Si può celebrare il cinquantenario del 1968, anno-solco fra una visione del mondo e il suo ansioso divenire, con due film per parlare dei giovani di un tempo: Il grande freddo di Lawrence Kasdan (Usa, 1983) e La classe operaia va in paradiso di Elio Petri (1971). Opere apparentemente distanti: la prima, americana, su quei giovani reduci dalle lotte studentesche di qualche anno prima del ‘68 (oltre oceano le contestazioni avvennero in anticipo); l’altro sul “mito” operaio, evocato dagli studenti “uniti nella lotta!”. Un anno, il ’68, che vede proprio negli studenti il fulcro delle rimostranze (ecco perché è importante che quelli di oggi lo conoscano) e che vede anche nel cinema il luogo di incontro e di scontro: la storia in soggettiva, come si oserebbe sul set.
Generazioni, quelle del 1948 che avevano sconfitto la dittatura, che avevano fatto la Resistenza. E venti anni dopo i figli ne evocano un’altra di resistenza: alla famiglia, al potere costituito, forse anche alla Chiesa, credendo di figurarsi un sovvertimento: “l’immaginazione al potere” si gridava nel maggio parigino; evocativo il film di Bernardo Bertolucci del 2003, I sognatori (The dreamers). Libertà dalle dittature di qualsiasi colore: la sollecitavano i giovani di Praga e di Belgrado, mentre al di qua del Muro li si guardava con colpevole scetticismo. 1948, 1968, 1978, 1818: tutto un definire di anni nel segno dell’8, simbolo dell’infinito ma verticale. 1818 è l’anno in cui nacque Karl Marx, emblema di ogni rivoluzione proletaria, elevato a simbolo del ‘68 dagli studenti, insieme a Che Guevara eroe argentino della rivoluzione castrista di Cuba, ucciso nel 1967 in Bolivia dalle forze filoamericane; medico, era nato nel 1928. (Ancora un 8).
Nel 1967 si spegnava poco più che quarantenne il priore educatore di Barbiana, don Lorenzo Milani, apostolo della nonviolenza e della scuola dei poveri, il cui seme germoglia tuttora. Ma il 1968 è anche l’anno dell’assassinio negli Stati Uniti di Martin Luther King (il 4 aprile) il pastore protestante attivista dei diritti civili degli afro-americani; due mesi più tardi toccherà a Robert Kennedy, candidato alla Presidenza, sulla stessa linea progressista: “Ci sono coloro che guardano le cose come sono, e si chiedono perché… Io sogno cose che non ci sono mai state, e mi chiedo perché no.” Questo asseriva. Tutto un vento globale che soffiava dalla Cina rossa di Mao Tse Thung (“Il mondo appartiene a voi giovani, è vostro l’avvenire” così infiammava le piazze) fino al Sud America. E l’Europa.
Le piazze erano un pullulare di scontri come nelle università, Valle Giulia a Roma teatro di violenze: il film di Michele Placido Il grande sogno (a Venezia nel 2009) ne menziona gli eventi. Eppure i giovani europei si incontrarono a Firenze due anni prima del ’68, per salvare l’immenso patrimonio artistico infangato dal devastante alluvione di quel 4 novembre: gli “angeli del fango” li denominarono. Il film di Marco Tullio Giordana La meglio gioventù (2003) ne dà un commovente resoconto. Ecco il cinema, dunque. I giovani che si sentono uniti da ideali che sdoganano ogni confine, e il conflitto generazionale che diventa palpabile persino in autori della Commedia: Dino Risi girerà Caro Papà nel 1979, l’anno dopo dell’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta per mano delle BR. In quest’opera di Risi il conflitto in famiglia diventa durissimo; intanto le frange armante rimarranno descritte ed arginate dagli storici come la conseguenza estrema e violenta del ’68.
Tuttavia, il cinema italiano non afferrerà a pieno il fenomeno giovanile almeno in quell’anno: lo sfioreranno soltanto, come Ettore Scola che fa girare in Africa uno spaesato Nino Manfredi che idolatrato da santone non vuol far rientro a Roma, rinnegando lo stato borghese di provenienza. Il film è Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? E lo sfiora pure Luigi Magni nel 1969 con Nell’anno del Signore dove i giovani carbonari che si oppongono al potere temporale della Chiesa diventano gli antesignani dei giovani sessantottini. Per Mario Monicelli “il ’68 fu un primo impiccio. Era difficile sfuggire a schieramenti ideologici”. Non si comprese a fondo quel fenomeno giovanile che aleggiava un po’ ovunque dalle città alle periferie, persino nei piccoli centri.
