L’Arsenico poetico di Gabriella Montanari

Poesia, quella di Gabriella Montanari, che pur nella sua sconvolgente lucidità e crudeltà costruisce – con modalità di meta linguaggio del linguaggio poetico e del linguaggio della comunicazione – un nuovo modo di rendere il testo e la sua dimensione drammatica. La Montanari vive e opera a Parigi. « Arsenico e nuovi versetti » edito da La vita Felice di Milano (2013) è la sua seconda raccolta edita. In anteprima alcuni testi inediti, che faranno parte della sua prossima raccolta: “Abbecedario di una buona a nulla”.

Gabriella Montanari è nata a Lugo di Romagna. E’ pittrice, scultrice e fotografa oltre che scrittrice. In campo letterario traduce autori di teatro e poeti francesi e americani. Collabora con riviste letterarie, d’informazione e d’arte italiane e internazionali. Esordisce in poesia con la raccolta Oltraggio all’ipocrisia per le edizioni Lepisma di Roma (2012). Attualmente vive e opera a Parigi. Arsenico e nuovi versetti edito da La vita Felice di Milano (2013) è la sua seconda raccolta edita. Dirige la Casa Editrice WhiteFly Press di Lugo di Romagna.

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Ironica e incurante del giudizio altrui Gabriella Montanari è un’anima davvero inquieta e inquietante, sembra un angelo cacciato dal Paradiso, un vendicatore incompreso, un ciclope che lotta per salvare il mondo … da se stessa. Ma cercheremo di dimostrare che i suoi testi, in particolare quelli dell’ultimo libro Arsenico e nuovi versetti, come alla fine proprio lei dichiara – me lo ha scritto nella dedica al libro – sono gocce di veleno che poi, tranne a chi le versa, tanto male non fanno.

Certo l’ironia è la chiave di lettura del suo affrontare le cose. Mi piace riportare come esempio un post di Facebook – li leggo tutti perché sono divertentissimi – dove parla di ciò che è avvenuto nel mondo delle sue relazioni quando da poeta è passata al ruolo di editore:

«Suvvia, diciamolo, senza tanti giri di parole: i poeti o le poetesse (beh, in quest’ultimo caso dipende, dalle misure più che dalla metrica…) non se li fila nessuno. Gli editori sanno che con noi perdono soldi (specie se non ce ne hanno chiesti preventivamente per pubblicarci), per i familiari siamo dei falliti depressivi braccia rubate all’agricoltura o alla fabbrica, gli amici ci trovano « originali » e ci esibiscono come fenomeni da baraccone per animare le serate, per i figli siamo un’incognita professionale… Tutto cambia quando, per pura casualità, dall’oggi al domani, passi dall’altra parte del bancone e diventi editore. Che parolone! Suona come se fare libri fosse un’alchimia degna di rispetto. La gente inizia a guardarti diversamente. Pensano che finalmente tu abbia messo la testa a posto. Apprezzano il tentativo di diventare una personcina seria. Gli altri editori non si negano più al telefono, ma ti chiamano persino « collega », i familiari non si vergognano quando interrogati su cosa abbiamo deciso di fare da grandi, i figli vedono cos’hai prodotto, lo sfogliano e smettono d’invidiare il compagno di classe con il padre o la madre disoccupati.

Ma gli amici, quelli non li conti più. Altro che Facebook… Son diventati tutti aspiranti scrittori/poeti/traduttori/illustratori. Hanno tutti, almeno da un paio di decenni, il capolavoro incompreso nel cassetto.
[…]»

capita l’antifona e il soggetto?

Detto questo, passiamo alla poetica del suo ultimo libro. In primis confesso che ho dovuto digerirlo bene prima di riuscire a parlarne: è un libro che non s’affronta tutto subito ma va letto a piccole dosi perché – proprio come si usa fare per il veleno – c’è bisogno di un minimo ingerimento giornaliero per arrivare ad esserne immune. Ma, alla fine, ho capito che dovevo ridimensionare il tutto e arrivare alla conclusione che l’autrice, principalmente si fa beffe del lettore. Non ci sono dubbi. Le tre sezioni poetiche, precedute da una prosa quasi esplicativa, sono un susseguirsi di guizzi, lazzi, invettive, ingiurie, forsanche bestemmie e maledizioni che vogliono apparentemente colpire tutto e tutti ma che finiscono per tradire un’ipersensibilità dell’animo, una carica emotiva che si cerca di nascondere, un bisogno estremo di comunicare con l’altro da se nella forma che più le si confà, quella poetica.
Vediamo come, dunque, la Montanari riesce a realizzare questo bisogno di essere poeta, quale forma stilistica e linguistica tira fuori dalla rabbia e dall’ardore che sembrano confluire all’unisono nelle sue vene. Il primo testo che proponiamo è una sorta di manifesto della propria idea di poesia:

