambiamento che sia ricco di novità ma che al contempo garantisca equilibrio e stabilità ad un paese che, da troppi anni, vive in una bolla di isterismo e tensione alimentate spesso da un uso disinvolto dell’informazione a tutti i livelli. Una grande novità, forse la più importante, come ha dimostrato il nostro Capo di Stato, sarebbe proprio che il dibattito anche aspro tra le forze politiche non puntasse solo alla delegittimazione reciproca, limitandosi alla natura e agli effetti dei provvedimenti che l’esecutivo vorrà assumere, sarebbe già un grande fatto, che ridarebbe razionalità al Paese. Una cosa essenziale ad una Italia da troppi anni smarrita e disorientata.
Nicola Guarino