A Nino Manfredi, a 10 anni dalla scomparsa, con una poesia di Gabriele De Masi.

Rimane l’attore fra i più grandi della commedia, un viso drammatico che sapeva infondere tenerezza e ilarità.

Nino Manfredi in “Pane e cioccolata”

Dieci anni dalla sua scomparsa: la sintesi del suo immenso racconto fatto di teatro e televisione – prima – e poi di immenso cinema, diretto dai più grandi della commedia e un po’ anche da se stesso (“Per grazia ricevuta”, “L’avventura di un soldato”), con l’immagine di mille personaggi la potremmo racchiudere nell’ispettore (ispirato a Gogol) che sale dagli inferi urbani di “Anni ruggenti” (di Luigi Zampa) e il giovane soldato con la vedova nel treno (eros innocente e ordinario) da lui stesso diretto e ispirato da un racconto di Italo Calvino.

Due personaggi chiave di un attore straordinario che dava sempre un’anima di purezza ad ogni movimento (Geppetto di Comencini e il patriarca “Brutti sporchi e cattivi” di Scola). E il sarcasmo clericale della Roma papalina di Gigi Magni, e il nostalgico coerente di “C’eravamo tanto amati”.

Tanti, troppi i registi che l’hanno diretto e che hanno carpito l’immensità di questo personaggio singolare (anche cantante ispirato a Petrolini di “Tanto pe’ cantà”) e fino all’amarezza striata sul volto nell’uscita dalla galleria dello sfortunato emigrante in Svizzera (“Pane e cioccolata” di Franco Brusati”).

Ora, questi versi del poeta irpino Gabriele De Masi riescono forse meglio a conferire con grazia e sagacia l’espressione di un attore che ha regalato attimi di infinito nel candore popolare.

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A Nino Manfredi

Non erano i tuoi, quegli occhi

stanchi, dietro lenti ampie

che ne svilivano lo sguardo

e ben vedevano più in là,

convinto che attore si è,

comunque, anche se

il passo è lento e la voce

guadagna fiato nel parlare;

potevi farlo perché la maschera

non vinceva sull’ uomo, tu

interprete di mezzo sguardo, più

verso il basso che per l’alto,

e il sorriso giusto e triste,

arcuato sotto accurati

baffi di quinta, drappi

a chiudere presto la scena

divertita delle labbra, anche

perché sapevi che la vita

richiama sempre realtà più amare,

e nei semitoni misurati e franchi

d’ una postura ingobbita

o nell’espressione appena mimata,

c’è tutto lo spazio d’ autenticità

d ‘istante, che ricerca l’uomo

e , ben facendo teatro, lo ricrea

trovandolo acquietato ad aspettare

in un recondito angolo dell’anima;

e sempre lì lo trova, sapendo

di non commettere plagio.

(Gabriele De Masi)

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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