Enten – Ellen


..«e tu questa la chiami poesia?»

..– mi chiede la stronza 


insinuando il bacillo del dubbio nei miei polmoni sani

.. «perché, tu sapresti riconoscerla, Saffo?»

..
– rispondo da sadica 


rispedendoglielo indietro ancora più virulento




anche questa presunta amicizia è finita così 


per una balordissima questione di poetica 



i versi seguono le mode e la domanda di mercato, 


si attengono al formato e ai criteri editoriali, 


non sgarrano, non dicono una parola di troppo, 


profondi perché incomprensibili, 


sublimi se lo decreta l’Arnoldo




l’orifizio anale non è degno di menzione, 


la vita va bene finché non sporca 


e a forza di ermetismo e introspezione 


vien voglia di scalfire, sverginare 


non per posa, ma per amore




se Aristotele avesse concluso che

……..se l’uomo è il frutto della vita

……..e la poesia è il frutto dell’uomo

……..allora la poesia è il frutto della vita 



quella stronza avrebbe già avuto la sua risposta…




se poi è l’uomo il soggetto che non vi aggrada 


basta dirlo, 


al poeta gli si troverà qualcos’altro da fare.

*****

Poesia dai toni forti, certo, e forse poco metaforica, ma tutt’altro che scontata: il poeta sa che la poesia è il frutto della vita – quindi anche di situazioni estreme, se vogliamo, altrimenti quale può essere il suo compito se non quello di raccontare l’uomo? Con chi non capisce questo si può anche rompere un’amicizia… che, forse, così amicizia non era.

*****

… papà 




c’era una volta un tizio

sotto il mio stesso tetto; 


mi si diceva di chiamarlo babbo 


così, un giorno dopo l’altro, 


come un occhio strabico, 


come un piede piatto, 


ho finito per accettarlo 



il cranio duro come una bietola, 


l’intestino ingordo, 


i sensi alla guida del cervello, 


gli urli per mendicare rispetto, 


fottutissimo padre padrone 


seminava il terrore 


scavandosi la fossa




la mediocrità è longeva 


e oggi il pater familias, 


cariatide di muscoli paralizzati e neuroni atrofizzati, 


si avvinghia come una pulce infetta 


all’epidermide della vita




il silenzio che ci separa 


mi urla di perdonare un misero vecchio 


ma il cuore è sordo da anni 


e lo stomaco non regge più 


alla vista degli spettri 



gli porto in dono la morte 


che rende vittime anche i carnefici; 


ne avrò in cambio rimorsi 


e magari quel che mi spetta




per estinguere il mutuo della casa al mare.

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Ora se è vero, com’è vero, ciò che dice in una nota Giorgio Lingualossa, che “Fare poesia è difficile, oggi, che ci si è dissolto tra le mani il concetto di «forma-poesia” questo testo della Montanari ha molto da dire in merito. Infatti, sempre Linguaglossa dice, in riferimento a questo libro dell’autrice che la sua è “[…] poesia-biglietto come meta linguaggio da telefonia mobile, meta linguaggio da cellulari, da ignoto a ignoto, vivisezione, aggressione dell’interlocutore, de-psicologizzazione dei dirimpettai, linguaggio da burla e da pied-à-terre, meta linguaggio del linguaggio poetico e del linguaggio della comunicazione[…]”. Insomma, si potrebbe aggiungere, una poesia che, pur nella sua sconvolgente lucidità e crudeltà costruisce, con queste modalità di linguaggio indicate dal critico, un nuovo modo di rendere il testo e la sua dimensione drammatica. Pescando dalle forme più congeniali al nuovo pubblico di lettori, ecco che i versi dell’autrice affondano le unghie in tanti piccoli, crudeli e reali mondi familiari e – senza ipocrisia – ne rendono conto.

