Eppure c’è un personaggio nella storia in grado di spiegare il carattere ribellistico e sognatore, utopico e distopico insieme, del popolo meridionale, quello che si rivela costantemente per improvvise ribellioni e per sonnolente secolari quiescenze. E’ Tommaso Campanella di cui ricorrono i 450 anni dalla nascita essendo nato a Stilo in Calabria appunto nel 1568.
A ragione potremmo definire il grande filosofo un costruttore di storia, non un semplice lettore di essa o un illustratore, uno di quelli che schierano gli anni e li passano in rassegna, come diceva Manzoni, ma uno che agisce come lievito all’interno della stessa storia.
Basta citare per tutti gli altri eventi la sua predicazione a Stilo, alle falde del monte Consolino, nella quaresima che precedette la celebre congiura antispagnola del 1599. Lì, Campanella domenicano, giovanissimo, persuase i suoi discepoli a partecipare all’impresa impossibile, discettando con loro della morte e li convinse che essa non esisteva e che comunque non poteva e non doveva far paura.
Per un’impresa come quella, la congiura contro la Spagna, solo il supremo disprezzo della morte poteva essere elemento suasorio di rilievo. Solo chi era votato alla morte poteva concepire un simile ardimento. Ed in effetti la Spagna era allora qualcosa che neppure l’America di oggi puo’ eguagliare. Sul suo impero non tramontava mai il sole, il suo esercito era invincibile.
Il carattere ribellistico dell’uomo meridionale insieme alla sua natura utopica sono rappresentati in Campanella.
Ma Campanella è stato costruttore di storia in quanto pago’ di persona tale ardimento e anche il suo fallimento: trent’anni di prigionia nella fossa di S.Elmo. Ma anche da li’ il filosofo non si arrese. Questa tenacia è un dato caratteriale di tutto un popolo che se, avviato sulla strada del male, è capace ostinatamente di perseverare in essa.
Nel 1602 Campanella scrisse La Città del sole, l’utopia come fu battezzata, ma che è in realtà un trattato di pedagogia ed una sorta di testamento spirituale. Non un’utopia dunque, perchè nella visione del filosofo l’utopia è già attuata, è presente e viva.
Compose la maggior parte delle sue opere, spiato dai suoi discepoli pronti a portare i manoscritti in Europa per farli pubblicare.
Cosi’ il costruttore di storia visse un paradosso connesso alla sua condizione, una libertà sconfinata mentre era in catene. Subì la persecuzione della Santa Inquisizione spagnola, mentre nel resto del Europa testimoniò la libertà del pensiero.
In questo senso egli davvero fu genio europeo, erede della sua regione di nascita: la Calabria. La tenacia della Terra ricavata dalla natura petrosa delle sue montagne e la sua originalità che non si piega ad alcuna tirannide, che non accetta alcun modello, sono i doni di Campanella.
Cosi’ egli realizzava la sconfitta della Spagna e la propria vittoria, non con le armi né con la congiura, ma con gli scritti.
Della sua patria egli ricavava anche il senso della natura giacché la filosofia della natura, ereditata da Telesio è la più alta forma di meditazione del tempo.
Solo la sua astuzia, quella di fingersi pazzo, lo salvo’ dalla fine di Giordano Bruno, bruciato vivo a Roma per lo stesso ambito di studi filosofici.
Lo studio della natura si contrapponeva alla visione tradizionale ed alla concezione teologica dominante. La natura è filosofia laica e non religiosa, eppure Campanella coltivava studi profetici, studiava l’apocalisse, il metodo che abbatte l’aristotelismo.
Campanella depose nella bara di Telesio a Cosenza una sua ode commossa. Fu vermente genio universale e spirito europeo che dal carcere fece giungere la sapienza del pensiero a tutta Europa. Campanella rappresenta anche le virtù di un popolo che crede nella renovatio e per questo rinvia sine die l’estremo paradosso, la normalità del vivere, quella stessa che tiene il popolo di qua dall’adattamento e dal conformismo.
Carmelina Sicari