Ilva di Taranto: Anche Pinocchio divento’ un ragazzino.

Questa non è la repubblica delle banane, è l’Italia di Pinocchio. Il caso Ilva e i suoi precedenti, mostrano la scarsa sensibilità ecologista del nostra sistema politico. Ricordiamo quanto accadde 40 anni fa in un’altra indicativa area industriale del meridione italiano, Bagnoli e confrontiamo le differenze con oggi. Certo l’Italia ancora una volta marca ritardo in Europa, proviamo a capire perché.

In fondo è il motivo per cui ci chiamiamo Altritaliani. L »impegno perché gli italiani e le loro istituzioni divengano, una collettività dal senso civico diffuso, dove ognuno senta suo il paese, si riconosca nella sua storia e si impegni per il rispetto delle regole e dei principi per cui tanti prima nel risorgimento e poi nelle lotte partigiane diedero la vita. Perché ciascuno senta che ogni angolo di quel paese, ogni traccia della propria storia sia parte della storia di ognuno di noi e che in tal senso va difesa e raccontata.

La storia è quella del dilemma a sinistra e non, se salvare la fabbrica o la salute degli abitanti, dilemma che è il corpo e l’anima dell’affaire ILVA di Taranto, vicenda che la dice lunga, sul ritardo culturale italiano, sui temi della protezione della salute e della difesa dell’ambiente.

Forse non è un caso che in Francia esista un partito combattivo e presente al governo che si chiama Europa-Ecologia, che in Germania i Grunen (Verdi), costituiscano ormai una tradizione nel panorama politico tedesco.

Egualmente in tutto il nord Europa i verdi sono presenti e radicati nel territorio. In Italia, invece, i verdi non sono neanche in parlamento e il gruppo vendoliano di « Sinistra ed ecologia », spera di entrarci, senza certezze, nell’elezioni del 2013.

ilva7.jpg La domanda quindi da porsi è se, e quanto, conta per gli italiani, il che è a dire, alla politica italiana, la difesa dell’ambiente? Per ammissione della stessa destra, l’ecologia é sempre stato un argomento di sinistra. Anche formazioni ecologiste come il WWF che non sono certo connotabili come di sinistra hanno sempre avuto maggiori riconoscimenti ed apprezzamenti in quell’area politica. Tuttavia, quando si pone l’atroce dilemma tra salvare il lavoro e le fabbriche oppure difendere la salute dei cittadini e, alla fin fine degli stessi lavoratori, la sinistra storica ha sempre avuto delle perplessità, dell’esitazioni.

Ricordo, per esempio, quando a Napoli il PCI (Partito Cominista Italiano) si scontrava con i « quadri » della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) locale, che erano favorevoli alla chiusura della Eternit (che, ahi noi, produceva amianto) e della Cementir che produceva cemento ed una tale quantità di polveri sottili che nella zona industriale di Coroglio/Bagnoli, la meta della popolazione moriva o si amalava di cancro, alle vie respiratorie e non solo.

Eppure anche di fronte all’evidenza i vecchi capi del PCI (intendo quelli di sezione) dicevano una cosa vera anche se impraticabile e forse inaccettabile : « Ragazzi…se chiudono le fabbriche, Bagnoli diventa un dormitorio, e la classe operaia nel sud Italia (e solo Dio, sapeva che valore aveva avuto avere una classe operaia nel Meridione) va a scomparire. Per non parlare dei sindacati (tutti), che si opponevano a priori a qualunque discorso di fermare le fabbriche o d’immaginare diversi cicli produttivi magari meno inquinanti anche se con una ridotta quantità di manodopera.

Quei ragazzi, quegli ambientalisti, erano spesso dello stesso partito, ma visti con sospetto; come dei figli di papà che volessero con
« eretico » esibizionismo allontanarsi dai “sacri” principi marxisti solo per seguire nuove « mode » come l’ecologia.

Pertanto quelli di noi che salutarono la mesta chiusura delle fabbriche come un’opportunità per uno sviluppo nuovo del mezzogiorno, furono visti come dei traditori. Effettivamente la stagione in cui morirono quelle fabbriche meridionali, ma anche e soprattutto l’Italsider, l’Olivetti e le industrie chimiche in Sicilia, rappresento’ l’inizio della fine del PCI, incapace di rinnovarsi di leggere le novità che nel mondo si preparavano, che non seppe anteporre valori nuovi a quelli tradizionali e ormai superati.

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La salute e l’ambiente, sia chiaro, furono sempre temi di quel partito, ma nella sostanza visti più come dei fiori all’occhiello che come effettivo terreno su cui costruire il futuro ideologico del partito, su cui costruire una visione nuova della società. Il PCI era stato un partito capace di guardare ed interpretare il futuro e il suo ritardo sull’ecologia dimostra come il teme in fondo non sia mai stato veramente sentito nella nostra cultura popolare. Temo che anche in questo caso il motivo sia riconducibile allo scarso sentimento di appartenenza sociale, ad una terzomondista visione del mondo come risorsa semplicemente da sfruttare e non da valorizzare.

Tranne per brevi periodi storici, il lavoro nell’Italia nel sud è stato sempre una chimera e perderlo sia pure per una buona ragione, non è facilmente accettabile.

A questo, e per la cronaca, va aggiunto che quella vasta area industriale di Bagnoli fino a Pozzuoli, che doveva essere valorizzata con lo smantellamento industriale per diventare un polo turistico-scentifico alle porte di Napoli, è ferma da decine di anni, senza progredire nella sua nuova vocazione, lasciando un paesaggio desolato, sulla costa, di vecchie ciminiere ormai in disuso, e rendendo effettivamente il quartiere operaio che fu un vero e proprio dormitorio, come nella predetta profezia. Altre occasioni di lavoro perse.