*****

in diretta dalla fossa biologica 




è un cesso profondo

oggi 


la vita 


e non merita 


neanche una riga 


eppure ce ne sono già volute cinque per dirlo, 


come sempre 


è lei che vince




resto seduta sull’ovale 


a espellere idee costipate dagli anni 


e volti sempre più liquefatti; 


aspetto che lo stimolo taccia 


e che la pancia sia vuota dei troppi residui 


.. il tempismo del telefono, 


il groviglio del rotolo, 


uno spruzzo di lavanda, 


la corsa sgangherata 


e poi 


uno strillo meccanico 


che si complimenta perché il mio numero è stato selezionato

e perché il cane – che non ho mai posseduto – 


potrà beneficiare a vita di un servizio completo di toilette




basta un «sì» dopo il segnale acustico 


biiip 



«toby è morto di scabbia 


ma vi ringrazio, a nome suo, per il pensiero». 





E sembra che, anche questa dimensione, “escatologica” diventi essenziale per la Montanari, sembra che – così come per le altre dimensioni tutte della vita, anche le più estreme e tutte comunque necessarie – non si possa fare a meno di parlarne, di gettarle in faccia al lettore che – forse non ancora ben certo di cosa – aspettarsi dal poeta – fruga nella mente per cercare analoghe situazioni e scoprirne i risvolti condivisibili. Ma è in quei primi cinque versi, così scarni e lapidari, che il poeta concentra il senso del testo, con tutto il decadimento di valori e sentimenti che ha assimilato, con tutta l’amarezza per la constatazione dell’impotenza che sente di fronte agli accadimenti che lo riguardano.

*****

Gabriella Montanari ha gentilmente acconsentito alla mia richiesta di pubblicare nella rubrica Missione poesia alcuni testi inediti, che faranno parte della sua prossima raccolta dal titolo “Abbecedario di una buona a nulla”, accompagnandoli da una riflessione sul significato stesso e la poetica del futuro libro, riflessione che lei stessa chiama:

Inavvertenza. Di G. Montanari.

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«Un abbecedario lo si può cedere in cambio di quattro soldi per pagarsi l’entrata al teatro dei burattini. Ma a questo ci ha già pensato Pinocchio. Elio delle Storie Tese ne voleva uno per imparare a vendere i laminati plastici. E il Parmigianino, mettendolo tra le braccia di un putto tutto guance e boccoli, lo immortalò in un dipinto cinquecentesco.

Con le pagine di un abbecedario si possono costruire aerei e berretti di carta, ammaestrare i bambini come scimmie parlanti e, volendo, ci si può riscrivere la storia.

Ma un abbecedario è anche una sorta di lista della spesa, un promemoria di quel che è bene aver sempre con sé, nella sporta della vita. O in valigia, quando si viaggia con lo stretto necessario. Dentro questo « alfabeto poetico di sopravvivenza » ho infilato i miei vivi e morti preferiti (anzi i morti e vivi, essendo i primi sempre numericamente in vantaggio), un paio di pensieri ossessivi a cui sono affezionata, qualche rompicapo esistenziale che spero mai risolvere e alcuni luoghi che non mi decido ad abitare o ad abbandonare per sempre. È quel « per sempre » che mi blocca. Credo.

Ventisei lettere non sono tante (e ho barato, aggiungendovi anche quelle straniere), come non sono tante le cose o le persone di cui abbiamo davvero bisogno. O che per lo meno ci stanno a cuore. Lettere, ora segno, ora metafora, che se combinate insieme in tutti i modi possibili, rifanno il mondo intero e riempiono le giornate, oltre che un dizionario. Tutto parte dall’essenziale e vi ritorna. Tra la A e la Zeta si trova spazio a sufficienza per il mare Adriatico, il tempo, la solitudine e la morte, passando per la malattia mentale, l’olocausto, la stregoneria e l’aborto. Ma anche cosine più simpatiche e accattivanti, come il tradimento e l’amore saffico. Si può poetare su tutto e su tutti, senza esclusione di colpi.

Buona a nulla… Beh, anche questo è un mestiere. Estenuante.