Al Festival di Cannes quell’anno, la contestazione dei registi della Nouvelle vague lo fecero sospendere. Contestazioni pure alla Mostra di Venezia: Pasolini (che presentava in concorso l’innovativo Teorema) si reca con Citto Maselli e Gillo Pontecorvo all’assemblea degli operai in lotta a Porto Marghera. Da allora e fino al 1980 non ci saranno più film “premiati” nei festival.
Ma quali film uscivano quell’anno nelle sale? Un breve elenco ci illustra la diversità dei generi: Hollywood Party di Blake Edwards; Il leone d’inverno di Antony Harvey; La via lattea di Luis Bunuel; Ciao, America di Brian De Palma; Rosmary’s baby di Roman Polanski; La notte dei morti viventi di George A. Romero; La mia notte con Maud di Eric Rohmer; Il pianeta delle scimmie di Shaffner; L’ora del lupo di Ingmar Bergman; Cronaca di Anna Magdalena Bach di Straub e Huilet; L’impiccagione di Oshima; Faces di Cassavetes; Storia immortale di Orson Welles; L’amour fou di Jacques Rivette; Baci rubati di Francois Truffaut; If di Anderson; Artisti sotto la tenda del circo: perplessi di Alexander Clouge (vincitore del Leone d’oro a Venezia); L’ora dei forni di Fernando Solanas; Silenzio e grido di Miclos Jancsò; El Che Guevara di Paul Heusch, probabilmente l’unico titolo “a tema”. Un mondo in celluloide che risponde a suo modo a quei momenti concitati che premevano per aprirsi al nuovo.
In Italia, la cinematografia enuncia, maestosamente: C’era una volta il West di Sergio Leone, che (in tre ore) guardava all’epopea americana come un bambino che gioca con la Storia e l’immaginazione. Ma è nel film successivo: Giù la testa tre anni dopo che Leone, trattando della rivoluzione messicana, citerà Mao nell’esergo: la rivoluzione non è un pranzo di gala, non un disegno né un ricamo … è un atto di violenza. Altro film uscito nel 1968 ha fatto storia: Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli, che si aggiudica due Premi Oscar.
E’ politica invece l’opera sulla vita di Galileo di Liliana Cavani, autrice che rimarrà fedele al suo linguaggio e alle tematiche di denuncia. Di politica e mafia si occuperà Damiano Damiani con Il giorno della civetta, tratto da Sciascia; la malavita con Banditi a Milano di Carlo Lizzani sulla famigerata banda Cavallero. La crisi della società borghese è evidenziata da un giovane Salvatore Samperi in Grazie, Zia, tematica enunciata con linguaggio diverso dal citato Teorema pasoliniano. E la commedia? Luigi Zampa utilizza l’umorismo grottesco di Alberto Sordi nel film ormai cult Il medico della mutua, mentre Pietro Germi fa conoscere sullo schermo Adriano Celentano nei panni di Serafino. La ragazza con la pistola di Monicelli lancia un seme di femminismo nelle movenze di una straordinaria Monica Vitti; e Dino Risi con Straziami, ma di baci saziami fa muovere Manfredi e Tognazzi nella vita di provincia. C’è l’antifascismo militante ne I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini con uno straordinario Gian Maria Volonté. Attore più volte interprete di opere di Elio Petri, che quell’anno porta sul grande schermo Un tranquillo posto di campagna con Franco Nero nei panni di un artista rinchiuso in una casa di cura che continua a produrre: è il sogno romantico di una società senza più classi. Schizofrenia e arte, tematiche care a Carmelo Bene, l’avanguardia teatrale che si fa pellicola in Nostra Signora dei Turchi, laddove inveisce contro il proprio ego e soprattutto contro le forze che lo hanno reso insignificante e dolente.
Tante le pellicole, dunque, tanti gli autori che hanno risentito delle fiammate che il ’68 soffiava. Film di livello, qualcuno diventato anche un cult: l’alito del movimento giovanile viene lambito: il proibito proibire, una società più solidale; il germe nelle arti più diverse attecchirà negli anni e generazioni successive. Il film che determinerà davvero il solco col passato è firmato dal genio Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio. L’era moderna dell’effetto speciale nasce lì. E con essa l’idea di un futuro a portata di mano: la Nuova Atlantide preconizzata da Francesco Bacone (1624) è guidata da tecnologi ed intellettuali desiderosi di fondare una umanità meno corrotta di quella ormai degenerata del mondo conosciuto. Una utopia forse davvero emancipata: il Sessantotto ci ha provato.
Armando Lostaglio