La più attuale delle tragedie del ciclo classico, tradotta da Seneca ed ora attualizzata dal regista Paolo Magelli ed ambientata in età decadente, per decisione dell’INDA che ha chiuso le rappresentazioni del teatro greco a Siracusa il 28 giugno, sarà trasferita al Colosseo di Roma per una tre giorni: 13,14,15 luglio. Lo spettacolo comincerà a partire dalle ore 20.30
Si tratta d’una tragedia che, fin dall’antichità, suscita sempre molto interesse non tanto per il tema della violenza sui figli, purtroppo di grande attualità, quanto per l’intreccio che si presta ad analizzare a fondo l’animo femminile, tormentato dalla gelosia ed assillato dalla grande ingiustizia subita e insieme dalla riflessione sulla tracotanza del potere politico e sull’indifferenza e superficialità maschile nel rapporto coniugale.
Si intrecciano nodi così complessi e carichi di significati validi per tutti i tempi, che Seneca poi, vissuto nell’età neroniana, ha inasprito, conformemente ai cupi costumi del suo tempo.
Sono quindici anni che al Colosseo mancava una rappresentazione di tale rilevanza e le novità introdotte dalla regia dell’esperto Magelli è una garanzia di successo. Emoziona non tanto il delitto che avviene sulla scena, davanti agli occhi dello spettatore, cosa che Aristotele ed Orazio hanno nelle loro poetiche condannato, per non turbare eccessivamente gli animi di chi vi partecipa, quanto l’atmosfera tutta del dramma che è ambientato nell’età del decadentismo, notoriamente considerata, socialmente ed individualmente, permeata di quella infinita malinconia che prelude alla fine ed è radice della contemporanea sensibilità.
Le scene, il recitativo, desunto dalla traduzione del Prof. Giusto Picone, docente di Lingua e Letteratura Latina dell’Università di Palermo, le musiche di Annecchino, l’insieme sono pervasi da questo senso del disfacimento. Una landa desolata con rami rinsecchiti e una casa rovesciata sono lo sfondo al palcoscenico ed il coro in abiti sdruciti fa sentire un prolungato lamentoso commento.
L’attrice Valentina Bauci si misurerà con le tante eroine del tempo precedente, nel comunicare la sua rabbia e disperazione di donna abbandonata e reietta e le sue ragioni di rivalsa e di vendetta. Anche qui il nuovo è dato dal fatto che lei non è più folle e maga, esperta di filtri magici e barbara, ma semplicemente una donna tradita ed offesa come tante altre che intende rivendicare con forza la sua dignità.
In Euripide l’antefatto ha molta corrispondenza con l’acmè del dramma e giustifica lo snodo dell’azione: Medea ha aiutato Giasone a condurre a termine vittoriosamente la difficile impresa della Colchide, della conquista del vello d’oro, e fugge con lui a Corinto. Gli ha dato tutto il suo amore, ha ucciso per lui il fratello Absirto che lo inseguiva, per salvarlo, gli ha dato due figli, ma Giasone l’ha ricambiata con una condotta cieca ed egoista che apre nel suo animo una ferita mortale. S’è trovato una nuova sposa, la figlia di Creonte, il signore del luogo e la ripudia apertamente, spingendo lo stesso Creonte a scacciarla da Corinto.
Medea, dopo aver ucciso la nuova sposa, fugge compiendo, come ultimo atto della sua vendetta, l’uccisione dei figli.
Ma il dramma viene rimaneggiato da Seneca stoico che fa apparire Medea in tutta la sua spietatezza e ferocia. Nessuna pietà per il suo essere donna tradita e delusa e straniera perseguitata. C’è posto solo per la grave condanna che la raggiunge come moglie e soprattutto madre snaturata.
Nel Novecento comincia invece la rivalutazione del personaggio femminile trasfigurato soprattutto da Heiner Müller e Crista Wolf, l’uno drammaturgo, l’altra scrittrice, entrambi tedeschi, pensosi in senso critico delle sorti dell’umanità. Medea vi appare come donna degna di tutta la compassione possibile. Il movimento femminista ha compiuto un salto di qualità e favorito questa nuova interpretazione. Tutto il prosieguo della letteratura e della drammaturgia, da Camus da Alvaro a Pasolini, abbandonerà il classico clichè per trasformarla in un’eroina reietta della modernità ed in un essere degno di compassione.
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Il regista Magelli è su questa linea. La sua è una regia costruita consapevolmente per rendere l’attualità e la complessità di Medea che assume nel tempo sfumature diverse e rende il volto enigmatico d’una libertà che si paga a caro prezzo come accade oggi. Talvolta basta una flessione della voce, una movenza dell’atteggiarsi e poi la traduzione, articolata arditamente, dà il senso del cambiamento e della novità.
Nell’ultimo colloquio del dramma tra Giasone e Medea non c’è più la spavalda sicurezza di lei che fugge verso Atene, protetta dal Carro del Sole, ma solo il lamento di lui vinto, che grida: – Vai per gli spazi profondi del cielo a dimostrare che dove ci sei tu, non ci sono dei garanti dell’ordine.-
E l’ordine dell’universo è veramente sconvolto, se ben consideriamo, da mille altri drammi simili che oggi violano costantemente le leggi della presunta stabilità e della saggezza divina, attentando alla vita individuale e familiare e distruggendole.
Gaetanina Sicari Ruffo