Il tutto per dire che, quando ci si ritrova a strutturare una raccolta a mo’ di alfabeto, significa che è forse giunto il momento di tirare le somme. O forse, ma è solo un ignobile sospetto, significa che ormai non si sa più cosa cazzo scrivere.

Comunque sia, un abbecedario come questo può essere acquistato senza ricetta medica, consumato senza moderazione, senza seguire una precisa posologia, non ha scadenza, non contiene falsi additivi né provoca effetti collaterali, se non a chi lo ha formulato. Ma questa è un’altra faccenda, alquanto noiosa.»

I due testi inediti sono “Adriatico” e “Arthur”. Cominciando rigorosamente con la prima lettera dell’alfabeto ecco che Montanari ci propone un testo dedicato al Mar Adriatico, il mare della costa dov’è nata e un testo dedicato al poeta Arthur Rimbaud – probabilmente poeta a lei caro -. Lo stile non è molto cambiato dal precedente lavoro, forse è solo un po’ più asciutto e arricchito di metafore. Le tematiche si fanno più varie, corpose e certo nell’andare del libro il lettore scoprirà le sorprese alfabetiche che compongono la raccolta. Ma, ci sembra di poter dire, che è sempre lei che si presenta, in una serie infinita di ossimorici aspetti: scurrile e profonda, volgare e dolente, maledetta e maledicente, insonne e determinata a scardinare i segni della liricità. Eppure, in qualche raro momento, anche lei si lascia andare, non riesce sempre a sorvegliarsi nel desiderio di essere dura e crudele, ed ecco comparire qualche perla rara di dolcezza, che non potevamo non mettere in luce. Non ce ne voglia l’autrice ma noi l’amiamo anche per questo, per il suo mare al quale dice: “mi hai cresciuta d’onde/e sfamata d’albe”; “ascolti le mie inezie di sabbia/e sveli – bianche – storie – d’altra sponda”; e per ciò che dice di Rimbaud: “lo seguo negli esili d’angelo”.

ADRIATICO

(Per l’esattezza, quel deprimente tratto di costa romagnola compreso tra le sempre meno ridenti località balneari di Marina Romea e Lido di Spina – per quanto le due si vantino di portare all’occhiello la bandierina azzurra che di recente Legambiente ha preso a dare via come la piadina… – )

guardati,

razza di mare circonciso…

sei il lavandino d’oriente

un catino – sudicio d’accenti e d’assorbenti interni,

nuoti tra gamme di grigi

mucillagini sfatte e cefali asfittici

e gli sputacchi dei vecchi… non sono forse tuoi merletti?

mi hai cresciuta d’onde

e sfamata d’albe,

ti ho nuotato e scopato dentro,

come altri, del resto

nei pizzicori invernali

te ne stai mogio

come un randagio preso a calci nel muso,

da dietro la staccionata di dune

ascolti le mie inezie di sabbia

e sveli – bianche – storie – d’altra sponda

i marosi s’infrangono in mazurke,

– balere di liscio per sgombri e sarde –

sei coltre fluida per i senzamadre,

liquido primordial-seminale

piscina

piscio

voce

deflorato dai crucchi, lisci e rosa – verri e scrofe di “pura razza”,

pluritrivellato, per succhiarti via anima e idrocarburi

non fiati

boccheggi

fregandotene del surriscaldamento e di un paio di morti annegati

pare che un’estate ormai lontana

fece scorribande nelle tue acque

un certo Willy

squalo bianco sbandato

che poi si rivelò essere

la pinna di uno scafo ribaltato

il mio bisbiglio in bottiglia

galleggia sulla tua pelle appestata

non fingere di non sentirlo,

dice che ci ricongiungeremo:

tu sotto

io sopra

il molo

ecco sì…

quattro amici infossiliti,

trebbiano e cozze senza badare a spese

e la mia cenere

per il tuo pitale capiente.