Il tema ecologia sta all’Italia come la Fata turchina a Pinocchio, l’ecologia ci ammonisce alle nostre responsabilità, ma inevitabilmente sfuggiamo a queste raccomandazioni e con presunta furbizia e certa stupidaggine, finiamo per sfuggire ai richiami della fatina, per poi essere puntualmente puniti. Solo con questa contorta forma mentis si puo’ spiegare come diversi governi centrali e locali, sotto il controllo di forze politiche, sindacali e sociali, abbiano potuto essere cosi ciechi, sordi e muti in questi 40 anni mentre s’incacreniva quella situazione ambientale.

All’Ilva di Taranto come in Sardegna, siamo ormai di fronte ad una drammatica alternativa: “Preservare la salute o difendere il posto di lavoro?”

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Rispetto a 40 anni fa i tempi sono davvero cambiati, oggi si comprende bene che chiedere quello che in Francia o in Germania è ovvio, non è impossibile: « Avere industrie pesanti ma ecocompatibili, rispettando regole e criteri che coniughino, produttività aziendale con salute per tutti (compresi gli stessi lavoratori). Oggi sembra una normale regola di buon senso, anche se ce ne accorgiamo dopo tanti anni di compiacente silenzio.

Evidentemente produrre in questi modi richiede spese, investimenti per l’industriale ed obblighi per le amministrazioni locali, alfine (come ha fatto Vendola in Puglia) di accertare la ecocompatibilità ambientale dell’industria.

L’azione dei magistrati dimostra che seppure con ritardi il paese sta prendendo coscienza dell’importanza del tema ambientale per il proprio futuro. Forse si sta capendo, con decenni di ritardo, che mandare in malora l’archeologia pompeiana (come si è fatto anche questa estate) significa non solo depauperare il patrimonio culturale del paese, ma snaturare il Paese stesso ( a proposito, mentre scrivo all’esempio pompeiano andrebbe aggiunto fresco, quello romano con i suoi crolli di beni archeologici).

Eppure in questa vicenda si evidenzia in tutta la sua forza la contraddizione storica di questo paese, una contraddizione che è iniziata a comparire in tutta la sua evidenza già all’indomani dell’unità nazionale. Una contraddizione al singolare che potrebbe nei suoi vari esempi sintetizzarsi nel conflitto tra legalità e illegalità, tra il rispetto delle regole seguendo la normale via legale o puntare alla tangente dell’illegalità, per fare prima e con meno spesa.

Ecco quindi che Il paese che ha le maggiori risorse storico-archeologiche è quello che in Europa ci investe di meno, il paese che ha bellezze paesaggistiche invidiabili nel mondo intero, è il paese che ha il triste primato delle speculazioni e dei condoni edilizi. La patria del diritto e anche quella dove scientificamente si cerca ogni egoistico raggiro alla legge, basti pensare all’evasione fiscale record (ultime stime 240 miliardi di euro all’anno), per perseguire unicamente il proprio tornaconto personale.

Notoriamente, per chi ci segue, non sono un giustizialista, ma non si puo’ non riconoscere merito alla magistratura di essere intervenuta a più riprese efficacemente per impedire, nella vita politica, quelle storture che ne stavano minando gli stessi principi costituzionali e la stessa credibilità. Come sul tema della corruzione all’epoca di tangentopoli, cosi oggi rispetto ai temi ambientali.

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I veleni delle ecomafie, divenuti noti al grosso pubblico grazie al libro Gomorra e al suo combattivo autore (e come non ricordare l’imbarazzante silenzio dell’informazione ai tempi dell’allora giudice Casson e della sua lotta contro il petrolchimico di Porto Marghera?). Oggi l’Ilva di Taranto e le fabbriche in Sardegna. Ci si chiede se non ci si indigna su questo, allora su cosa bisogna indignarsi?

Se nel sostanziale silenzio, passa l’inquinamento tossico prodotto in vaste aree del sud Italia con la complicità di imprese europee e del “virtuoso” nord Italia con l’aiuto interessato di mafie locali, cosa occorre perchè questo benedetto paese prenda coscienza del proprio essere? Insomma quant’è che Pinocchio diventa almeno un ragazzino? Rispetto a queste storie sembra di essere come in quei paesi nigeriani (con tutto il rispetto per la Nigeria), in cui nell’indifferenza generale qualche poveraccio cerca di rubare del petrolio dalle condotte, causando incidenti con decine di morti, la notizia passa pigramente nei telegiornali, senza grande clamore: “Cosa volete….? Parliamo di Nigeria….”.

Eppure nell’ottava economia mondiale l’invasione di rifiuti tossici, lo stato attuale delle politiche industriali dovrebbe suscitare scandalo e protesta di piazza, là dove, finito Berlusconi, sembrano assopirsi le speranze di quegli altri italiani, di fronte ad una politica stretta tra vacui populismi, e partiti incapaci di suscitare speranze e coinvolgimenti, ancora impreparati alle nuove forme di comunicazione e ai contenuti necessari per il futuro del paese nel mondo.

Le forze politiche che erediteranno questa situazione devono proporsi come forze pronte ad una battaglia di civiltà, dove l’obbiettivo è la conquista di un solido senso civico comune, di una intransigente moralità nella gestione della cosiddetta “cosa pubblica”. Un compito non facile d’assolvere per l’attuale screditato sistema politico italiano.

(Nelle foto dall’alto in basso: Le industrie Ilva di Taranto, le fabbriche che erano a Bagnoli quartiere di Napoli, la Cementir di Coroglio, località di Bagnoli e infine Pinocchio).

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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