*****

ARTHUR

sposo infernale, esploratore e mercante di pelli

amo le notti in bianco

sgridate dal vento

e dal vociare ebbro davanti al pub dei sodomiti,

notti pruriginose più dell’herpes

notti impazienti di vagiti d’alba

parigi, londra

malate di nebbia, chiaviche a cielo aperto

metropoli assopite come metastasi in agguato,

sorde al fracasso dei camion del rusco

che caricano resti umani ed elettrodomestici guasti.

l’insonnia partorisce idee malsane

si nutre di avanzi scovati in frigo

letture sporche

e splendidi, solitari orgasmi

in punta di piedi

– perché nervi e parquet non scricchiolino –

attraverso il buio amico

odoroso di take-away pakistano

e denso, denso da perderci la ragione dentro

cerco la luce snaturata, le torce bluastre di Rimbaud

la seduzione malsana del viso mai invecchiato,

lo seguo negli esili d’angelo

e sfoglio le pagine della sua malora

sabbiosa di deserti

salata di mari

marcia d’ossa e di membra

“Ma che fretta avevi, anche tu, putain de merde…”

Cinzia Demi

P.S. “MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. QUI, il link Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito cliccando sotto su « rispondere all’articolo » o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

4 Commentaires

  1. L’Arsenico poetico di Gabriella Montanari
    Il bello di Cinzia è che sa raccontare, a differenza di molti critici/poeti che te la sanno raccontare… La differenza non sta nel gioco di parole ma nelle intenzioni di chi scrive su come tu scrivi. C’è chi lo fa per fare sfoggio di erudizione e cultura letteraria (ho molto apprezzato il fatto che Cinzia non abbia citato altri poeti a cui compararmi per affinità stilistiche o di poetica – e questo perché chi è sicuro del proprio sapere non ha bisogno di sbattertelo in faccia – e perché forse sa che il modo migliore per esprimere il proprio apprezzamento su un autore è proprio quello di non compararlo a nessuno…), c’è chi fa di tutto pur di non farsi capire (svelato cosi’ in parte il mistero per cui la poesia non se la fila nessuno), c’è chi cambiando l’ordine degli addendi (i diversi autori recensiti) ottiene lo stesso risultato (un format di critica uguale per tutti).

    Cinzia intanto ha una missione, molto generosa (portare la poesia di altri fuori confine. Il che non è da tutti. I libri li legge sul serio prima di recensirli (e vi assicuro che anche questo non è da tutti, non so come diavolo facciano, ma è cosi, hanno quel talento li’). Nelle sue considerazioni non perde mai di vista il poeta, anzi proprio la persona. Cerca forse di capire l’uomo/la donna aiutandosi con i testi. E ci riesce. Con sensibilità e umanità, che credo siano le doti necessarie per affrontare qualsiasi tipo di discorso poético. Oltre che la vita. Cinzia trasmette al lettore la voglia di andarselo a leggere il libro di cui parla, di sapere qualcosina in più su chi ci sta dietro. Sarebbe quindi una grande direttrice marketing in una multinazionale della cultura…

    Ora, non è che un critico è bravo quando parla bene del tuo libro, ed è un testina quando ti stronca. Un critico sa fare il suo mestiere quando, nel bene o nel male, riesce a cogliere il sodo. Il nocciolo della poetica/persona. Non mi sento né lodata né imbrodata dalle parole di Cinzia. Semplicemente capita. Io in quell’ossimoro mi ci ritrovo eccome, un po’ ci sguazzo, un po’ ci annego, a seconda dei giorni e degli umori. Grazie Cinzia.

    Gabriella

    • L’Arsenico poetico di Gabriella Montanari
      Grazie Gabriella Montanari il tuo commento al mio articolo è un’overdose di autostima iniettato nelle vene del mio desiderio di continuare su questa strada. Come dici tu – credo di poter sintetizzare – il mio commentare sta in un concetto di poche parole: non amo il critichese ma la parola che accompagna il poeta scoprendolo e amandolo per quello che è.

      Cinzia

      • L’Arsenico poetico di Gabriella Montanari
        Grazie, Cinzia, delle tue analisi penetranti, del tuo udito finissimo; grazie di offrirci « Missione Poesia » che leggo con gran piacere. Ho appena scoperto il tuo articolo su Gabriella Montanari – che non conoscevo – e non posso fare a meno di dire quanto sono felice di questa scoperta entusiasmante.

        Bravissima Gabriella ! È un vero regalo il tuo « arsenico poetico » !!!

        Danièle, una lettrice francese innamorata della lingua italiana.

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